LAST TWILIGHT – CAPITOLO 6

Il soggiorno

«Phi Mhok…» gridava Day tra la folla caotica. Le persone intorno a lui erano sfocate. Chiedeva aiuto, ma tutti lo evitavano, come se fosse un essere strano a cui non bisognava avvicinarsi. Day chiamò il suo nome più e più volte. Trascinava le sue gambe senza una meta e camminava a vuoto tra la folla sconosciuta, la sua mente era vuota e non riusciva a trovare alcuna direzione da prendere. La paura arrivò al suo cuore e la vista si oscurò. E se non fosse riuscito a tornare a casa? Cosa avrebbe dovuto fare?

«Day…»

Udì qualcuno chiamare debolmente il suo nome. Un suono rauco che, sebbene gli fosse familiare, non riusciva a capire da dove venisse. Il rumore intorno a lui comprometteva il suo senso dell’orientamento. Day cercò di fare un passo indietro, cercando di tornare da dove era venuto. Aveva corso in quella che pensava fosse la strada giusta, ma si sbagliava. Dopo che il suono scomparve, si fermò e cercò di tornare indietro, ma poteva vedere solo persone inespressive che camminavano tutt’intorno e nessuno si preoccupava di lui. Si sentiva come se fosse bendato e corresse alla cieca in un labirinto. Solo una voce ingannevole lo tentava, che per un attimo lo fece sentire sollevato, ma niente poteva aiutarlo.

«Day!»

Il suono arrivò di nuovo, ma Day ancora non riusciva a trovare la strada giusta. Si guardò intorno disperatamente, consapevole della sua vista. Qualcosa era diverso questa volta, però: vide oggetti verde brillante e arancione ondeggiare nell’area. Accorse in fretta e la voce divenne gradualmente più chiara finché sembrò essere vicina alle sue orecchie. L’uomo vestito di verde sventolò altre due maglie di un arancione brillante. Si avvicinarono e si abbracciarono saldamente, più forte che mai.

«Mi dispiace, Day… mi dispiace davvero.»

La gioia e la paura costrinsero le lacrime di Day a scorrere nel suo abbraccio. Premette forte il viso contro il petto spesso dell’uomo, cercando di nascondere i suoi sentimenti. Tutte le debolezze provenienti dalla voce di sua madre gli balzarono in mente. Come potevano persone come lui sopravvivere senza l’aiuto degli altri? Day non si lamentò del fatto che l’altra persona gli avesse lasciato andare la mano, ritrovandosi da solo.

Quelle scuse avevano portato via tutta l’insicurezza e la frustrazione, Mhok probabilmente era nel suo stesso stato di confusione. Non erano poi così diversi.

«Andiamo a casa.» disse Mhok, e Day rispose semplicemente: «Sì, andiamo a casa.»

I due si allontanarono, si sistemarono i capelli e i vestiti, e poi camminarono insieme attraverso uno stretto vicolo. Day fece un respiro profondo e pensò che almeno la giornata non era stata sprecata. Aveva ottenuto il libro che voleva e più tardi, quando sarebbero tornati a casa, voleva che Mhok glielo leggesse in modo che potesse dimenticare completamente quella giornata spiacevole.

I due dovettero aspettare un po’ prima di riuscire a salire sull’auto che Mhok aveva chiamato tramite l’app. La macchina era così silenziosa da poter sentire la voce all’altro capo del telefono.

[Ho rotto con lui.]

Day la riconobbe come la voce di Phorjai.

«È finita? Pensaci bene. Non vi ho costretto a lasciarvi, ho chiamato solo per dirti come stanno le cose. Potete fare quello che volete, non mi intrometto.» Mhok cercò di parlare il più piano possibile e Day fece finta di dormire, così da far sentire più a proprio agio la persona accanto a lui.

[In realtà, sono stata paziente per molto tempo. Una volta si è ubriacato e mi ha dato uno schiaffo in faccia. Quella volta l’ho perdonato, ma questa volta non posso sopportarlo. Se continuassi a farlo, non fermerebbe il suo cattivo temperamento in futuro.]

«Ti ha picchiato davvero?» Dalla voce di Mhok, era chiaro che stava cercando di controllare le sue emozioni. Non ci fu risposta dall’altro capo del telefono, come se avesse confermato.

Fece un lungo respiro e continuò. «E tuo figlio? Sei già incinta di due mesi.»

[Posso occuparmene da sola. Non preoccuparti.]

