A TALE OF THOUSAND STARS – CAPITOLO 10

Per Tian Sophadissakul, il figlio più giovane dell’ex-comandante in capo dell’esercito reale thailandese, erano stati due bei mesi quelli trascorsi come insegnante volontario nel villaggio di Akha. Il tempo là scorreva pacificamente. In un solo mese aveva insegnato cose semplici ai bambini e i suoi insegnamenti erano stati trasmessi anche ai loro genitori, che non avevano alcuna possibilità di ricevere un’istruzione formale e le sue lezioni avevano prodotto un buon risultato.  

I contadini e gli allevatori divennero meno aggirabili ai trucchi degli intermediari una volta imparato a leggere e comprendere i numeri sulla bilancia e a capire se qualcosa non tornava; e anche se venivano ancora sfruttati qualche volta, quello era un piccolo prezzo da pagare poiché il loro sostentamento, grazie ai nuovi guadagni, era migliorato notevolmente.  

L’insegnante stesso si era abituato alle difficoltà che si erano trasformate nella sua abituale routine. Tian si recava alla scuola in salita a piedi invece di correre su un tapis roulant. Aveva imparato a mangiare e gustare il cibo che cucinava lui stesso piuttosto che gustarne uno in un ristorante costoso; ascoltava i grilli per addormentarsi invece della musica nei nightclub. Il suo corpo rifiutava sempre meno il nuovo organo. Il suo cuore era palpitante meno frequentemente, tranne quando il massiccio ufficiale era vicino. Quello era qualcosa al di fuori del suo controllo. L’immunosoppressore che aveva portato con sé sarebbe terminato prima dell’arrivo del nuovo anno, ma sapeva che se fosse andato in città, per consultare il suo dottore a Bangkok, sua madre lo avrebbe preso e non lo avrebbe mai più lasciato andare e lui non avrebbe più messo piede in quel villaggio.  

Tian batté la penna sulla scrivania. Aveva lasciato che i bambini tornassero a casa mentre lui terminava di correggere i compiti da solo fino a sera perché il tempo era bello. Il ragazzo di città emise un lungo sospiro e guardò senza meta il panorama fuori.  

Resta solo un mese?  

Si stirò, allontanando la stanchezza, e si alzò per uscire e prendere un po’ d’aria fresca. Era la fine di novembre e la temperatura della collina si era abbassata ancora di più, tanto da dover tenere il piumino tutto il tempo. Alzando gli occhi al cielo, vide come la luce si stava attenuando. Due piccoli aerei familiari volavano fianco a fianco. Khama Bieng Lae gli aveva detto che quella era la stagione giusta per la Royal Rain visto il cielo limpido con poche nuvole sparse. Gli aerei donati dal re sarebbero volati per cospargere cristalli di cloruro di sodio in un cielo limpido con la giusta umidità ad una quota di 7.000 piedi, simulando le  naturali precipitazioni delle nuvole. Quel fenomeno veniva chiamato «cloud seeding«.  

Quando le nuvole salivano fino ad un’altitudine di 10.000 piedi, l’aereo tornava a rilasciare cristalli di cloruro di calcio per alimentare le nuvole ed una volta diventate più grandi, i due aerei si sarebbero precipitati tra le nuvole, attaccandoli simultaneamente: uno avrebbe lasciato cadere cristalli di cloruro di sodio sulla parte superiore delle nuvole mentre l’altro avrebbe rilasciato cristalli di urea con un’angolazione di 45 gradi circa.  Le nuvole, cariche di di pioggia, avrebbero quindi fatto cadere le precipitazioni al terreno, ma la quantità di pioggia dipendeva dalle dimensioni delle nuvole.  

Tian inalò l’aria fresca per un po’ prima di tornare in classe, mettere a posto tutto il materiale e tornare a casa. Fece un cenno ai due ranger, i nuovi arrivati ​​che non aveva mai visto prima, in segno di scusa per averli fatti aspettare così a lungo; il loro compito non si sarebbe concluso fino a quando tutti non fossero tornati alle rispettive case.  

Tian, ancora una volta, era stato fortunato in quanto la moglie di Khama Bieng Lae gli aveva dato una porzione del loro pasto ed anche se erano piatti semplici diventati freddi, rappresentavano ancora una prelibatezza per lui. Dopo aver terminato la cena, mise il bollitore sul fornello per fare un bagno caldo prima che la temperatura scendesse ulteriormente. La forma snella in pigiama, con una maglietta con sopra un pallone da football, si arrotolò in una morbida coperta rugosa. Tian era sdraiato a faccia in giù sui gomiti mentre apriva e rileggeva il diario di Thorfun, una cosa di cui non si stancava mai.  

Tian non sapeva quando si era addormentato, ma nell’istante in cui si svegliò, sentì che il naso era otturato e gli impediva di respirare bene. Aveva sempre avuto questo sintomo quando la sua allergia si manifestava, quindi decise di cambiare postura, mettendosi a sedere, per respirare con più facilità. Tuttavia, quello che inalò era fumo che gli riempì e gli bruciò le narici.  

C’è un incendio?  Da dove viene il fumo?  

Tian balzò in piedi e corse fuori per guardare. Tutto sembrava normale intorno a casa sua, ma una volta scrutato attentamente l’orizzonte, vide il bianco pennacchio di fumo salire in cielo. Doveva trattarsi un incendio, pensò, eppure le sue sopracciglia si aggrottarono perché sapeva fin troppo bene che un simile incidente naturale era fuori discussione. 

Un incendio si sarebbe verificato con molta probabilità se gli alberi avessero perso le foglie secche che, cadute al suolo, si sarebbero accumulate fino a creare una reazione chimica.  Quella zona era piena di piantagioni, quindi era impossibile il verificarsi di un incendio non doloso.  

Presto sentì un forte rumore metallico risuonare non troppo lontano dal loro in tutto il villaggio. Le persone che dormivano si destarono e gradualmente uscirono a gridare l’un l’altro in modo monotono.  

Non va bene!  

Tian afferrò la torcia e si infilò le pantofole prima di correre per unirsi agli altri. Si precipitò a toccare Khama Bieng Lae che stava afferrando la sua stuoia e una coperta mentre i suoi familiari stavano correndo fuori di casa: «Zio … che succede?»  

Bieng Lae sussultò e si spaventò nel vedere l’insegnante. Il viso ruvido con gli occhi che avevano visto il mondo brillava di preoccupazione; la sua bocca si aprì e si chiuse un paio di volte prima che potesse pronunciare una frase: «C’è un incendio sulla collina.» 

«La collina? Cosa c’è sulla collina…?» Si chiese Tian e poi si fermò. Gli occhi a mandorla si spalancarono quando di colpo realizzò l’accaduto.  

Si lanciò via, senza sentire la voce che gli urlava per fermarlo. Il lavoro degli abitanti del villaggio in quel momento non era quello di spegnere il fuoco, ma di inseguire il giovane di città per trattenerlo. La vista della piccola scuola in fiamme davanti ai suoi occhi gli fece diventare le gambe di pietra e il suo cervello divenne vuoto come se qualcuno avesse cancellato tutto dalla sua mente.  

