TE NO NARU HOU E – CAPITOLO 1

Verso il futuro

Konno Tatsumi ricordava chiaramente il giorno in cui era diventato cieco.

Non era così piccolo all’epoca e, per così dire, quello fu il giorno che gli cambiò completamente la vita. Quindi, anche se avesse voluto dimenticare, non era qualcosa che poteva fare.

Tanto per cominciare, gli occhi di Tatsumi avevano avuto molti problemi fin dall’inizio. Senza occhiali, la sua persistente ipovisione e i sintomi della cecità notturna, comparsi durante l’infanzia, erano evidenti.

La sua vista, che andava svanendo di giorno in giorno, gradualmente ma inesorabilmente, era qualcosa che temeva nel profondo, e ogni mattina si svegliava chiedendosi cosa avrebbe fatto se non avesse più potuto vedere. E ogni notte il suo cuscino era bagnato di lacrime.

Aveva definitivamente perso la vista quando aveva quattordici anni.

Ogni volta che menzionava la sua età, spesso riceveva risposte del tipo: «Aah, magari potrai vedere finché non sarai abbastanza cresciuto.» Tuttavia, sebbene il decorso della malattia fosse diverso da persona a persona, alla fine la progressione di Tatsumi fu più rapida di quella degli altri pazienti. Diversamente da lui, gli altri, affetti dalla stessa malattia, avevano perso la vista nel corso di diversi decenni.

Anche se prima poteva vedere, la sua vista era già notevolmente diminuita e gli occhiali e le lenti a contatto non gli erano più di grande aiuto. In quel periodo, a poco a poco, aveva iniziato a usare un bastone, imparando cose come il Braille e il software di sintesi vocale e una combinazione di altre cose.

Il giorno in cui perse la vista il cielo era nuvoloso.

Nelle giornate nuvolose e piovose gli era difficile vedere se non accendeva la luce. Così quel giorno, chiese alla sorella minore di accendergli la luce. La risposta che ricevette fu: «Va bene, comunque il tempo è davvero bello oggi!»

Dopotutto quel giorno non era nuvoloso. Era una bella giornata senza nemmeno una nuvola in cielo. Il sole che splendeva nel loro soggiorno era quasi accecante. Anche se sua sorella aveva risposto senza esitazione, Tatsumi sentì un certo disagio. Sua madre conosceva già i dettagli sulla progressione della sua malattia ancor prima di lui, quindi probabilmente ne era già a conoscenza.

Intorno al pomeriggio, gli occhi di Tatsumi non riuscivano più a vedere nulla.

Proprio come nell’istante in cui l’otturatore di una macchina fotografica si chiude, come se si chiudesse dall’esterno verso l’interno, il suo campo visivo venne coperto dall’oscurità.

Tatsumi, che era seduto in classe ad ascoltare la lezione, rimase ammutolito dalla sorpresa e si bloccò. Anche dopo la fine della lezione, non riuscì a muoversi per un po’. Quando il suo insegnante di matematica lo chiamò, il congelato Tatsumi, come se stesse parlando del problema di qualcun altro, rispose: «Sensei, sembra che non riesca più a vedere nulla.»

Ora che ci pensava, il suo professore, dopo aver sentito un annuncio così grave, doveva essere entrato nel panico nel profondo.

Tatsumi era stato composto. Ma ciò non significava che fosse calmo. Non poteva fare altro che essere scosso e rimanere seduto lì, completamente stordito.

La sua vista era scomparsa, e riusciva a malapena a distinguere la luce e l’oscurità. Ma anche quella era limitata a una giornata soleggiata. Ne fu felice e anche risentito, pensando che se non avesse potuto vedere nulla, si sarebbe arreso.

Conservava una piccola speranza che forse, per qualche caso, a volte avrebbe potuto vedere e a volte no, a seconda delle sue condizioni, ma le retine di Tatsumi non avrebbero mai più riflesso un’immagine.

**********

Presente

«Ah…»

Seduto sulla panchina nel parco vicino all’ufficio dell’azienda, Tatsumi addentò il suo panino ed emise un sospiro. Il parco, abbastanza grande pur essendo nel centro della città, era circondato da alberi. La luce solare penetrante del caldo di fine estate formava una fitta ombra di alberi sulla panchina e creava un’atmosfera confortevole.

