TE NO NARU HOU E – CAPITOLO 2

«È successo qualcosa di bello?»

Pochi giorni dopo aver incontrato l’uomo, mentre Tatsumi stava timbrando* la sua firma su alcuni documenti poco prima della pausa pranzo, la dipendente che glieli aveva portati gli rivolse improvvisamente questa domanda.

*(N/T: i giapponesi non hanno la tipica firma fatta a mano, bensì dei timbri personalizzati con il loro nome.)

«Eh… Cosa intendi?»

«È solo che, in questi giorni sembri felice, Konno-san… Ah, poi, per favore, timbra qui e qui.»

«Eh, sì. No, eh? È… è così?…»

La dipendente si lasciò scappare una debole risata per l’apparente angoscia di Tatsumi. Lui non era sicuro di che tipo di espressione avesse sul suo viso, ma non era sua intenzione creare un’atmosfera del genere sul lavoro, quindi si sentì in preda al panico.

Da quando non poteva più vedere i volti degli altri, aveva smesso di avere coscienza anche del proprio volto. Quando frequentava la scuola per ciechi, uno dei suoi compagni di classe ipovedenti gli aveva detto che le sue espressioni erano chiaramente visibili sul suo viso.

E poiché fino ad ora i suoi colleghi non avevano chiacchierato con lui o qualcosa del genere, si sentiva eccessivamente imbarazzato.

Non ricordava di aver sentito la voce di quella donna fino ad ora. In ogni caso non doveva essere una collega della sua stessa età.

La giovane donna ridacchiò con voce acuta e chiese in tono scherzoso: «È forse a causa della tua ragazza?»

«Ah!? No, sicuramente non è niente del genere… Uhm, i documenti sono tutti pronti, vero? Adesso vado a pranzare.»

Dopo averlo detto, Tatsumi afferrò il suo bastone bianco e si alzò agitato. 

«È scappato~ Che sospetto~» disse la voce da dietro, ma lui fece finta di non sentire nulla e se ne andò.

Non avevano nemmeno avuto una vera e propria conversazione, eppure lei aveva sollevato un argomento così suggestivo. Si sentiva insolitamente scosso. Sebbene la sua risata suonasse ‘scherzosa’, non lo era in modo malizioso.

Rendendosi conto di non essere riuscito a sapere come si chiamava la collega, Tatsumi si diresse verso il suo solito parco. Si affrettò verso le panchine e si lasciò cadere con un tonfo violento.

«…Oggi è successo qualcosa?» Una voce sorpresa da dietro intervenne, colpita dalla sua irruenza. Il proprietario della voce era ovviamente l’uomo che aveva conosciuto il giorno prima: Kusamakura.

«C-ciao. Non è niente… Oh! Fa caldo anche oggi, vero?»

«Oh, sì… Anche se è già autunno.»

Di fronte allo stato perplesso di Kusamakura, Tatsumi scosse la testa con determinazione. Sentendosi tutto confuso dentro, aprì la bottiglia d’acqua e bevve vigorosamente. Dopo averlo fatto, emise uno sbuffo d’aria, sconcertato dal motivo per cui si sentiva così scosso.

Dopo il primo giorno in cui l’uomo lo aveva chiamato, a parte i giorni di pioggia, si sedevano sempre lì e parlavano.

Sembrava che l’uomo con lo strano nome di Kusamakura stesse sempre sonnecchiando nel posto ombreggiato dietro la panchina del parco dove si trovava il prato. Ogni volta che Tatsumi veniva, gli parlava. Il dipendente era preoccupato di disturbarlo durante la pausa pomeridiana, ma il solo fatto di poter parlare con qualcuno era davvero divertente.

Era solo sia a casa che a lavoro. Anche se non trovava solitario quel tipo di ambiente, ogni volta che parlava con Kusamakura si rallegrava. Ciò accadeva senza dubbio perché l’uomo non diceva né faceva nulla che potesse rendere Tatsumi cosciente della sua vista.

«…Oggi fa caldo ed è sereno, ma domani pioverà.»