I suoi ricordi… tutti i bei ricordi con i bambini di quella scuola: la lavagna su cui aveva imparato a scrivere con i gessetti bianchi, i libri di testo nell’armadietto, gli aeroplani e gli uccelli di carta… gli aquiloni, tutto stava andando a fuoco.  

La brezza fredda della notte trascinò un pezzo di carta bianca di un aquilone, facendolo finire sulla gamba di Tian che si chinò a raccoglierlo. I suoi movimenti erano più lenti del caos intorno a lui mentre gli abitanti del villaggio e i ranger cercavano di spegnere il fuoco con le loro stuoie. Le linee tracciate con la penna rossa erano ancora visibili sul pezzo di carta… quello era l’aquilone con la faccia da demone che aveva disegnato per qualcuno…era bruciato…carbonizzato…  non c’era più niente!

La mano sottile stropicciò la carta e l’uomo si lanciò in mezzo al gruppo di persone che cercavano di fermare il fuoco, ma si erano fermati davanti le fiamme. Tian si schermò dal calore e dal fumo con le braccia, mentre tutto veniva distrutto dalla fiamma rossa e calda. Gli aquiloni, fatti dai suoi studenti, ormai bruciati stavano cadendo a terra uno per uno, ridotti in cenere cosa che spezzò il suo cuore. Mentre stava per correre dentro la classe, vedendo uno spazio non ancora raggiunto dalle fiamme, due forti braccia lo circondarono e lo fermarono prima che la trave di bambù carbonizzata cadesse su di lui.  

«Che diavolo stai facendo?» Il capitano gridò al giovane che si dimenava tra le sue braccia.  

«Non tutto è bruciato. Vado a tirarli fuori!»  

«Vuoi essere bruciato a morte? La trave sta cedendo!» Il capitano stava cercando di trattenere il giovane che lottava e urlava intenzionato a tuffarsi nel pericolo. 

«Perché non usate l’acqua? È fuoco! Perché lo fermate solo con dei vestiti e delle stuoie!» 

Tian si scosse violentemente, ma non riuscì a liberarsi dal forte abbraccio intorno alla sua vita. Il suo cuore era in fiamme proprio come le enormi sfere di fuoco che stavano bruciando tutto. Stava affondando le unghie nelle braccia dell’ufficiale, graffiandolo, mentre cercava di liberarsi dalla sua stretta stretta, infuriato perché non poteva fare quello che voleva. Il forte urlo si placò in un gemito disperato e spezzato mentre la speranza lo abbandonava.  

«Lasciami andare! Vado a prendere quella fottuta acqua! Sei solo uno stupido stronzo, se non sai come spegnere il fuoco, allora lasciami fare! È la mia scuola! I miei ricordi!»

Anche se non riuscivano a capire le sue parole, era palese agli abitanti del villaggio che stavano spegnendo il fuoco, come l’insegnante volontario stesse impazzendo dal dolore per aver perso la sua preziosa scuola, incapace di fermare le lacrime che sgorgavano copiose. Le fiamme, alimentate dalla carta e dal bambù, divamparono verso l’alto, divenendo troppo alte. Era divenuto impossibile fermare l’incendio e tutti dovettero fermarsi per guardare impotenti mentre un lato della scuola stava crollando.  

Tian urlò fino a che non gli si prosciugò la gola. Le sue narici e la sua bocca erano piene di fumo e il corpo non aveva più la forza, come le persone normali intorno a lui, perché intrappolato nel forte abbraccio del capitano. Tian colpì il terreno, furioso per la propria impotenza. Non poteva fare altro che guardare tutto bruciare.  

«Acqua..solo acqua!» Gemette. Sapeva fin troppo bene che la fonte d’acqua più vicina era pur sempre troppo lontana per poterla raggiungere in tempo. Eppure Tian non poteva soccombere a quel destino malato. I suoi occhi bruciavano mentre tutta la disperazione usciva come lacrime ai loro angoli. Eppure l’umidità che gli cadeva sulla guancia non proveniva dai suoi suoi occhi. La freschezza che gli inondava le guance in fiamme lo costrinse a guardare il cielo che si oscurava. Gli ci volle un momento per capire cosa stava succedendo.  

Il vento si trasformò in una burrasca tanto che dovette schermarsi il viso. Nonostante la ferocia, le fiamme non poterono resistere al monsone che tuonava dal cielo. Erano passati quindici minuti e tutti rimasero sbalorditi intorno alla scuola carbonizzata, incapaci di muoversi mentre guardavano la pioggia, che era arrivata come un dono del cielo, che lavava via il nefasto disastro causato da alcuni uomini malvagi. Non ci volle molto perché le nuvole grasse che trasportavano la pioggia completassero il loro compito per poi disperdersi lentamente rilasciando leggeri spruzzi sul terreno. Gli abitanti del villaggio si destarono dalle loro fantasticherie e si precipitarono a fermare il fuoco rimanente su alcuni dei telai di legno.  

Tian si asciugò l’acqua dalla faccia bagnata e si precipitò a raggiungere la sua scuola carbonizzata. Spinse via un tronco bruciato per vedere cosa era rimasto e scoprì che l’armadietto, dato da un donatore, che conservava libri di testo e le attrezzature, era stato quasi del tutto distrutto. 

L’uomo snello si inginocchiò per raccogliere i quaderni degli studenti Akha che erano stati protetti all’interno di un robusto cassetto in legno duro. Erano per lo più intatti. Tian raccolse i pastelli, ciò che restava degli aquiloni, gli aeroplani di carta e gli uccelli che non erano altro che cenere. Stava raccogliendo ogni frammento dei suoi ricordi… Era grato che ci fosse qualcosa da conservare.

Tian strinse i resti tra le braccia come un pazzo. I suoi occhi colsero la vista di un pezzo di carta che si era leggermente bruciato agli angoli, ma che era intatto.  

Forse è stata la virtù di Sua Maestà il Re a fermare il feroce fuoco…

‘la sua gentilezza nei nostri confronti non va mai dimenticata.’

Le parole dell’uomo riguardo al re, che aveva sentito non molto tempo prima, gli echeggiarono nella mente. Il ragazzo di città cercò di mantenere tutto con un solo braccio e barcollò, mentre si sporgeva in avanti per prendere l’immagine del reale sul calendario che aveva appeso al muro e lo mise contro il mobile risparmiato. 

Pioggia reale…L’iniziativa di Sua Maestà il Re non solo aveva salvato i poveri dalla siccità, ma aveva guarito anche il cuore di uno come lui che non aveva mai riconosciuto la compassione e la gentilezza del re. 

Due mani piene di graffi si sollevarono per unire i palmi al centro del suo petto. Tutto il suo corpo tremava per i singhiozzi incontrollabili mentre guardava in alto gli spruzzi di pioggia che gli avevano sfiorato delicatamente il viso; le sue labbra pronunciarono parole che non avrebbe mai pensato di dire.  

«Lu…lunga vita al Re.»  