Poco dopo essersi unito alla compagnia, Tatsumi pranzava in quel posto tutti i giorni, tranne nei giorni di maltempo. Quella pausa pranzo era l’unico momento in cui riusciva a sentirsi sollevato. Emettendo un altro sospiro, iniziò a masticare il suo panino.

Il panino di oggi è prosciutto e verdure. Ieri erano fragole e panna montata… Non mi sembrava di aver effettivamente mangiato un pasto.

Inoltre, la sua bocca, che non vedeva l’ora di assaggiare qualcosa di salato, era rimasta più che sorpresa nell’istante in cui il sapore dolce e acido aveva cominciato a diffondersi il giorno prima. In confronto a ciò, oggi era stato un successo. Di solito era solo un semplice panino o una polpetta di riso del minimarket, ma per Tatsumi, che era cieco, era come una box a sorpresa o una roulette russa.

Non poteva disturbare il dipendente nelle mattine impegnative per chiedergli informazioni sul contenuto interno del cibo. E per non parlare del fatto che non era nemmeno sicuro se la persona con cui stava parlando fosse un dipendente o meno.

Ecco perché quando sceglieva cosa comprare, lo faceva con noncuranza. C’erano volte in cui riusciva a capire di cosa si trattava semplicemente toccandolo, ma era anche divertente non sapere cosa avrebbe ottenuto. Inoltre, gli altri clienti non avrebbero apprezzato il fatto che avesse toccato tutta la merce, quindi qualunque cosa avesse preso a caso sarebbe stata ciò che avrebbe portato alla cassa.

Sono felice che la scelta di oggi sia un successo.

Lasciando che un sorriso sbocciasse naturalmente ​sul suo volto, Tatsumi portò il panino alla bocca. Qualcuno avrebbe potuto chiedersi perché fosse così felice per una cosa del genere, ma gli piaceva pensare che accontentarsi delle cose più piccole fosse la sua capacità speciale. Poiché non poteva fare nulla per la sua situazione, aveva deciso di vivere la sua vita pensando in modo positivo.

Mentre sgranocchiava il suo panino, sentì un gruppo di ragazzi che camminavano dicendo che sentivano odore di curry. Dato che quella zona era nel bel mezzo del quartiere degli affari, l’area circostante era piena di ristoranti e food truck, ma gli odori più forti che invadevano la cavità nasale di Tatsumi erano quelli dei pranzi scolastici.

A quanto pare c’erano un asilo e una scuola media molto vicini; si sentivano le voci acute dei bambini e si diffondevano gli odori delle mense scolastiche.

Ma non sempre riesco a capire quale sia l’origine del profumo… Il curry però è facile. Ah, mi è venuta voglia di mangiare curry adesso…. Tatsumi non cucinava molto, quindi non aveva l’opportunità di mangiare molto curry. La prossima volta prenderò semplicemente il curry preconfezionato, pensò. Decidendo che anche quello fosse abbastanza buono, Tatsumi si mise in bocca l’ultimo pezzo del suo panino.

Con calma, mise l’involucro del sandwich in una borsa e, dopo essersi riposato per il resto della pausa pranzo, afferrò il suo bastone bianco elettronico e si alzò.

Ripercorrendo i suoi passi lungo il sentiero familiare, ritornò in ufficio. L’ascensore aveva la marcatura Braille; presumibilmente era stata aggiunta dopo che Tatsumi si era unito alla compagnia. Toccato dalla considerazione dell’azienda, ogni volta che prendeva l’ascensore si sentiva felice e grato.

Passando attraverso il gate di autenticazione delle impronte digitali, aprì la porta dell’ufficio. Apparentemente era qualcosa che l’azienda aveva introdotto circa dieci anni prima. Era stata una coincidenza che il sistema dell’azienda non utilizzasse una carta o una chiave, ma per Tatsumi era stato estremamente utile.

«….Sono tornato.»