Day era confuso e turbato.

[Stasera potrei andare in un albergo vicino alla mia azienda. Ho spostato tutto fuori dal suo appartamento. Ho paura che quel bastardo impazzirà o farà qualcosa di insensato quando tornerà. ]

«Se hai bisogno, puoi prima fermarti a casa mia. La stanza di mia sorella Rung è vuota e la chiave è ancora al suo posto.» disse Mhok con calma.

[Ma…]

«Resta a casa mia, non oserebbe venire lì. Almeno posso proteggerti finché le cose non si calmano. Poi potremmo parlare del resto.» Mhok concluse la conversazione con queste parole. Phorjai accettò il suo suggerimento e disse che sarebbe stata a casa sua quella notte.

Day fingeva ancora di dormire, regolando il respiro per renderlo realistico. Sentì Mhok ridacchiare leggermente, ma non disse nulla. 

Dopo un po’, Day si addormentò davvero. Quando Mhok lo svegliò e gli disse che erano arrivati a casa, il cielo grigio e le luci fioche che lo circondavano gli suggerirono che era notte. L’assistente aprì la porta e lo condusse dentro. Day stava pensando se lasciare che Mhok gli leggesse il libro appena comprato, poiché pensava che anche lui dovesse essere molto stanco.

«Chi ti ha dato il permesso di portare Day fuori di casa?» Una voce severa si levò nel momento in cui entrarono in casa.

Come poteva sua madre essere già tornata? Avrebbe dovuto essere a Milano, a progettare le cucine di un albergo, restandoci almeno un mese; ma eccola lì. Day cercò di vedere chiaramente, ma non c’erano dubbi che fosse davvero sua madre.

«Ho chiesto io a Mhok di portarmi fuori.» rispose con fermezza, senza dare all’altro ragazzo la possibilità di rispondere. «Se vuoi incolpare qualcuno, incolpa me, non lui.»

Day fece un passo avanti, disposto ad assumersi la responsabilità.

«Anche se è Day a chiedertelo, non hai il diritto di portarlo lontano da casa. Ho già detto che non ti è permesso farlo uscire senza di me o in compagnia di Night. Se succedesse qualcosa, ne sarai responsabile?» La madre di Day rimproverò severamente Mhok.

«Mamma!» Day cercò di discutere.

«Guarda te stesso in questo momento. Perché sei conciato in questo modo? Hai avuto una rissa con qualcuno? Non pensare che io non conosca il tuo passato. So cosa hai fatto prima.» La voce della donna era stanca e ansimante: «So che sei stato in prigione.»

Dopo la feroce accusa di sua madre, tutta la stanza cadde nel silenzio. Era così silenzioso che si sentiva il respiro di tutti. La brezza soffiava nel soggiorno e il solito profumo di Night indicava a Day che anche lui era lì, ma non osava dire nulla.

La notizia del passato di Mhok da sua madre aveva suscitato in Day emozioni molto contrastanti. Non aveva mai considerato la parola ‘prigione’ prima. Phorjai una volta aveva detto che era un combinaguai e indisciplinato, ma Day aveva semplicemente pensato che potesse essere una questione banale, come una rissa o l’essere detenuti, dove si poteva tornare a casa dopo aver pagato una multa.

«Non l’ho nascosto deliberatamente, ma non hai nemmeno menzionato questo problema durante l’intervista. Ma se credi che il mio passato in prigione sia un errore imperdonabile… sono disposto a dimettermi.» Mhok abbassò la testa, il suo tono deluso era completamente udibile.

Day non aveva mai conosciuto Mhok in questo modo prima, né sapeva quale tipo di trauma avesse subito. Non aveva idea di quanto dolore avesse provato a causa delle critiche e giudizi da parte della società

«No, non puoi andartene… non ti permetterò di andartene.»

«Day!» Mhok fece cenno a Day di smettere di parlare, mentre sua madre quasi gridava il suo nome con rabbia e delusione.

Day sentì Night che cercava di confortare sua madre e di calmarla. In quel momento, le quattro persone nella stanza erano ugualmente nervose e ognuno aveva i propri problemi e fardelli da sopportare.

«Non penso che essere stato in prigione influenzerà la sua capacità di prendersi cura di me. Phi Mhok si prende cura di me e mi capisce meglio dei cosiddetti assistenti familiari professionisti che mi hai fatto incontrare. Tutti meritano di essere perdonati e avere una seconda possibilità, vero, mamma? Se dovesse fare qualcosa di sbagliato, sarei il primo a chiedergli di andarsene.» spiegò Day con decisione, e poi ordinò specificatamente a Mhok di accompagnarlo di sopra in camera da letto.

