A TALE OF THOUSAND STARS – CAPITOLO 8

Il nuovo insegnante volontario si era svegliato tardi come aveva annunciato. Erano le 9.30 quando tornò in casa per via del calore del sole che bruciava attraverso il tetto.  

Tian si alzò e si stiracchiò pigramente. L’uomo che era stato disteso accanto a lui la notte precedente se ne era già andato, forse era già tornato al suo accampamento. Non importava. Comunque a lui non interessava più di tanto. Mentre prendeva l’asciugamano e lo spazzolino da denti, i suoi occhi vennero catturati  dalla borsa da viaggio sportiva che il capitano aveva portato con sé.  

Inarcò un sopracciglio, perplesso, e si precipitò giù per le scale a guardare lo spazio sotto la capanna. Vide piatti pieni di uova salate, cavolo cinese fermentato in scatola e del riso bollito freddo sulla stuoia: tutto cibo familiare e semplice da preparare. Tuttavia, non vedeva l’uomo che stava cercando.  

…Dove diavolo è andato?  

Tian si diresse verso la giara di terracotta sul retro della sua casa. Era grato che qualcuno riempisse il contenitore per lui ogni mattina. Si spogliò, tenendo addosso solo i boxer, mise i vestiti sul telaio della porta del bagno che non si trovava troppo lontano e poi si lavò i denti.  

Era tarda mattinata, quindi la temperatura era abbastanza calda da permettergli di fare un bagno freddo. Prese la ciotola di plastica, raccolse l’acqua fredda e la versò su tutto il corpo. Lo fece con più facilità rispetto al primo giorno e pensò tra sé che si sarebbe abituato in fretta.  

Il sapone al carbone nero fece molte bolle, sprigionando una fragranza al gelsomino che lo faceva sentire rinfrescato ogni volta che lo usava. Spinse l’elastico sotto il suo boxer e versò l’acqua all’interno finché non fu completamente pulito. Anche se non c’era nessuno in giro, aveva comunque abbastanza decenza da tenersi i vestiti addosso e non rimanere nudo; non voleva farsi insultare dagli spiriti della montagna e della foresta.  

Tian sollevò l’asciugamano dalla porta per asciugarsi prima di avvolgerlo intorno alla vita.  Tirò giù i boxer bagnati e indossò la stessa maglietta che aveva tolto. Il suo bagno era finito.  Il giovane fischiò mentre saliva nella capanna per frugare nello zaino. A quel punto, lanciò una forte imprecazione.

«Cazzo!! Ho finito i vestiti!» Il giovane ricco si mise la mani tra i capelli. Alla fine aveva finito per indossare tutti i vestiti che aveva portato con sé dopo una settimana. E adesso? Non sapeva come lavare mano i vestiti e non c’era detersivo in giro.  

«Cosa c’è che non va in te? Sei stitico o il water si è intasato?» Chiese l’ufficiale appena rientrato, vedendo il giovane curvo con le mani sopra la testa come se qualcuno fosse appena morto.  

«Peggio!» Disse con voce rotta il pacato ed elegante Tian mentre che stava per scoppiare a piangere, «… non ho più vestiti puliti da indossare.»  

Terminata la frase, il capitano voleva quasi farlo saltare fuori dalla capanna.  

«Lavi i vestiti allora. È semplice.» 

«Non è semplice! Non so come lavare i panni a mano!»

Phupha gli schiaffeggiò la fronte non troppo delicatamente. Come poteva dimenticare che quel ragazzo di città non sapeva fare nulla, se non giocare con un telefono cellulare costoso? Scosse la testa esasperato e andò a prendere alcuni vestiti di ricambio dalla sua borsa da viaggio sportiva.  

«Puoi indossare i miei. Ti porto alla cascata più tardi.»  

Tian guardò la maglietta verde-kaki stropicciata con sopra ricamato Phra Pirun o il Dio della pioggia che reggeva un simbolo a forma di disco, il nome della base operativa e un paio di pantaloni della tuta da calcio con un elastico largo in vita, e si accigliò.  

«Vuoi che indossi … questi?» Tornato a casa sua, non avrebbero dovuto pensarci due volte prima di usarli come stracci.  

«Se non vuoi andare con il sedere di fuori, sii mio ospite.»  

Il capitano stava per rimettere a posto i vestiti, ma Tian li afferrò, avvicinadoli a sé per dargli un’occhiata più da vicino.

 «Questo è un indumento militare, non sono un soldato. Verrò accusato se li indosso?»  

«No, non lo sarai. Le mogli dei soldati li indossano sempre.»  

Le parole erano semplici e dirette da risultare snervanti. Le guance lisce si tinsero di una leggera tonalità più rossa. 

«Non sono tua moglie!» Gridò Tian, volendo prendere a calci il collo di quel mostro enorme… se solo fosse riuscito a raggiungere quell’altezza.

Phupha scrollò le spalle e si voltò verso la porta. «Vestiti. Aspetterò per fare colazione con te sotto la capanna.»  

La voce profonda e impassibile irritava il giovane. Se fosse stato un bambino piccolo, in quel momento avrebbe battuto i piedi a terra come ogni volta che qualcuno non si era chinato alla sua volontà. 