Eppure, aprendo la porta, l’umore allegro di poco prima cessò improvvisamente. L’unico che aveva mostrato una reazione alla voce di Tatsumi era stato il suo capo maschio. Nessun altro aveva risposto. Dal momento che non poteva vedere, non sapeva se ci fosse qualcun altro lì oppure no.

Tatsumi, cercando di rimanere il più positivo possibile in quell’ambiente in cui doveva auto sostenersi, si accorse che la sua espressione si era irrigidita.

I deboli suoni del ticchettio di una tastiera, dello scricchiolio di una sedia e della digitazione su un cellulare risuonavano nei suoi timpani, ma Tatsumi si comportò come se non sentisse nulla, tornò al suo posto e indossò le cuffie collegate al suo computer.

Il suono del software di sintesi vocale, la voce del cliente al telefono, tutto questo poteva essere ascoltato attraverso le sue cuffie, il che gli permetteva di sfuggire al suono dell’ambiente circostante.

Questo era il terzo anno di Tatsumi in azienda, dopo essersi diplomato e aver ottenuto il lavoro qui. Sapeva svolgere bene il suo lavoro, ma non c’era nemmeno una persona tra i suoi colleghi con cui scambiasse qualche parola. Si poteva dire che la causa era che si trattava di un luogo di lavoro composto principalmente da dipendenti donne, ma non poteva essere l’unico motivo.

Era un call center relativamente grande che gli era stato presentato dal suo insegnante della scuola per ciechi. Era stato assunto attraverso la politica di collocamento dell’azienda per i disabili*. Aveva sentito che il suo capo, mostrando interesse dopo un colloquio con il suo insegnante, aveva suggerito all’azienda di preparare tutta l’attrezzatura necessaria. Naturalmente, Tatsumi sembrava essere la loro prima assunzione per non vedenti e c’erano state molte volte in cui le cose erano un po’ confuse per entrambe le parti. Sembrava che in uno degli altri uffici ci fosse una dipendente con disabilità uditiva, ma Tatsumi non l’aveva mai incontrata.

Gli amici della sua sorellina gli avevano già chiesto come faceva a lavorare se non vedeva, ma in realtà non era un grosso ostacolo quando si trattava del suo lavoro. Al giorno d’oggi, computer e telefoni erano tutti dotati di applicazioni di sintesi vocale. Tatsumi, che non aveva amici, non ne sapeva molto, ma, per esempio, se una persona non poteva vedere, bastava che si abituasse all’applicazione: non avrebbe avuto problemi a scrivere e-mail, postare sui social media, o leggere notizie su Internet.

Finché si aveva una buona padronanza dei vari strumenti disponibili per i non vedenti, non c’era davvero nulla al lavoro che non si era in grado di fare. Se i documenti dovevano essere timbrati o se le copie cartacee dei documenti dovevano essere inviate per posta ordinaria, si sarebbe fatto affidamento sull’aiuto degli altri. Tuttavia, questo era il limite. E fino ad ora, non c’era stato alcun collega di Tatsumi che non lo avesse aiutato quando ne aveva bisogno.

Tatsumi sentì un colpetto sulla spalla e si tolse le cuffie.

«Konno-san, hai finito di controllare i biglietti da visita?»

La voce ferma che pioveva dall’alto fece sussultare Tatsumi. «Sì… sono pronti a partire.»

Riuscì in qualche modo a sorridere e rispondere. Il proprietario della voce era Yamauchi, un’impiegata senior che si era unita alla società cinque anni prima di lui. Sebbene fosse stata la prima persona a parlargli, la sua voce conteneva sempre una traccia facilmente riconoscibile di ‘esasperazione’.

«Scusami, mi…»

«Dal momento che non ci sono stati problemi, allora avresti dovuto informarmi. …Ah, è difficile per te, immagino, quindi dovrei essere io a tendere la mano. Mi dispiace.»

Perdendo l’occasione di scusarsi, Tatsumi tacque.

Era consapevole che l’e-mail diceva che se ci fossero stati errori di battitura sul biglietto da visita, avrebbe dovuto contattare il Dipartimento Affari Generali. Poteva aver trascurato il promemoria. Dato che era cieco, non era stato in grado di verificarlo subito, quindi doveva essere questo il motivo per cui Yamauchi aveva fatto di tutto per venire a controllare.