«Eh, è così? Anche se oggi il tempo è così bello…»

C’era abbastanza sole quel giorno, e anche Tatsumi poteva dirlo senza nemmeno controllare le previsioni del tempo. Stava per sbottare: «Se domani pioverà, non potremo incontrarci.» ma chiuse subito la bocca. Era consapevole che suonava un po’ strano dirlo tra due uomini.

Fece un piccolo respiro e si voltò: «…Uhm, se non ti dispiace, perché non vieni a sederti accanto a me a chiacchierare?»

Dopo aver espresso un simile suggerimento, non ci fu una risposta immediata. Mentre Tatsumi era agitato e si chiedeva se forse se ne era già andato, pochi istanti dopo, Kusamakura rispose esitante: «Ma la gente ti guarderà in modo strano.»

«Mi guarderà in modo strano?»

Cosa voleva dire con ciò? Intendeva perché erano due uomini seduti uno accanto all’altro? Due amici seduti uno accanto all’altro e che parlavano non sembravano così strani a Tatsumi.

Inoltre, aveva parlato molto con Kusamakura, ma erano sempre Tatsumi sulla panchina e l’altro uomo in piedi dietro di lui. Se gli altri avessero guardato e lo avessero visto, probabilmente avrebbero pensato che stesse parlando da solo. Ciò avrebbe fatto sì che gli altri lo guardassero in modo strano.

Soprattutto, poiché parlavano, era più facile farlo con qualcuno quando era più vicino. Dopo averglielo fatto notare, la risposta di Kusamakura fu comunque cupa.

«Va bene comunque, no?»

«…Cosa c’è?»

«Ad essere onesti, non so davvero di cosa sei così preoccupato, Kusamakura-san… comunque non riesco a vedere quegli sguardi strani.» Tatsumi indicò i suoi occhi. «Vedi? Ecco perché non mi preoccupo davvero che gli altri mi guardino.»

Di solito non avrebbe fatto battute cupe come questa perché la situazione sarebbe diventata imbarazzante, ma, essendo Kusamakura, Tatsumi sentiva che non ne sarebbe stato influenzato. Ci fu un momento di silenzio, ma in seguito, dopo non molto, Kusamakura si lasciò sfuggire una piccola risata: «Sei un ragazzo strano.»

Dopo averlo detto, Tatsumi lo sentì sedersi accanto a lui per la prima volta. La panca era leggermente inclinata verso sinistra. Felice proprio per questo, Tatsumi sorrise.

«Per cosa stai sorridendo?»

«Niente, stavo solo pensando che sei piuttosto obbediente.»

«Co-… tu ..» Sei tu quello che mi ha chiesto di venire, mormorò con voce lieve.

«Mi dispiace, non intendevo metterti in ridicolo.» si scusò Tatsumi.

«Stai zitto.» ribatté Kusamakura.

In base all’eco della sua risposta, era probabile che si fosse allontanato. Forse era solo perché aveva girato lo sguardo dall’altra parte, ma c’era uno strano, morbido profumo che fluttuava da Kusamakura. La fragranza che permeava le narici di Tatsumi era un po’ come quello dei fiori o delle caramelle, ma era anche un profumo che non aveva mai sentito prima.

È profumo? O qualche prodotto per capelli? Non saprei, ma ha un buon odore…

«…Cos-cosa succede adesso?»

«Eh, ah. Mi dispiace!»

Sembrava che inconsciamente si fosse avvicinato troppo. Tatsumi sentì il respiro dell’uomo sulla sua pelle e, agitato, indietreggiò. Non era un bambino, che si confondeva così e non riusciva a mantenere la giusta distanza. Tatsumi si sentì in imbarazzo con se stesso e si strofinò le guance che avevano iniziato a scaldarsi.

«Per favore, scusami, c’era un profumo dolce quindi mi chiedevo cosa potesse essere.»

«…Proveniva da me?»

Alla sua reazione perplessa, Tatsumi si sentì sempre più agitato. Kusamakura non si sarebbe sentito a disagio se qualcosa del genere gli fosse stato detta da un altro uomo? Ancora più importante, la sua osservazione non sembrava un po’ perversa? Mentre continuava a girare in tondo preoccupato, Kusamakura si lasciò sfuggire una piccola risata.