Anche se la sua voce era un semplice sussurro, fermò tutti sul loro cammino. Gli abitanti del villaggio che stavano smontando i telai di legno rotti e fatiscenti, guardarono tutti l’insegnante accucciato per terra in mezzo ai banchi carbonizzati. All’improvviso, un uomo gridò la stessa frase “lunga vita al re” sia in thailandese che nei dialetti locali, seguita da altre all’unisono, finché l’eco di lealtà e gratitudine risuonò attraverso le colline.  

Sapevano tutti nel profondo del loro cuore che il miracolo non esisteva, ma le iniziative reali di sua maestà esistevano e stimolavano quel fenomeno piovano.  

Gli abitanti del villaggio Akha si inginocchiarono a terra, alzando le mani sopra le loro teste guardando il cielo mentre pioveva su di loro. Tutti furono sopraffatti dalla gratitudine e persino i soldati non riuscirono a fermare le lacrime che sgorgavano dai loro occhi.

La Royal Rain aveva iniziato a diventare lieve pioggerellina. Gli abitanti del villaggio di Phu Pan Dao e l’insegnante aveva portato via la scrivania intatta con danni minimi da riparare. Tian alzò la mano sporca di cenere per asciugare le lacrime dal suo viso finendo per imbrattarlo tutto e rimase a fissare i danni con un forte risentimento nel cuore.  

Cosa avevano mai fatto i suoi studenti per meritarselo? Bruciare la loro scuola?  

Poi si fermò.  

No, non erano i bambini, il loro obiettivo era lui.  

Quel Mr.Sakda gran figlio di puttana!  

Il ragazzo di città strinse i denti, furioso ed intravide una forza armata in divise verdi che somigliavano a quelle dei militari, ma i loro berretti e gli emblemi sul petto erano chiaramente diversi. Dovevano essere le pattuglie di confine, se non si era sbagliato.  

Zio Bieng Lae una volta gli aveva detto che i villaggi nelle vicinanze erano sotto la protezione della base militare di Pha Phra Phirun, tuttavia avevano lavorato con la polizia di pattuglia della frontiera per mantenere la pace ed il sostentamento delle persone. Nel caso di un incidente così grave come quell’incendio doloso, anche la pattuglia di confine era stata chiamata per la caccia all’uomo.  

La caccia era stata veloce. Trovarono tre uomini, che avevano lasciato il vicino villaggio la sera prima e poi vi erano tornati solo nel cuore della notte. Dopo aver perquisito le loro case, la polizia aveva trovato un litro di benzina e dei vestiti macchiati sepolti frettolosamente nel terreno nelle vicinanze del villaggio. Ben presto confessarono di aver ricevuto dei soldi da qualche malavitoso per appiccare il fuoco.  

La polizia aveva portato i sospettati sulla scena del crimine e aveva riferito la loro indagine preliminare al capitano Phupha. 

Quindi, tutti gli ufficiali lanciarono un grido allarmato mentre un giovane correva verso di loro come un uragano e alzava la gamba verso l’alto per sferrare un calcio al sospettato più vicino finché l’uomo non cadde all’indietro, mentre l’insegnante volontario dal cuore di leone stava per per attaccare l’uomo successivo che era inginocchiato accanto al primo sospettato, ma il capitano lo prese in tempo.

Tian aveva provato a saltare cercando di colpire il secondo uomo con il suo doppio calcio, ma era stato trascinato via. «Lasciami andare! Lascia che li uccida!» Gridò Tian, la sua voce rotta da un così veemente risentimento.  

«Sarai accusato di aver aggredito il sospettato! Andrai in prigione invece di essere un querelante.» Phupha aveva cercato di fermare il piantagrane che stava lottando e urlando tra le sue braccia finché il ragazzo non si calmò. Guardò Tian e vide come il ragazzo stava ansimando pesantemente, così sentì la sua temperatura corporea aumentare. Era insolita, ma prima che potesse chiedere, il giovane semplicemente si accasciò a terra.  

Il capitano scosse il corpo inerte e vide che il ragazzo riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Posò la mano sulla fronte liscia e scosse la testa esasperato.  

«Ha la febbre alta. Sei una spina nel fianco!» La voce bassa e profonda sussurrò contro le orecchie di Tian e calmò i suoi nervi tesi prima che l’oscurità finalmente lo avvolgesse.  

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Ci volle del tempo al capitano per dare ordini ai suoi subordinati prima di poter portare via il piantagrane dalla scena del crimine, stava tornando alla base nella sua jeep con il passeggero svenuto per vedere il medico prima che la sua febbre peggiorasse.  

Due soldati che facevano la guardia davanti alla baracca, lo stavano per salutare non appena avvistarono i fari, ma la jeep non rallentò nemmeno. Il medico che aveva ricevuto la notizia via radio in anticipo, spalancò la porta e gettò una coperta sul paziente prima di metterlo giù, sdraiato su una barella e portarlo in infermeria.  

Il giovane capitano aspettava su una sedia, spettatore di quanto avveniva tra lui e il letto del malato. Il suo amico medico era scomparso dietro il divisorio da diverso tempo e Phupha stava usando un asciugamano, che qualcuno gli aveva dato per asciugarsi i capelli e il corpo inzuppati, quando si presentò un uomo alto in tuta mimetica militare con una fascia bianca e una croce rossa attorno all’avambraccio.  

Il capitano balzò in piedi e si precipitò dentro con una domanda: «Come sta?»  

«Solo una lieve febbre con una leggera polmonite. Gli ho dato dei farmaci e dovrebbe rimettersi tra pochi giorni. Gli ho dato una dose di antipiretico e antisettico ma…» il dottor Wasant sembrava a disagio prima di tirar via il suo amico dal letto per sussurrargli: «Ho visto la cicatrice dell’operazione sul petto.»  

«E’ proprio qui?» Il capitano indicò a metà del petto di Tian.  

Wasant rimase in silenzio per un millisecondo, poi annuì:  «Una cicatrice verticale … di circa 20 centimentri. Posso dire dalla mia esperienza che è un’operazione al cuore.»

I loro occhi si incontrarono in una comunicazione senza parole. Alla fine, il dottore emise un lungo sospiro pesante. «Va bene. Mi comporto come se non avessi visto niente. Te ne occupi tu da qui. Il paziente ha bisogno che il suo corpo venga pulito e che i vestiti siano cambiati. Il capitano lascerà che se ne occupi l’infermiera o prenderà la questione nelle proprie mani?» 

L’uomo che era stato preso in giro lanciò un’occhiataccia al suo amico: «Lo porto a casa.»  

Vedendo come l’ufficiale dalle labbra serrate si chinò per raccogliere il corpo privo di sensi tra le sue braccia, Wasant sorrise: «Intendevi casa tua?»  

Phupha si voltò e gli lanciò un’occhiataccia che prometteva una punizione e si precipitò fuori con il paziente. La base, di medie dimensioni, aveva solo uno stazionamento di truppe con un raggio di pattuglia che copriva 30 chilometri. Gli uffici improvvisati erano tende, mentre gli alloggi degli ufficiali erano case di legno che erano più solide e offrivano più privacy.  