«Dato che il resto di noi non sa leggere il Braille, non sappiamo se ci sono errori di battitura. Scusa, ti disturbo per ogni piccola cosa come questa quando sei occupato…»

Non riusciva a capire se ci fossero cattive intenzioni o meno, ma quelle parole che certamente contenevano veleno lo fecero ritrarre.

I biglietti da visita realizzati per Tatsumi avevano il Braille sopra. Lui stesso non aveva avuto molte opportunità di usarle, né l’opportunità di riceverne da altri, ma le carte degli altri dipendenti probabilmente non avevano il Braille sopra. In realtà, sarebbe stato meglio se lo avessero avuto anche loro.

Anche se aveva qualche dubbio, non era dell’umore giusto per fare una domanda del genere, quindi chinò ancora una volta la testa. «Uhm… grazie mille.»

«Va bene. Allora suppongo che non ci siano problemi, giusto?»

Lei emise un sospiro esasperato, e Tatsumi perse ancora una volta la possibilità di rispondere. Sentì un dolore lancinante intorno alla zona dello stomaco. Non appena sentì i passi di Yamauchi allontanarsi, lo schiocco acuto della sua lingua gli pizzicò i timpani. Il suo udito, che si era affinato dopo aver perso la vista, finiva sempre per captare rumori indesiderati.

Con un sorriso amaro, Tatsumi tornò alla scrivania e si mise le cuffie.

La ragione per cui Yamauchi aveva sempre un atteggiamento teso era probabilmente la sua spiacevole esperienza con lui. Nonostante ciò, per qualche ragione, veniva sempre con delle commissioni per Tatsumi. Poteva essere che le fosse stato imposto.

Potrei chiedere che lo faccia qualcun altro… No, dire una cosa del genere è un cattivo karma.

Dato che si trattava di Yamauchi, lei lo sopportava e faceva il lavoro. Ma se il messaggero fosse cambiato, non era affatto improbabile che la nuova persona non non sarebbe stata in grado di continuare a farlo.

Tatsumi era grato per tutte le cose che aveva fatto per lui ma non c’erano dubbi sul fatto che, tuttavia, era difficile avere a che fare con Yamauchi. Non era solo lei, il motivo per cui i suoi colleghi gli davano una mano non era solo per gentilezza.

Se Tatsumi non si fosse accorto di alcuni documenti, la colpa non sarebbe stata sua che era disabile, ma dei suoi colleghi che avevano lasciato alcuni documenti ad un collega cieco senza dire nulla. Era stato Yamauchi a dirglielo circa sei mesi dopo il suo ingresso in azienda.

Anche se avessero aiutato, Tatsumi stesso non aveva alcuna intenzione di essere un inconveniente. Tuttavia, in realtà, se veniva criticato per essere un inconveniente, non c’era modo di smentirlo. Era stato troppo ingenuo. Solo perché l’azienda lo aveva accettato non significava che i suoi colleghi avessero la stessa visione, né tutti i dipendenti l’avrebbero accettato favorevolmente.

Dato che Tatsumi era diventato un dipendente, poteva sentire che ogni volta che uno dei suoi colleghi doveva contattarlo, c’era un’aria di fastidio che permeava l’ufficio. A parte Yamauchi, non aveva molte opportunità di interagire molto con gli altri, ma il fatto che lei fosse l’unica a parlargli era una prova sufficiente che gli altri lo trovassero problematico.

Anche se non poteva vedere, poteva almeno percepire. Anche se non era sicuro se l’altra persona stesse cercando intenzionalmente di farglielo notare oppure no.

Di fronte a una persona disabile, ci sono alcune persone che si sentono obbligate ad aiutare più del necessario, e ce ne sono alcune che, indipendentemente dal fatto che lo aiutino o meno, trovano difficile interagire con loro. Quest’ultimo caso era probabilmente il più comune tra i suoi colleghi.

……Non c’è niente da fare, eh. È vero che ci saranno più problemi e preoccupazioni. Inoltre, la colpa è mia per aver commesso quell’errore durante il nostro primo incontro….