«Penso che in realtà sia tu ad avere un profumo dolce.»

«No… eh?»

Non sapeva davvero come doveva essere il suo stesso profumo, ma quando gli fu detto che ‘aveva un odore dolce’, rimase perplesso, incerto su come reagire. Sembrava un po’ suggestivo, e ripensandoci adesso, Tatsumi era stato il primo a tirare fuori l’argomento. Rendendosi conto di ciò, si sentì sempre più agitato.

Questa volta, fu Kusamakura a ridere dello stato agitato di Tatsumi.

«…Per favore, non prendermi in giro.»

«Sei tu che ne hai parlato, sai?»

La sua risposta allegra fece digrignare i denti a Tatsumi. Si sentiva imbarazzato, ma allo stesso tempo, era da tanto che non riusciva a litigare così con qualcuno della sua età, si sentiva anche felice.

Indovinando da come proveniva dall’alto la voce di Kusamakura, era più alto di Tatsumi. Non sapeva che aspetto avesse, ma secondo lui doveva avere un aspetto ‘unico’. È per questo che andava in giro indossando una maschera da volpe? La domanda venne in mente a Tatsumi ma non la espresse ad alta voce.

Anche se Tatsumi gli aveva chiesto la sua età, lui aveva risposto con una battuta, dicendo che aveva smesso di contare dopo poche centinaia di anni. Quindi Tatsumi non era sicuro del numero esatto, ma in ogni caso non avrebbe fatto differenza. Dalla sua voce calma e dal suo comportamento, non sembrava qualcuno che avrebbe scherzato, ma inaspettatamente Kusamakura faceva molte battute. Stranamente, aveva un lato infantile, e inoltre…

«A proposito, che lavoro fai? Anmashi*?»

«Ah no.»

«Di questi tempi non si dice ‘anma’, ma ‘massaggio*’ o qualcosa del genere, giusto?»

*(N/T: Anma è una forma tradizionale di massaggio giapponese. Secondo Wiki lo Shiatsu moderno ne sarebbe in gran parte derivato.)

Si supponeva che avesse più o meno la stessa età di Tatsumi, ma a volte Kusamakura usava parole antiquate. In realtà non aveva usato nessuna parola occidentale. Era qualcuno che era cresciuto trascorrendo tutto il tempo con la nonna, o forse gli piacevano le opere storiche? Riguardo ai giorni prima della guerra, diceva cose come ‘poco tempo fa’, e aveva un’aria un po’ ultraterrena. Ma era anche piuttosto affascinante.

«Fai massaggi?»

«No, non li faccio, anche se sono qualificato, per ogni evenienza. Lavoro in un call center.»

Ogni volta che parlava di questo, di solito riceveva varie domande del tipo: «Come fai a fare il tuo lavoro?», «Puoi usare un computer?» o «Dato che non puoi vedere la tastiera, come fai a sapere se sbagli a scrivere qualcosa?»

Naturalmente, se avessero lavorato insieme, avrebbero capito, e al giorno d’oggi non aveva molte opportunità di parlare con le persone nel tragitto tra casa e lavoro, quindi non c’erano state molte situazioni in cui gli erano state poste questo tipo di domande.

Si preparò, aspettandosi che anche Kusamakura facesse domande del genere, ma rispose semplicemente con: «Hmm. Un call center, eh? Al giorno d’oggi ci sono molte possibilità.»

Tatsumi sbatté le palpebre alla risposta inaspettata. «…Cosa intendi con ‘al giorno d’oggi’?»

«In passato avresti potuto scegliere tra il monaco, l’anmashi, il biwa o il suonatore di shamisen, giusto? Aah, o forse oggigiorno suonano la chitarra?»

«Biwa, dici… di quanto tempo fa parli!?» Tatsumi rise della battuta inaspettata.

Anche se era giovane, il suo uso costante di ‘questi tempi, al giorno d’oggi’ era comico e faceva ridere Tatsumi. Sentiva spesso i trentenni sul posto di lavoro usare ‘in passato’, quindi anche Kusamakura aveva più o meno la loro stessa età?