Il capitano adagiò gentilmente l’uomo tra le sue braccia sul letto pieghevole da campo in modo che potesse prendersi cura dell’uomo fradicio per sdraiarlo più tardi su un materasso adeguato. Andò a prendere un asciugamano ed una maglietta grande pulita, ma mentre tirava via quella bagnata dal corpo privo di sensi, la pelle chiara che lo accolse fece fermare l’uomo.  

Phupha non riuscì ad impedire ad i suoi occhi di vagare sul petto liscio con due vivaci macchie marroni in cima. Deglutì a fatica, cercando di portare la sua mente all’ordine e inspirando profondamente prima di sfilare la maglietta bagnata dalla testa del paziente.  Stava usando un asciugamano per asciugare la parte posteriore e sottile fino a quando non raggiunse di nuovo la parte anteriore. La cicatrice di 20 centimetri al centro del petto lo fece fermare e riflettere. Le sopracciglia folte si aggrottarono pensierose. Per quanto ne sapeva, il ragazzo non era così in forma ed era stato afflitto da una malattia cronica per anni. Adesso stava migliorando molto, ma era ancora in fase di recupero. Tuttavia, l’uomo con cui aveva parlato settimanalmente non aveva rivelato che tale malattia fosse relativa al “cuore”, altrimenti si sarebbe preso più cura di lui. Le dita ruvide asciugarono delicatamente i fili bagnati dalla fronte liscia.  

Phupha emise un lungo sospiro e si affrettò a far indossare una nuova maglietta al ragazzo.  Poi guardò i pantaloncini da football che Tian indossava, i suoi occhi seguirono la collina sotto la vita con la pesantezza nel cuore e decise di stendere uno spesso asciugamano sopra l’uomo privo di sensi prima tirare giù i pantaloncini e la biancheria intima.  

Mise goffamente un paio di suoi boxer al ragazzo, cercando di fare del suo meglio per non far uscire una bestia di fronte al ragazzo che lo stava tentando. Una volta finito usò un altro asciugamano per asciugare i capelli del ragazzo prima di asciugargli le grosse gocce di sudore sulla fronte. Alla fine, raccolse il ragazzo e lo adagiò sul materasso e gli mise sopra uno spesso piumone. Phupha guardò il ragazzo di città, assonnato dagli antipiretici e che si stava rannicchiando sul suo cuscino, con un’aria più docile del solito e lasciò che il sollievo lo sommergesse. Era ora di prendersi cura di se stesso.  

Il capitano che aveva lasciato che il vice comandante si occupasse dell’incendio era sparito nel retro della casa per fare una doccia ed era tornato con abiti puliti. Erano circa le undici di sera e il generatore che inviava l’elettricità all’alloggio degli ufficiali aveva smesso di funzionare, facendo spegnere le luci.  

L’ufficiale fece il giro del materasso per accendere la lampada a cherosene e abbassò la fiamma. Prese posto accanto al paziente privo di sensi e mise il dorso della mano sulla fronte e sulla guancia del ragazzo per controllarne la temperatura. Fortunatamente, la febbre non era salita. Stava guardando l’uomo più giovane che gli aveva rubato il letto quella notte, riflettendo. Mentre stava per alzarsi per dormire sul letto pieghevole davanti alla camera da letto, una mano sottile afferrò l’orlo della sua maglietta. 

Il viso dalle guance rosse febbrili era semisepolto nel cuscino e le labbra pallide sussurrarono qualcosa di così debole che dovette allungare l’orecchio: «Mamma …» 

Il capitano non riuscì a fermare il suo sorriso gentile e sussurrò: «Non voglio essere tua madre. Voglio essere qualcos’altro.»  

Il basso brontolio fece allargare il suo sorriso anche se sapeva che non significava niente.  

Il ragazzo non mollò la presa nemmeno quando Phupha staccò le dita dalla maglietta ed emise un sospiro esasperato: «Sempre un mascalzone anche quando sei incosciente.»

Rinunciando al suo tentativo di andarsene, si sdraiò all’estremità del materasso, in bilico, dopo poco sentì che qualcosa gli stava toccando la schiena, ma non si voltò per vedere chi fosse… perché erano da soli in questa stanza. 

L’ufficiale lasciò che l’intruso gli si avvicinasse finché i loro corpi non si toccarono e mentre il ragazzo si accoccolava con la testa contro la sua schiena, il capitano chiuse gli occhi con l’espressione di un uomo contento a differenza delle altre notti. 

 Può l’orologio smettere di ticchettare proprio in questo momento?

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L’uomo magro che si stava raggomitolando sotto il piumone iniziò a muoversi. Il sole che filtrava dalla finestra aperta gli fece aggrottare le sopracciglia per la frustrazione.Tian si rotolò languidamente sotto la coperta, ma mentre si sedeva, dovette portarsi le mani alla testa perchè una fitta sorda di dolore la attraversò, come se qualcuno gli avesse appena dato una martellata. Il profumo del riso bollito gli fece brontolare rumorosamente lo stomaco rimasto vuoto per più di dieci ore. Si guardò intorno e scoprì che non era nella sua capanna e l’ansia lo colpì. Il suo corpo si irrigidì quando sentì dei passi pesanti, che facevano flettere il pavimento di legno, avvicinarsi.  

La faccia che apparve da dietro la porta gli diede sollievo. Phupha indossava la sua uniforme mimetica verde e portava in mano una ciotola di riso bollito.

«Sei sveglio. Ho chiesto alla cucina di preparare del cibo leggero per te. Finisci il tuo cibo in modo da poter prendere le medicine.» Il capitano trascinò un basso tavolo di legno sul materasso e vi appoggiò la ciotola.  

Tian aprì la bocca, cercando di dire qualcosa dalla sua gola secca: «Ho sete.» Si toccò la gola per indicare che aveva perso la voce a causa di un forte mal di gola.  

Phupha annuì e versò l’acqua da una fiaschetta in una tazza di acciaio inossidabile.  «Sorseggiala lentamente, non soffocarti.»  

Mentre il paziente teneva la tazza con le mani tremanti e si chinava per bere, il capitano fece passare la mano sulla fronte per misurare la sua temperatura. Tian lo guardò con occhi arrossati e pieni di febbre e fissò il viso scuro dell’ufficiale, sussurrando a bassa voce: «È questo il tuo alloggio?»  

«Sì e sei nel territorio della base operativa di Pha Phra Pirun.» Il capitano si sentiva generoso nel fornire la posizione esatta.  

«La scuola…?»  

Phupha scosse la testa, sapendo benissimo cosa stava per chiedere il giovane. «Non c’è più. Non può essere riparata. Gli uomini e gli abitanti del villaggio stanno portando ciò che è rimasto a casa di Khama Bieng Lae.»  

Gli occhi a mandorla diventarono ancora più rossi mentre le lacrime si riempivano. «È stato per colpa mia?» Quella doveva essere la vendetta di Sakda per il suo gesto, quando aveva incoraggiato gli abitanti del villaggio a combattere contro di loro.  