Il problema non era che fosse cieco…ma lui stesso.

Dovrei cercare di non essere così duro con me stesso, pensava tra sé.

Ma ogni volta che riceveva aiuto da qualcuno, o veniva imposto a qualcuno, sentiva il bisogno di scusarsi. Aveva paura che gli venisse detto di smettere invece di scusarsi, quindi era passato a dire sempre grazie. Ma probabilmente i suoi colleghi non erano a conoscenza di questo cambiamento.

La situazione attuale era il risultato del suo essere inarticolato e privo di tatto.

**********

Dal momento in cui la prese tra le mani sentì che c’era qualcosa di strano nella polpetta di riso che aveva comprato quel giorno. Sembrava che ci fosse una sorta di ingrediente incorporato sul lato, ma non poteva dire cosa fosse semplicemente toccandolo.

Seduto al suo solito posto sulla panchina del parco, Tatsumi tolse l’involucro e annusò la polpetta di riso. Aveva un vago odore di pesce ma non riusciva ad essere sicuro di cosa fosse. Poi ne prese un boccone con entusiasmo.

OH! È uovo. Nitamago!

Era una pallina di riso dolce-salata ripiena di uovo aromatizzato con salsa di soia. Hanno anche questo tipo di gusto, eh, pensò Tatsumi mentre masticava e si sentiva impressionato dalla quantità di diversi tipi di polpette di riso che aveva il minimarket.

Ora che ci pensava, quando viveva con la sua famiglia, il suo bento conteneva spesso uova sode. Il contorno standard di un bento era probabilmente il tamagoyaki*, ma poiché alla sorella minore non piaceva e poteva mangiare solo uova sode, la madre metteva sempre le uova sode nel loro pranzo. Che fosse salato, con salsa di soia o allo zenzero rosso sottaceto, c’era sempre una varietà.

*(N/T: frittata giapponese arrotolata.)

Dopo il liceo, aveva vissuto nei dormitori mentre frequentava la scuola per ciechi, quindi erano passati cinque anni dall’ultima volta che aveva mangiato il bento di sua madre.

Hmm… questo gusto è così nostalgico.

Mentre masticava in silenzio, prese la seconda polpetta di riso.

«…OH!»

In quel momento soffiò una folata di vento. Fu così forte che quasi portò via la busta del minimarket.

Gli parve di sentire una voce sommessa dietro di lui che diceva: «Ah.»

Il fruscio del vento gli vibrava nei timpani. Sembrava che della spazzatura fosse volata via, o forse qualcosa di leggero stesse rotolando in cerchio.

… Questo mi ha sorpreso. Mi chiedo se sia il vento che soffia attraverso gli edifici. Sembra che ci siano molti edifici in questa zona, quindi il vento è piuttosto forte…

Anche la sabbia del parco sembrava essere stata smossa, poiché si sentiva vagamente l’odore della polvere. Si ricompose e mentre cercava di frugare ancora una volta nella borsa, sentì un colpetto sullo schienale della panca. Il suono era quasi come se qualcuno bussasse alla porta.

All’inizio pensò che fosse solo la sua immaginazione, quindi continuò a mangiare, ma sentì un secondo colpo. Così cominciò a pensare che fosse diretto a lui.

Ma Tatsumi non conosceva nessuno che si sarebbe fatto avanti per richiamare la sua attenzione.

«SÌ?» Guardava dritto davanti a sé mentre rispondeva e la persona dietro di lui iniziò a parlare a voce bassa.

«…La maschera laggiù, puoi raccoglierla per me?»

Era una voce maschile profonda e distaccata, una voce rinfrescante e giovanile. L’uomo aveva forse tra i venti e i trentacinque anni. Sembrava che stesse parlando con la schiena rivolta a Tatsumi, quindi anche se era vicino, sembrava lontano.

«La maschera?» Tatsumi non era sicuro di cosa intendesse.

Come se avesse fretta, l’uomo aggiunse: «Laggiù. È caduta lì, vedi? Una maschera da volpe… Il vento proprio adesso me l’ha portata via.»