Il massaggiatore era infatti ancora un percorso professionale profondamente radicato per le persone non vedenti. Anche più della metà dei compagni di classe di Tatsumi avevano scelto quella carriera.

Biwa? Intende qualcosa come un biwa houshi*?

*(N/T: Il biwa è uno strumento musicale giapponese, un liuto; per biwa houshi si intende un monaco che suona il liuto.)

Nei tempi antichi, il biwa e lo shamisen erano considerati abilità importanti, ma Tatsumi non aveva mai nemmeno sentito nessuno dei due strumenti. Anche adesso, l’idea che qualcuno non vedente suonasse il biwa o facesse il massaggiatore come carriera era buffo.

Erano leggermente fuori sincrono quando parlavano, ma era comunque divertente parlare con Kusamakura.

Dopo aver iniziato a lavorare, non c’erano state molte cose divertenti nella sua vita. Stava solo lavorando per sopravvivere e andare avanti con la sua vita. Dopo aver incontrato Kusamakura, anche se solo durante la pausa pranzo, poter parlare con lui ogni giorno era divertente.

Il fatto che avesse sorprendentemente desiderato la conversazione umana divenne evidente solo dopo aver incontrato Kusamakura. Rendersi conto di essersi sentito solo era un po’ spaventoso e doloroso.

«Cosa c’è che non va?»

«Eh? No, non è niente…»

«Anche se non è niente, hai una faccia così depressa, Tatsumi.» Kusamakura parlava sempre in modo così franco.

Ma quella parte di lui era apprezzata, e Tatsumi sorrise amaramente. «Stavo proprio pensando che in questi giorni, dopo aver parlato con te, ogni giorno è divertente.»

«…»

Kusamakura non rispose. Dopo averlo detto, Tatsumi si rese conto che non era qualcosa che gli uomini si dicevano e andò nel panico, scuotendo la testa: «Non lo dico in un modo strano.»

«Cosa intendi con ‘modo strano’?»

«Eh? No, uhm… quindi quello che intendo è…» La sua esitazione era ancora più sospetta, quindi Tatsumi borbottò «…Uhm, non sono molto legato a nessuno dei miei colleghi.» e poi tacque.

Sono sempre solo.

Le parole che aveva pronunciato, nonostante avesse cercato di farle sembrare meno serie, avevano inaspettatamente risuonato con un senso di sconforto per loro. Onestamente, ultimamente non ci aveva prestato attenzione, ma dopo aver parlato con Kusamakura, gli aveva ricordato che era solo.

«Perché no?»

«Perché sono cieco.»

La prima volta che aveva usato quel motivo era stata certamente una ‘scusa’. Lui era cieco e aveva un ostacolo, ma nessuna di queste era la ragione principale. Era perché era più facile dare la colpa a quello piuttosto che al fatto che ci fosse qualcosa di sbagliato nella sua personalità.

«Quando sono entrato in azienda, molti dei miei colleghi erano preoccupati per me. Ma..»

Ogni volta che la conversazione si trasformava in ‘neanche se lo vedessi ci crederesti’, scendeva un silenzio improvviso. Il fatto che le persone intorno a lui si sentissero a disagio per aver sollevato un argomento che un cieco non avrebbe capito, lo stesso Tatsumi poteva in qualche modo dedurlo.

Anche se c’erano alcune persone che si sentivano dispiaciute, c’erano anche persone che trovavano fastidioso doversi sentire a disagio in una situazione del genere. Ognuno aveva il proprio modo di pensare, quindi a Tatsumi non importava, ma probabilmente ad altre persone si.

Non era che Tatsumi avesse detto qualcosa del tipo: «Per favore, tieni presente che sono cieco.» Non voleva nemmeno questo. Qualcosa come vedere un fiore meravigliosamente sbocciato o che i capelli del direttore delle vendite erano innegabilmente una parrucca, non gli importava di non esserne a conoscenza direttamente. Anche se non lo sapeva, non era nemmeno consapevole che fosse stato omesso, quindi non gli importava.