Il giovane capitano passò gli occhi sul viso del ragazzo senza dire una parola, poi mise la mano sui capelli lisci e folti: «Non è stata colpa tua. Nessuno ti sta incolpando. Questo incidente non è stato un errore, ma una lezione

La voce bassa, gentile e profonda che gli stava dando una severa lezione morale rese impossibile per il giovane smettere di piangere. Tian non riuscì a impedire alle sue emozioni di traboccare, perché come disse una volta un saggio “una volta che il tuo corpo è malato, la tua mente diventa più debole”.

Phupha ritirò la mano prima di allungarla per asciugare le lacrime dalle guance del piantagrane. Tutto quello era assurdo. Guardò il ragazzo strofinarsi gli occhi con le dita, rattristato di non poter esprimere veramente la sua preoccupazione.  

«… Mangia il riso bollito prima che si raffreddi.»  

Tian annuì, tirando indietro il naso che cola.  «Grazie.»

Anche se la frase era solo una formalità, attirò un sorriso sulla faccia da poker del capitano.

«Non dimenticare di prendere le medicine che ti ho portato. Il dottore verrà a trovarti a mezzogiorno. Se ti senti appiccicoso, puoi lavarti il corpo con un asciugamano umido.» Indicò una bacinella di plastica con un asciugamano drappeggiato su di essa in un angolo della stanza.

 Pulirmi

Le parole echeggiarono la testa del malato. Lui lentamente guardò i vestiti che non erano suoi. 

Non dirmi che la scorsa notte…

Tian si strinse la maglietta al centro del petto dove si trovava la cicatrice dell’operazione. Il cuore che batteva gli faceva paura … paura che l’altro uomo avrebbe scoperto la verità. 

… La verità che c’era qualcun altro nascosto qui dentro … 

La fitta al petto protestò contro il suo pensiero, ricordandogli che il suo immunosoppressore era nello zaino della sua capanna.  

«Capitano, lasciami tornare a casa mia. La mia roba è lì.» Disse Tian con voce roca, osservando la reazione dell’ufficiale con cuore tremante.  

Phupha rimase impassibile e impossibile da leggere. Fece segno all’armadio con uno zaino colorato: «Non preoccuparti. Te l’ho già preso questa mattina.» Fece finta di non vedere come gli occhi del giovane si allargassero per lo shock e continuò: «Resta qui finché non ci saremo assicurati che tu sia al sicuro e le indagini siano terminate.» Si raddrizzò in tutta la sua altezza e andò alla porta. L’ufficiale pronunciò un ultimo severo comando prima di chiudere la porta: «Mangia il tuo cibo! Aspetti che marcisca?!»  

Tian sobbalzò e gli lanciò un’occhiataccia, non avendo voce per replicare. La porta era già chiusa e l’uomo sul materasso emise un sospiro pesante e continuò a sgranocchiare il riso bollito che si stava raffreddando. Più tardi prese tutti gli antibiotici che gli erano stati prescritti.  

Il ragazzo di città si alzò e barcollò per frugare nello zaino e per trovare la sua borsa dei medicinali infilata sotto i vestiti come al solito. Si disse che ciò significava che il capitano non l’aveva scoperta, ma non importava. L’uomo non aveva detto niente, così si sarebbe comportato come se non fosse successo niente. Poi Tian si bloccò quando gli venne in mente una questione di vita o di morte. Se il capitano era la persona che l’aveva ripulito e che gli aveva cambiato i vestiti la scorsa notte, allora ciò che era più spaventoso del fatto che avesse visto la cicatrice era… Tian si guardò l’inguine con uno shock totale.  

Ti sei mostrato a lui, mio ​​prezioso drago!  

Verso l’una del pomeriggio arrivò un uomo vestito con abiti da sera, ma che portava una fascia attorno all’avambraccio della una croce rossa su una giacca mimetica come il resto degli uomini, dicendo che era un ufficiale medico. Si avvicinò all’alloggio dove il paziente era rimasto e senza preavviso il capitano Wasant bussò alla porta alcune volte e l’aprì senza aspettare una risposta.  

Il corpo snello, rannicchiato contro il piumone con la febbre alta, si voltò lentamente a guardare l’intruso. Gli occhi a mandorla erano arrossati a causa della temperatura corporea elevata. «Ciao, dottor Nam.»  

Dopo una riarsa, il dottore udì il saluto quasi impercettibile. Il paziente sembrava stare peggio di prima. «Sono venuto a visitarti.» Il giovane dottore sorrise e aprì la borsa per prendere un endoscopio ed esaminare la gola: «Apri la bocca e dì ‘ah’.»  

Tian fece come gli era stato detto e fece uscire un ah secco. Wasant premette lo strumento di acciaio inossidabile sulla sua lingua ed accese una torcia per osservare per un minuto prima di ritirarsi: «Faringite. Cerca di non parlare e sorseggia regolarmente acqua calda. Ti darò una doppia dose di antibiotici.»  

Il paziente annuì mentre osservava il dottore indossare uno stetoscopio per controllargli cuore e polmoni. Una volta realizzato quello che il dottore stava per fare, Tian si irrigidì facendo ridere il dottore: «Prometto che non ti aprirò la camicia. Posso oscultare attraverso il tessuto.Il risultato non fa differenza.»  

Tuttavia, le parole del dottore resero il ragazzo ancora più paranoico. Wasant emise un lungo sospiro, mentre metteva lo stetoscopio sul petto magro del giovane. «È tuo diritto non dirlo a nessuno, me compreso. Ma come medico, mi piacerebbe vedere i farmaci, per favore. Voglio darti i farmaci giusti senza causare alcuna interazione con quelli che prendi.»

Il malato abbassò gli occhi. Tian cadde in un lungo silenzio prima di sollevare una mano tremante per indicare lo zaino vicino al muro. Il medico militare sorrise dolcemente alla condiscendenza del giovane, guardò nello zaino finché non trovò un pacchetto di medicine nascosto in fondo e quando lesse i nomi inglesi, aggrottò la fronte profondamente. «Quanto tempo è passato?»

Tian strinse le labbra secche e alzò la mano per segnalare un numero attirando una forte protesta da parte del medico. «Solo cinque mesi!» Wasant rimise a posto il pacco e si precipitò di nuovo verso il materasso con uno sguardo aspro sul viso. Poi, si ricordò di ammorbidire la voce: «Non solo stai troppo lontano dal tuo dottore, ma vivi in ​​questo entroterra! Hai idea di quale pericolo stai correndo?!» Wasant aveva pensato che poteva trattarsi di un’angioplastica con palloncino per una malattia coronarica, ma una volta letto il nome della medicina, si era reso conto che era molto peggio. «Devo dirlo a Phu. Sei una sua responsabilità e se ti succedesse qualcosa ricadrà su di lui.» Una volta alzato, il suo braccio venne arpionato in una stretta. Il dottore sentì la forza tremante che cercò di impedirgli di andarsene.  

Gli occhi del giovane erano illuminati dalla determinazione e dalla testardaggine che lo fecero fermare di colpo. 

«Ti… ti prego.» Quel sussurro ansimante fu costretto a uscire dalla gola irritata di Tian.  