«…Aah, una maschera da volpe!» Tatsumi finalmente capì di cosa stava parlando l’uomo, tuttavia, lui non sapeva dove fosse ‘laggiù’.

«Laggiù. È proprio lì, non è vero? Sbrigati-»

«Mi dispiace.»

Quando all’improvviso si voltò, poté dire che l’altro uomo aveva deglutito debolmente. Anche se i suoi occhi erano aperti, le sue pupille che non riflettevano nulla probabilmente erano sembrate strane all’uomo.

Dopo aver perso la vista, gli altri sensi di Tatsumi erano diventati così acuti che anche se si trattava del più piccolo dei respiri, poteva percepire il cambiamento.

Tatsumi mostrò un sorriso ironico all’uomo che non aveva detto una parola. «…Per favore scusami. Io… sono cieco.»

Si sentiva un po’ a disagio nel doverlo rivelare. Di solito l’altra persona si sentiva a disagio, come se avesse toccato un argomento tabù. Anche la persona di fronte a lui adesso non era sicura di come reagire alla confessione di Tatsumi. La sua reazione, però, fu un po’ diversa dal solito.

«Che diamine.» Questo fu il mormorio sommesso che sentì.

Eh?

Non sembrava affatto dispiaciuto né per la rivelazione della condizione di Tatsumi, né per aver chiesto un favore a un cieco. Era semplicemente turbato dal fatto di non essere riuscito a riavere la sua maschera.

Tatsumi si chiese se anche lui fosse cieco, ma sapeva che non era così dai precedenti commenti dell’uomo.

…Non capisco bene, ma sembra che lui stesso non riesca a capirlo.

Aveva pensato di chiedere a qualcuno di aiutarlo, ma il parco era relativamente grande ed era possibile che non ci fossero persone nelle vicinanze. Se questa fosse stata una situazione normale per Tatsumi, avrebbe chiamato, chiedendo a qualcuno di aiutarlo gentilmente, ma l’uomo dietro di lui gli aveva chiesto aiuto a bassa voce, quindi forse non voleva attirare l’attenzione su di sé.

Dopo averci pensato un po’, Tatsumi afferrò il suo bastone elettronico che era appoggiato alla panca e si alzò. «Uhm, per favore aspetta un momento.»

«Eh? Ma tu, i tuoi occhi…»

«Va tutto bene. Probabilmente.» Tatsumi cominciò a camminare lentamente, usando l’estremità del bastone per cercare in giro.

Dato che era una maschera, se avesse camminato lungo la strada e l’avesse colpita con troppa forza, avrebbe potuto rompersi, quindi si limitò semplicemente a sfiorare il terreno. Il bastone bianco elettrico di Tatsumi avrebbe emesso una vibrazione se ci fosse stato un ostacolo di fronte a lui. In realtà non l’aveva mai usato in questo modo prima, ma probabilmente questa funzione avrebbe dovuto funzionare anche quando si cercava qualcosa.

Mentre stava cercando lentamente, si avvicinò ad un certo punto e sentì una piccola vibrazione nella sua mano. Si accovacciò, chiedendosi se fosse la maschera o no, e tastò intorno. Mentre muoveva le mani in tutte le direzioni, le sue dita toccarono qualcosa di solido.

«…Trovata. È questa?» La prese e, mentre la toccava per conferma, il palmo delle sue mani gli disse che si trattava davvero di una maschera a forma di volpe. Poteva distinguere dei buchi vicino alla zona intorno agli occhi.

L’uomo aveva detto che era una maschera da volpe, quindi aveva immaginato una di quelle in plastica che vendono ai festival, ma sembrava che fosse di carta. C’erano delle corde attaccate, ma la lunghezza sembrava differire e quando teneva la maschera, il centro di gravità era leggermente inclinato.

Tenendola in mano, tornò al suo posto e la tese verso lo schienale della panchina.

«Ecco qui.»

L’altro accettò rapidamente la maschera e Tatsumi lo sentì emettere un sospiro di sollievo. Essendo riuscito a restituire correttamente l’oggetto all’uomo, anche Tatsumi si sentì sollevato.

«…Grazie. Ti sono debitore.»