Ma c’erano persone che ne teneva conto, persone che pensavano che gli dispiacesse, quindi dovevano sempre stare attente a come parlavano.

«A seconda della persona, ognuno ha un comportamento diverso di fronte a una persona cieca. Ci sono persone che fingono di non vederti e ci sono anche persone che ti danno una mano con enfasi. Ma, anche se sono grato a coloro che cercano di aiutare, non ho mai pensato male di coloro che guardano dall’altra parte.»

«…Tatsumi?»

A quella voce incerta, Tatsumi alzò la testa che ad un certo punto aveva abbassato. C’era preoccupazione che trapelava dalla voce di Kusamakura. Non aveva intenzione di cambiare espressione, ma probabilmente stava facendo una faccia molto più cupa di quanto immaginasse.

Agitato, si mise le mani sulle guance. Le sue mani trasmettevano la rigidità della sua espressione. Lo interpretò con un sorriso forzato.

«Inoltre, le persone che danno una mano, non sempre conoscono il modo corretto di aiutarmi.»

Era grato per la loro disponibilità ad aiutare. Quella non era una bugia.

«Più o meno nel periodo in cui ero appena entrato in azienda, una delle colleghe ha afferrato il mio bastone bianco.»

La donna, Yamauchi, probabilmente stava cercando di essere premurosa.

Era una donna che parlava con voce forte e chiara e con franchezza. La sua altezza era simile a quella di Tatsumi e sembrava magra, ma camminava con tacchi che sferragliavano rumorosamente. Camminava molto più velocemente delle donne intorno e sembrava anche che svolgesse il suo lavoro molto più velocemente degli altri. Probabilmente, ora che ci pensava, era stata lei, il primo giorno, a dirgli di non tirarsi indietro e di chiedere qualsiasi cosa. Ecco perché era diventata impaziente con Tatsumi che stava camminando, tastando intorno con il suo bastone bianco, e aveva cercato di guidarlo. Probabilmente.

«Non è lì, è qui!» All’improvviso lei gli aveva urlato forte nell’orecchio, aveva afferrato il suo bastone e lo aveva trascinato.

Il suo bastone bianco sostituiva i suoi occhi e, in alcuni casi, era qualcosa come un’altra gamba. Senza alcun preavviso, lei l’aveva afferrato e lui aveva perso l’equilibrio, quasi cadendo.

Ad esempio, nelle situazioni in cui chiedeva indicazioni, sarebbe stato meglio che le persone, per guidarlo, gli tenessero le braccia, non le mani. In quel modo era molto più stabile. Per un cieco come lui, il semplice fatto di perdere l’equilibrio era già abbastanza spaventoso. Non era sempre una superficie piana quella su cui poteva cadere.

Oltre ad essere stato improvvisamente sgridato e spaventato, gli era stato anche afferrato il bastone, quindi aveva istintivamente tirato indietro la mano. Molto probabilmente, trovando quell’azione molto scortese, la donna aveva emesso un suono interrogativo e scontento. Quando Tatsumi si era reso conto che si trattava di una situazione spiacevole, era ormai troppo tardi.

E poi, senza nemmeno aspettare le sue scuse, con aria risentita, lei gli aveva detto: «Mi dispiace se mi sono intromessa.» e se n’era andata.

La sua voce che si affievoliva gradualmente, mentre spiegava che non gli piaceva che gli venissero afferrate le mani o il bastone, molto probabilmente non era stata sentita da nessuno.

«… Dopo quel giorno, non ho parlato quasi più con nessuno dei miei colleghi.»

Il giorno seguente nessuno era venuto a parlare con lui. Tanto per cominciare, i suoi colleghi erano soprattutto donne. Se avesse reso una donna sua nemica, era inevitabile che sarebbe stato respinto dalle altre. Tuttavia, l’unica cosa che lo salvava era il fatto che non fosse un luogo di lavoro in cui era così necessario parlare con gli altri.

Tuttavia, ogni volta che si trattava di avere una piccola ‘conversazione’, quello che lo contattava di più era Yamauchi. Abituarsi allo stretto contatto con Yamauchi, che non cercava nemmeno di nascondere i suoi sospiri e il suo umore ostile, era stato un ostacolo difficile.