Il dottore non si mosse per un istante e si lasciò cadere a sedere sul pavimento. Tirò via la mano tremante del ragazzo e la coprì con le proprie. «Voglio sapere perché ti stai attaccando così a questo posto.» Quando la risposta fu il silenzio, Wasant fece un’ipotesi.  

«Volevi fare il dottore? O volevi provare a vivere nell’entroterra?» Questa volta, il paziente scosse la testa per dire di no. «Non dirmi che è stato a causa di Phu …» 

Nonostante lo sguardo riluttante sul suo viso, il ragazzo di città scosse violentemente la testa. Il dottore, che era anche bravo a cogliere bugie, aveva la netta sensazione di aver ristretto le possibilità e di poter sparato l’ultimo proiettile: «O è stato a causa di ‘Thorfun’?»  

Quello della donna morta era l’ultimo nome che si aspettava potesse uscire dalla bocca del dottore e ciò fece spalancare gli occhi di Tian che cercò di fare del suo meglio per nascondere il suo stupore alzando una mano per coprirsi la testa e lasciandosi cadere sul materasso. «Mi fa male la testa.»  

Wasant vide come l’uomo che era con le spalle al muro stesse cercando una via di fuga e decise di dargli tregua: «Va bene, riposati un po’, allora. Vado a farti preparare del riso bollito e te lo farò portare tra poche ore. Non dimenticare di prendere le medicine che ti ho dato.»

Vedendo il ragazzo annuire frettolosamente, si allontanò silenziosamente dalla stanza. 

Pensando alla conversazione che lo aveva spinto a parlare, il dottore sentì un senso di pesantezza allo stomaco. Se Kru Thorfun, che era morta, era una figura importante in quella storia, dove si trovava il suo amico in questo triangolo, allora?   

 *********************

Il nuovo insegnante era stato costretto a letto dalla febbre e dal trauma per l’incendio della scuola per ben tre giorni prima di potersi rialzare. Notò di aver visto molto di più il capitano di quando viveva nella sua capanna. In quei giorni poiché vivevano nella stessa casa, Tian si rese conto di quanto fosse impegnato l’uomo. Lui stava occupando sia la camera da letto che il materasso ed il padrone di casa doveva dormire nel letto pieghevole a fianco. Quando il capitano andava a lavorare lui non era in piedi e la sera si addormentava prima che il capitano tornasse. Eppure Tian sapeva che c’era una mano calda e grande che gli accarezzava la testa nei suoi sogni…come se fosse un bambino.  

Quel giorno si sentiva molto meglio. Dopo aver parlato con un sergente che gli aveva consegnato del riso bollito, maiale e uova in salsa marrone, Tian rimase tranquillamente in casa, da solo, finché non si annoiò. Frugò nella libreria e scoprì che era piena di testi militari.  Ne esaminò alcuni, disinteressato, ma almeno poteva ammazzare il tempo.  

Erano quasi le nove di sera quando il capitano tornò alla base operativa. Aveva pensato che il ragazzo malato doveva essersi addormentato, quindi si era soffermato a parlare con i suoi uomini e con i ranger del Dipartimento delle foreste di un arresto di un taglialegna.

Negli ultimi giorni, li avevano quasi presi e avevano avuto diversi faccia a faccia, ma tutto ciò che avevano ottenuto erano solo tirapiedi, non avevano catturato i principali attori.  

Phupha camminò nell’oscurità finché non raggiunse casa sua. La luce al neon che era ancora accesa lo fece accigliare. Occhi intensi fissarono il patio nell’oscurità e videro una lunga ombra proiettata sul terreno. Il ragazzo era rannicchiato sotto una coperta, seduto a gambe incrociate e si era addormentato con un libro aperto sulle ginocchia. Il capitano tolse il libro dalla mano del piantagrane e gli diede un colpetto: «Perché stai seduto al freddo qui fuori? La febbre potrebbe tornare.»  

Tian si stropicciò gli occhi e si svegliò. Una risposta gli sfuggì dalle labbra senza saperlo: «Stavo aspettando te.»  

Entrambi furono colti alla sprovvista. Poi il ragazzo di città alzò la voce per nascondere il suo imbarazzo: «Ti aspettavo, perché ho qualcosa da chiederti! Non sei mai stato in giro così tanto.»  

Ma era troppo tardi. La faccia severa era ora tappezzata da un ampio sorriso. 

«Capisco. Stai seduto qui fuori al freddo e stai dando sangue alle zanzare, non stai a letto e non stai riposando, perché hai una domanda molto importante per me, non è così?»

Tian deglutì a fatica e annuì, non sapendo quello che stava combinando l’altro uomo. L’ufficiale con un’uniforme mimetica verde khaki si sedette, sollevò un ginocchio e si avvicinò. «Avresti potuto aspettare dentro. Perché ti stai mettendo nei guai?»

Le parole erano gentili, ma le guance di Tian si arrossarono perché leggeva tra le righe. Le sue mani si chiusero a pugno, la bocca che si apriva e si chiudeva, e tutto ciò che fece fu fissare le spalle larghe del capitano mentre camminava in casa ridendo sotto i baffi. 

Tian tirò il piumone, frustrato di non riuscire a trovare la risposta giusta. Si alzò ed entrò in casa pestando i piedi per irritare ancora un po’ il capitano, ma l’uomo più anziano si era preso un asciugamano ed era scomparso in bagno come se avesse letto la mente del ragazzo.  

Quindici minuti dopo, Phupha era uscito con un asciugamano intorno alla vita, rivelando il suo petto ampio, nudo e abbronzato. Si chinò per prendere alcuni vestiti dall’armadio, sentendo uno sguardo intenso sulla sua schiena.  

«Non credi che possa volere un po’ di privacy?»  

Sentendo il sarcasmo nella voce, il ragazzo che sedeva a gambe incrociate sbuffò rumorosamente: «Se sei così puritano come dici, non entreresti così.»

«Questa è casa mia, la mia stanza.»

«Sei stato tu a lasciarmi restare qui. È anche la mia.»  

«Ti ho dato il materasso. O forse vuoi il letto pieghevole fuori?»

«Assolutamente no!» L’urlo inaridito di protesta fece scuotere la testa esasperato il capitano.

Solo un ragazzino!

Tian si accigliò, sentendosi petulante ed i suoi occhi colsero le cicatrici sul corpo del capitano. Alcune erano vecchie, altre nuove e fresche che avevano ancora un filo di punti sopra: «Sei andato in guerra o qualcosa del genere?»  

Quando Phupha finì di infilarsi i pantaloni da ginnastica sotto l’asciugamano, si voltò verso l’uomo più giovane, con aria esasperata. Dato che si era ammalato giorni prima, si chiedeva se il cervello del piantagrane fosse stato ucciso da qualche virus.  

«Sono un soldato al confine di un paese. Il mio lavoro è andare in guerra, giusto?» Disse con nonchalance come se quello che stava facendo non avesse molta importanza. Si allungò verso una scatola medica in cima all’armadio.  