Alla strana espressione antiquata dell’uomo, Tatsumi rispose sorridendo: «Prego.»

Era sempre lui a ricevere aiuto da altre persone. Soprattutto dopo aver trovato un lavoro e vivendo da solo, molte volte aveva sentito chiaramente quel sentimento. Era davvero da tanto tempo che qualcuno non lo ringraziava così.

Sentendosi un po’ imbarazzato per vari motivi, Tatsumi si sedette sulla panchina voltando le spalle all’uomo. Poi prese la sua seconda polpetta di riso. Scartò le alghe attorno e ne diede un morso. Il ripieno era tonno e maionese.

Tatsumi, che aveva iniziato a pranzare al suo ritmo, poteva ancora sentire la presenza dell’uomo dietro di lui. Dopo un po’ l’uomo cominciò a parlare.

«I tuoi occhi non vedono proprio niente?»

Tatsumi ingoiò il boccone di polpetta di riso e annuì. «I miei occhi non vedevano bene da molto tempo, ma sono diventato completamente cieco quando avevo quattordici anni.»

Ecco perché aveva un’idea generale dei colori e conosceva cose come i volti di alcune celebrità.

Dopo aver risposto così, l’uomo aggiunse. «Non puoi guarire? Mai?»

Che persona schietta, eh.

Era meglio che essere trattati con cautela, ma raramente c’erano persone che lo chiedevano direttamente. Nonostante si sentisse un po’ sconcertato, Tatsumi scosse leggermente la testa.

«…Non guariranno. O meglio, dovrei dire che non vi è alcuna garanzia che guariscano.»

«Cosa intendi?»

«Sembra che ci siano alcuni rari casi in cui le persone che hanno subito un intervento chirurgico siano riuscite a vedere di nuovo. Tuttavia, non è un’operazione che può essere eseguita in Giappone e, poiché è una procedura estremamente costosa, non è un’opzione realistica per una persona comune come me.»

Alcuni anni dopo aver perso la vista, sua madre aveva trovato queste informazioni su Internet e ne aveva discusso con il suo medico curante di quel periodo. La risposta era proprio quella che Tatsumi aveva appena riportato.

Non era qualcosa che i Konno, una famiglia di impiegati nella media, poteva permettersi. Detto questo, ci sarebbe voluto molto coraggio per raccogliere fondi. La probabilità non era zero, ma il tasso di successo non era alto. Tuttavia, che si trattasse di un successo o di un fallimento, solo le spese dell’operazione costavano alcuni milioni di yen*. Non riusciva a chiederlo ai suoi genitori, e, inoltre, sarebbe stato difficile per loro comportarsi come se mettere insieme quei soldi da soli non fosse affatto un problema.

*(N/T: circa 12.500€)

Anche se avesse lavorato come un matto e avesse risparmiato, non sarebbe bastato. Arrendersi era stato assolutamente naturale.

«Ormai ho accettato il fatto di non vedere.»

«…Non riesci a vedere nulla in questo momento? Proprio niente?»

Tatsumi, dentro di sé, era scioccato dalle sue incessanti domande. Anche quella precedente era stata schietta, ma fino ad ora Tatsumi non si era mai sentito chiedere queste cose in modo così diretto da una persona vedente.

Piuttosto che essere sconvolto o arrabbiato per questo, lo trovò davvero rinfrescante e divertente.

…Come dire, sembra una persona spensierata.

FInì per ridere involontariamente, al che l’uomo sospettosamente lo sollecitò.

«Non è niente. In questo momento non riesco a vedere nulla. Ma riesco a distinguere tra luce e oscurità. Quindi posso in qualche modo dire quando è giorno o quando il sole sta tramontando.»

«Hmm.»

«Mi stai tenendo una mano davanti agli occhi in questo momento, vero?»

La lieve luce davanti ai suoi occhi, la lieve sensazione del vento sulla sua pelle e i suoni. Mettendo insieme tutti questi elementi, poteva capire cosa stava succedendo, ma la risposta stranamente onesta dell’uomo, «Sì…», che sembrò allo stesso tempo impressionato e scioccato, ancora una volta si rivelò insolita.

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