La sentiva borbottare cose come «Che rompicoglioni.» o «Anche se non lavora più di noi, la paga è la stessa.», mentre passava davanti alla sua scrivania, ma lui continuava a restare zitto.

Quando Tatsumi tacque, Kusamakura non disse nulla.

…Hm? È ancora accanto a me?

Dato che Kusamakura non diceva nulla, Tatsumi si sentiva ansioso. Per scomparire davanti al cieco Tatsumi non c’era nemmeno bisogno di andarsene, bastava semplicemente tenere la bocca chiusa. Non riusciva nemmeno a percepire dove si trovasse. Sebbene non potesse vedere, girò il viso nella direzione in cui avrebbe dovuto trovarsi Kusamakura. Al movimento di Tatsumi, l’uomo misterioso parlò a bassa voce.

«Non preoccuparti. Nemmeno io ho amici o altro.»

«…Eh?» Tatsumi rimase sbalordito dall’improvviso tentativo di consolazione.

«Ad essere sincero, non capisco davvero quel genere di cose sulle ‘relazioni umane’. Non ho amici, né ‘colleghi’, ma non ho mai pensato che fossero necessari.»

Tatsumi chiuse la bocca spalancata alla sua semplice affermazione. Non pensava che le parole di Kusamakura lo accusassero di essere un ragazzo debole. E proprio per questo, trovava la loro forza abbagliante. Sembrava che ci fosse un’implicazione nell’affermazione di Kusamakura, che c’era stato un momento in cui anche lui si era sentito solo.

«…Mi chiedo se un giorno anch’io mi sentirò così.»

Se c’erano persone che potevano superare i sentimenti di solitudine e dolore, allora anche Tatsumi avrebbe lavorato duro su questo. Mentre inclinava la testa verso il basso, determinato, sentì qualcosa toccargli la sommità della testa. Allungò la mano, volendo controllare cosa gli toccava la testa. Nel momento in cui la toccò, fu sorpreso di scoprire che si trattava della pelle soda e fresca di una persona.

Kusamakura gli stava accarezzando la testa.

Forse dal punto di vista di Kusamakura, Tatsumi sembrava un bambino indifeso che aveva bisogno di essere accarezzato sulla testa. Tuttavia, l’uomo più giovane si sentiva in imbarazzo con se stesso per trovarlo inaspettatamente piacevole.

«Ti senti solo, Tatsumi?»

Lui rimase sorpreso dalla domanda semplice che Kusamakura aveva pronunciato a bassa voce.

Era già un membro attivo della società e aveva circa vent’anni. Non si sarebbe mai aspettato che gli venisse chiesto se si sentisse solo in modo così diretto. Per un attimo rimase senza parole. «…Non mi sento solo.»

«Non devi mentire. Beh, anche se dici la verità, non posso farci niente.»

«N-Non è una bugia. Inoltre, non è vero. In questo momento, poterti parlare in questo modo è divertente.» Per Tatsumi, le cui giornate trascorrevano come routine senza nessuno con cui parlare, quella era l’unica ora del giorno in cui poteva parlare con qualcuno.

«Anche oggi una mia collega… Non so come si chiama… Mi ha chiesto se oggi fosse successo qualcosa di bello. In questi giorni penso di sembrare un po’ felice rispetto agli altri.»

Quando Tatsumi strinse la mano di Kusamakura, lui la allontanò in preda al panico. Poiché Tatsumi si sentiva un po’ a disagio, Kusamakura, pensando di averlo respinto in qualche modo, si schiarì la gola con un colpo di tosse. «…Se è così, allora va bene. Mmmm.»

La sua risposta sembrò imbarazzata e Tatsumi voltò lo sguardo dall’altra parte.

Cosa sto dicendo? Sono un idiota? Non è possibile che un uomo sia felice di sentire qualcosa così. Non sono un bambino…

Era ancora più imbarazzato per le sue stesse osservazioni.

C’era un residuo di piacevolezza nel punto della sua testa dove era stato toccato, e Tatsumi si accarezzò le guance che continuavano a diventare più calde.

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