«Lo so. Ho solo…» 

Non avevo idea che potesse essere così pericoloso

Tian inghiottì le parole e si avvicinò lentamente al capitano, che si era seduto per terra, per medicargli la ferita. La schiena ampia e potente era punteggiata di cicatrici dovute ad un decennio di servizio per il suo paese. 

L’uomo che aveva vissuto una vita opulenta come Tian non si era mai reso conto di quante vite, migliaia o decine di migliaia, si erano sacrificate per proteggere la pace in quella terra.  Qualcosa che non aveva niente a che fare con lui, anche se suo padre era un militare, non serviva alla frontiera. Ecco perché il ragazzo riusciva a vedere solo un aspetto delle cose: quanto potere aveva suo padre e quanto conforto lo accompagnava quando i suoi subordinati erano sempre lì per servirlo e accontentarlo ad ogni capriccio.  

La punta di un dito freddo sfiorò delicatamente i lividi sulla schiena nuda, senza attendere alcun consenso. Il capitano continuava a presentarsi al suo posto e gli era sfuggito di mente che un giorno…

 … un giorno quest’uomo avrebbe potuto non avere la possibilità di tornare.  

Tian si morse le labbra abbastanza forte da sanguinare. Si sporse e prese in mano un batuffolo di cotone imbevuto di alcol, il viso liscio e bianco scalfito dalla determinazione.  

«Lascialo fare a me!»  

Phupha aggrottò la fronte, sconcertato dal motivo per cui il ragazzo stesse gridando come se fosse furioso: «Cosa ti è passato sotto la pelle?»  

Il ragazzo non rispose, ma ordinò al comandante della truppa di alzare il braccio in modo da poter curare il nuovo punto ferito sul fianco dell’uomo. Era più gentile di quanto il capitano avesse previsto. Una volta applicato del betadine, Tian posò una garza sulla ferita per evitare l’attrito con il braccio.  

«Perché hai scelto di diventare un soldato?» Chiese infine Tian. 

Ancora una volta, il capitano sembrava perplesso. «Se vuoi una risposta da manuale, ti direi perché voglio proteggere e servire il mio paese. Per una risposta più personale, direi che questo lavoro paga troppo poco, ma la vita è abbastanza buona.»  

«Quindi stai dicendo che non devi essere per forza un soldato. Ci sono altri lavori meglio retribuiti che offrono un benessere migliore rispetto al lavorare per il governo.»  

Vedendo la gravità in quegli occhi a mandorla, il capitano non aveva parole: «Io…» 

«Stai mentendo.»  

Phupha si strofinò il viso, sentendosi a disagio, ma emise un lungo sospiro quando decise di alzare una bandiera bianca ed iniziò a raccontare la sua storia.  

«La mia famiglia stava vivendo una vita difficile. Mio padre era un sergente in un dipartimento di ingegneria militare, mentre mia madre lavorava in proprio. Fortunatamente, ero bravo a scuola, quindi avevo superato l’esame per iscriversi ad una scuola in città. Mio padre pagò la mia retta con l’assistenza militare, ma ho avuto comunque una vita più dura rispetto ai miei coetanei. Crescendo, mi sono sempre chiesto perché mio padre lavorasse per il servizio pubblico che lo pagava meno di 6.000 baht al mese. Se avesse lavorato come ingegnere meccanico in una qualunque fabbrica, il suo stipendio sarebbe stato di quasi 10.000. Ciò significava che la mia vita sarebbe stata migliore. Ma un giorno mio padre mi portò sulla collina e mi indicò gli edifici sottostanti. Era la prima volta che mi rendevo conto di quanto vasta fosse questa terra. Mio padre mi disse: «il mio lavoro era proteggere questa terra pacifica». Il suo grado poteva essere basso, ma il suo dovere era immenso. Così mi sono detto che non avrei dovuto vergognarmi di lui, ma avrei dovuto esserne orgoglioso. Non riuscivo a ricordare cosa fosse successo nel frattempo, ma sentivo crescere la mia determinazione a diventare un soldato come mio padre, non mi abbandonava mai. Il momento della mia vita di cui sono più orgoglioso è stato quando sono stato nominato capitano e ho ricevuto la spada da solo il giorno della mia nomina.» 

Il giovane capitano aprì gli occhi dai ricordi sbiaditi e alzò le mani per stringere le spalle sottili dell’uomo che sedeva di fronte a lui. «Ora … tocca a me chiedere. Cosa ti è preso per farti chiedere del mio passato?»  

Tian abbassò lo sguardo, evitando gli occhi del capitano mentre i suoi occhi erano pieni di una miriade di emozioni. «Una volta avevo paura di morire e non sono riuscito ad accettarlo giunto il momento. Ogni volta che esci per pattugliare il territorio, non ti senti spaventato?»  

«Tutti hanno paura della morte Tian.» La voce di Phupha era più gentile che mai. «Non ho più niente di cui preoccuparmi. I miei genitori se ne sono andati. Forse questa è una buona cosa. I capi non mi hanno mai più trasferito dalla zona di confine.»  

Anche se l’ultima affermazione doveva essere uno scherzo, Tian non aveva voglia di ridere: l’ufficiale guardò la mano sottile che stringeva i pantaloni da caccia e sorrise, si avvicinò, così vicino che i loro nasi quasi si toccarono. 

«Ma se sei qui per ‘prenderti cura’ di me, prometto che mi prenderò più cura di me stesso.»  

Prima che Tian potesse alzare lo sguardo, dovette chiudere gli occhi perché delle labbra calde gli stavano toccando la fronte in un bacio dolce e persistente. 

La dolce sensazione stava scorrendo nel suo cuore lo fece vibrare e sobbalzare. Tian alzò la mano per stringersi il petto come se soffrisse e premette il suo viso arrossato contro il collo forte con un profumo fresco e pulito dell’uomo, senza sapere cosa fare.

«… che uomo sdolcinato.»

La risposta nel suo orecchio fece ridere felicemente il giovane capitano. Forse non c’era inizio idilliaco tra loro, ma desiderava che quel momento durasse per sempre. 

 ********************

Tian non riusciva a ricordare come e quando era svenuto la notte scorsa. Ricordava vagamente che il capitano avrebbe potuto dirgli di prendere le sue pillole prima di andare a letto e poi le cose sono diventate nere. Si svegliò di nuovo quando il sole filtrava nella stanza proprio come tutti gli altri giorni. Eppure quel giorno aveva sentito dei passi sul pavimento di legno e delle chiacchiere provenire dall’esterno della camera da letto.  

L’uomo che aveva iniziato a sentirsi meglio era andato a lavarsi i denti e si era lavato la faccia. Quando uscì e aprì la porta scoprì che Phupha stava parlando con il suo migliore amico dottore. Tian guardò tra il dottor Nam che stava sorridendo ampiamente ed il capitano impassibile, sentendosi sospettoso, ma non trovò nulla che non andasse. Fece un passo avanti ed interruppe la loro conversazione.  

«Hai un giorno libero capitano? E tu, dottor Nam, sei qui così presto.»  

«Non è presto, Nong Tian. Sono quasi le dieci.» Wasant lo prese in giro e ottenne un’occhiataccia in risposta.  