«Va tutto bene, mamma, lo terrò d’occhio. Non dovrebbero esserci problemi seri. E Mhok era in prigione solo perché nessuno garantiva per lui, non perché avesse svaligiato la casa di qualcuno.» Night parlò per la prima volta. Il fratello maggiore sembrava chiedere a tutti di fare un passo indietro.

Mhok condusse silenziosamente Day in camera da letto. Il ragazzo più giovane si sedette sul letto, cercando di riordinare i pensieri caotici nella sua testa, mentre l’assistente avvicinò e aprì le tende. Il cielo si era oscurato, aprirle o meno non faceva alcuna differenza.

«Se guardi attentamente da vicino, riesci a vedere, vero?» chiese Mhok, poi si avvicinò, tenendo in mano un sacchetto di plastica tondo, con all’interno qualcosa di sconosciuto. Lasciò che Day provasse a toccarlo, prese l’oggetto in mano e lo guardò da vicino, quasi fino a toccarlo con il naso. Era un grosso pesce rosso. Mhok gli disse di averlo comprato al mercato di Chatuchak.

«L’ho comprato per tenere compagnia a Jinsei. L’ho visto lì senza nessuno e ho pensato che potesse sentirsi solo.» C’era un po’ di tristezza nella sua voce.

«Qual è il suo nome?» chiese Day.

«Si chiama Nozomi…» rispose Mhok, «Significa speranza.»

Dopo che il proprietario di Jinsei ebbe acconsentito, Mhok portò Nozomi a incontrare il suo nuovo amico. Fortunatamente, non c’era molta differenza tra la temperatura dell’acqua nella borsa e quella nell’acquario, quindi il processo di trasferimento non fu così problematico. Day rimase a guardare in silenzio l’uomo, mentre i pesci rossi cominciavano a conoscersi. Anche se tutto ciò che vedeva era sfocato come un dipinto ad acquerello, continuava a fissarlo intensamente.

«Torno a casa, allora.» disse l’uomo vestito di un verde brillante, mentre faceva finta di uscire dalla stanza.

«Se domani non vieni al lavoro, ti seguirò e verrò a picchiarti. So già dov’è casa tua, non pensare che non osi tornare.» Day aveva espresso i suoi pensieri senza esitazione.

«Day!»

«Oggi è stata la prima volta che sono uscito di casa. Ero molto emozionato e nervoso. Avevo paura degli occhi degli altri, paura di essere deriso e di diventare lo zimbello degli altri per la mia cecità. Ma sai una cosa? In effetti non interessa a nessuno. Ero solo io, che ero così preoccupato che riuscivo a malapena a superare la mia paura.»

Mhok rimase in silenzio per un po’ dopo aver ascoltato le parole di Day. Quest’ultimo fece una pausa, non sapeva come esprimere bene quella sensazione.

«Se non vuoi che gli altri ti giudichino, smetti di giudicare te stesso.» Day concluse con questa frase. Un’espressione di sollievo si distese sul viso di Mhok. Anche Day sorrise, poi cambiò argomento; prese il libro, che aveva comprato quel giorno, per leggerlo.

«Hai bisogno di tornare di corsa da Phorjai?» chiese.

«Oh, a quanto pare stavi fingendo di dormire prima. Pensavo che stessi dormendo per davvero.» Mhok sorrideva mentre parlava, ma allo stesso tempo c’era una strana sensazione nella stanza. Prima che Day si rendesse conto di essersi lasciato sfuggire qualcosa, era già troppo tardi.

«Non c’è bisogno di ridere se lo sapevi già. Allora, hai fretta di tornare?»

«Non preoccuparti, non succederà nulla se non torno a casa subito. Day, cosa vuoi che faccia?»

«Leggi per me, per favore.»

Era la storia del viaggio di una ragazzina. La prima pagina raccontava di una ragazzina che lentamente cominciava a svanire, ma poteva essere visto alla luce del sole. Pertanto, la ragazzina doveva utilizzare ogni mezzo possibile per trovare un modo per permettere al suo corpo di continuare ad esistere. Anche se sulla sua strada c’erano disperazione e confusione, c’era ancora speranza.

«Pensi che un giorno sparirò?» chiese Day a Mhok, ma non ci fu risposta.

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