Prima che il furfante testa calda potesse attaccare il presuntuoso dottore, Phupha lo interruppe per placare la situazione. «Ho un giorno libero, quindi ho chiesto al dottore di controllarti. Se sei guarito, allora è ora di tornare al villaggio. I bambini hanno detto che gli manca il loro insegnante.»  

La parola bambini rese il viso di Tian più scuro al ricordo dell’incendio doloso. Anche se fosse tornato, non c’erano più scuole sulla collina e non c’erano più strumenti per l’insegnamento e l’apprendimento.  

«I bambini sono tristi? Non c’è più scuola.»

Il capitano sorrise dolcemente come la sera prima. Allungò la mano per appoggiare la mano su quella di Tian come per confortarlo: «Saranno ancora più tristi se P’Crayon non è con loro.»  

«Voglio vedere cosa resta della scuola.» 

«Ti ci accompagno.» Rispose Phupha con fermezza. «Ma ora, fai una doccia. Ti ho già fatto preparare un bagno caldo.»

Tian annuì e tornò in camera senza dire una parola. Gli occhi del dottor Wasant si spalancarono per lo shock da sotto gli occhiali.

«Bastardo! Che razza di stregoneria è questa?!»

L’uomo accusato si accigliò profondamente: «Quale stregoneria?»

«Come mai il tuo piantagrane si comporta in modo così docile? Come mai un tale ribelle si è trasformato in un boy scout?!»

Phupha alzò la mano per fermare il suo amico dopo aver sentito delle domande così ridicole.  «Zitto. Non c’è stregoneria o altro. Le cose non sono andate così male tra noi.»  

«Si, come no.» Il tono di Wasant era pieno di incredulità.  

«Vieni ad aiutarmi a prendere il cibo dalla cucina così possiamo fare colazione qui.»

«Pensi di farla franca cambiando argomento? Potrei essere miope, ma non sono cieco. Ho visto come gli tenevi la mano!»

Il capitano che stava scendendo le scale si fermò di colpo. Si voltò di scatto per tirare uno schiaffo dietro il collo del dottore chiacchierone prima che potesse dire un’altra parola. 

Nel pomeriggio Tian aveva fatto le valigie ed era tornato alla sua minuscola capanna, ma mentre percorreva il sentiero lungo il villaggio che non vedeva da molti giorni, l’insegnante ebbe la sensazione che tutto fosse più tranquillo e silenzioso del solito proprio come quando gli abitanti del villaggio partivano per andare a lavorare nei campi. Non si aspettava che tutti sentissero un tale sconforto come il suo per l’unica scuola del villaggio che era stata bruciata. Eppure, constatando che tutti avevano continuato a vivere la loro vita come se niente fosse, non poteva fare a meno di sentirsi rattristato.  

Ciò che restava della piccola scuola di legno erano delle rovine carbonizzate che venivano demolite per ripulire lo spazio. L’insegnante volontario guardò il suo ex ufficio e vide solo l’asta solitaria della bandiera, sentendosi ancor più depresso. Mentre stava per chiedere al capitano dove tenevano gli oggetti rimasti e salvati dal fuoco, le sue orecchie colsero le risate familiari e allegre dei bambini.  

Il ragazzo di città girò il viso cinereo verso la fonte del rumore e vide i piccoli corpi dei suoi studenti correre verso di lui in un grande gruppo, con aquiloni e aeroplani di carta leggermente bruciati nelle loro mani. Dietro li seguivano gli abitanti del villaggio che aveva creduto a lavorare nelle piantagioni. Stavano portando l’armadio e le scrivanie che erano ancora utilizzabili sulla collina. 

«Maestro! Ti senti bene?! Siamo così preoccupati per te.» Khama Bieng Lae, che portava le rimanenti cartelle di lavoro, si avvicinò a Tian con un grande sorriso.

«Sì…sto bene.» Balbettò Tian, mentre guardava gli uomini e le donne Akha che posavano i mobili a terra.  

«Pensavo lavorassi nei ranch.» Si sentiva sopraffatto dalle lacrime che stavano per cadere.  

«Non appena il capitano ci ha detto che tornavi oggi, siamo venuti qui per vederti. I ragazzi hanno detto che gli manchi tutti i giorni.»  

«Ma non c’è più la scuola.» La voce roca borbottò impercettibilmente come se ancora non potesse accettare la verità.  

«Niente più scuola, quindi costruiamone un’altra! Anche se venisse bruciata dieci volte, la ricostruiremmo altre dieci volte. La ricostruiremo ancora e ancora finché non si stancheranno di abbatterla!» Bieng Lae rise e picchiettò sulla spalla sottile. «Non preoccuparti. Anche se prendi di nuovo a calci in culo Mr.Sakda, siamo qui per te.»  

Il capo del villaggio si voltò per gridare nel suo dialetto nativo alla sua gente come per radunarla. Gli abitanti del villaggio guardarono l’insegnante e alzarono i pugni mentre gridavano all’unisono. Anche se non riusciva a capirli, si rendeva conto del significato. 

L’ultima volta lo avevano ancora avvertito  riguardo all’uso della forza bruta…

Il ragazzo di città si accovacciò e si coprì il viso in quella sua peculiare postura. Le sue spalle tremavano e gli occhi gli si riempirono di calde lacrime. Sorrideva da un orecchio all’altro con le lacrime che gli rigavano il volto.  

Il capitano guardò i bambini accalcarsi per abbracciare il loro insegnante e non riuscì a smettere di sorridere. Era felice di lasciare che l’insegnante tornasse al villaggio quel giorno, anche se avrebbe voluto tenere il ragazzo per sé il più a lungo possibile. 

Si avvicinò a Khama Bieng Lae e lo ringraziò. «…lui non aveva mai subito un trauma simile. Penso che si senta molto meglio ora. Ti sono davvero grato, Khama.»  

«Andiamo, capitano. Questo è quello che volevamo fare fin da subito.»  

Phupha fece una faccia seria. «Riguardo all’incendio doloso, la polizia ha coperto il principale colpevole. Era uno degli scagnozzi di Sakda. Ma anche una volta stato arrestato, ha insistito sul fatto che era una vendetta personale contro Tian che lo aveva preso a pugni quel giorno.» 

«Sappiamo tutti chi c’è dietro l’incendio doloso, ma non possiamo inchiodarlo.» Bieng Lae scosse la testa esasperato.  

«Forse possiamo arrestarlo per altri crimini. I miei informatori hanno detto che è andato via dalla città. Forse lo troveremo nella ‘foresta’

«Guardati le spalle, capitano. Ha molti più uomini di quelli che noi conosciamo.»  

«La mia truppa li ha combattuti ieri. Peccato che siano riusciti a scappare. Non riusciamo ancora a trovare la loro base operativa.» 

«Se troviamo qualcosa di sospetto, te lo diremo subito.» Disse con fermezza il capo del villaggio come aveva sempre fatto.  

L’ufficiale annuì, dicendo in silenzio che si era fidato confidandosi e mettendo quella questione nelle mani dell’anziano. Poi si allontanò per aiutare le altre persone a portare via i resti dalla scuola carbonizzata.

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