Tian si tolse la maglietta e con riluttanza indossò quella del capitano. La maglietta era vecchia e sbiadita, eppure aveva il dolce profumo di pulito del detersivo e della luce del sole ed era rinfrescante e calda allo stesso tempo. Scosse la testa, respingendo quelle sciocchezze e corse giù per le scale per incontrare l’altro uomo che lo stava aspettando sulla stuoia. Il riso freddo era di nuovo caldo dopo che il capitano lo aveva riscaldato sul braciere;  i fumi bianchi salivano dal riso soffice al profumo di gelsomino. Il ragazzo di città non aspettò e raccolse con il cucchiaio il riso da mangiare con l’uovo salato.  

Phupha guardò il ragazzo affamato e sorrise tra sé, divertito. Tian era seduto a gambe incrociate…con una maglietta scolorita, pantaloni spiegazzati ed i capelli arruffati. Se si fosse visto allo specchio si sarebbe scatenato l’inferno.  

Una volta terminata la colazione, il capitano Phupha portò l’insegnante volontario a prendere in prestito un catino di plastica da Khama Bieng Lae mentre indossava i vestiti usurati. Camminarono per chilometri prima raggiungere la cascata e di udire il fragoroso suono dalla scogliera mentre l’acqua colpiva il bacino sottostante.  

Tian voleva fare un altro bagno proprio lì. A poca distanza, un gruppo di giovani ragazze Akha del villaggio stavano lavando i loro vestiti mettendoli su un masso sulla riva del fiume e camminandoci sopra con i piedi. Ridacchiarono quando videro due uomini avvicinarsi prima di fare loro un timido sorriso. Phupha annuì in risposta in segno di saluto e portò il moccioso molesto nel punto più in basso sul fiume. Tian fece cadere il pesante catino sulla grande lastra di roccia, facendo una smorfia al massiccio ufficiale.  

«Capitano non credo che questi vestiti possano sopportare il peso dei miei piedi.»

«Se gli abiti economici e tessuti a mano degli abitanti del villaggio possono sopportarlo, allora anche i tuoi possono farlo. Perché hai speso migliaia di Baht per comprarli, allora?»  

Phupha si accovacciò e iniziò ad ammucchiare i vestiti colorati dal catino sulla roccia. «Tessuti diversi per usi diversi, sai?!»  

Il ragazzo di città si mise le mani sui fianchi, pronto a contrattaccare. «Dico sul serio, Cap. Non ho tempo per il tuo sarcasmo.»  

«Usa le mani, allora.» Il capitano abbassò la mano del ragazzo per sedersi accanto a lui.  «Bagnali lentamente con l’acqua.»  

Tian fece controvoglia quello che gli era stato detto. Mentre immergeva i vestiti nell’acqua, non poté fare a meno di fare una domanda. «Perché hai portato il sapone? Perché non un detersivo?»  

«I nostri antenati usavano l’aceto per lavare i vestiti. Questo sapone ha ingredienti naturali ed è ecologico. Se pulisce il tuo corpo, perché non può pulire i tuoi vestiti?»  

Il ragazzo di città mormorò qualcosa in risposta, poi strofinò il sapone sui vestiti finché non fece molte bolle e goffamente prese a strofinare il tessuto con le mani. Sembrava così imbarazzante che il capitano della compagnia dovette emettere un altro ordine.  

«Tienilo stretto e strofina le mani l’una contro l’altra. Strofina il sapone sulla macchia.» Tian strofinò i vestiti bagnati, frustrato, finché non sentì il tessuto strapparsi. 

Tutto tacque. Gli occhi a mandorla si spalancarono come se l’uomo fosse in un totale shock, seguito da una forte esclamazione come se fosse traumatizzato. 

«CAZZO! La mia maglietta Topman! Tu. Sei TU!» Tian saltò in piedi, gettando la costosa maglia colorata verso l’enorme ufficiale che era seduto, ricoprendolo di bolle bianche, con il rinfrescante profumo di gelsomino, il viso abbronzato e bello dell’altro uomo. Il capitano Phupha si alzò lentamente in tutta la sua altezza.  

L’ombra ardente che si alzò insieme a lui fece fare a Tian un passo indietro. Una mano ruvida e spessa si asciugò la schiuma di carbone di bambù dagli zigomi e degli occhi intensi e scuri fissarono l’uomo più giovane che rimase paralizzato, deglutendo a fatica. 

«Que…questo è stata colpa tua. Non puoi dare la colpa a me.» Disse Tian debolmente, ma non lo aiutò.

«Non ho intenzione di biasimarti.» Phupha ringhiò cupamente, poi si udì un fragoroso ringhio. «Ti punirò per questo!»  

Tian sussultò e gettò la camicia bagnata in faccia al capitano, mentre stava per lanciarsi contro di lui peggiorando di fatto le cose.  

Il giovane ufficiale della Sunok tirò via la costosa maglia e la gettò a terra, non gli sarebbe importato se si fosse danneggiata. Afferrò il polso del moccioso, volendo sculacciarlo fino a quando non avesse implorato perdono. Tuttavia, il ragazzo era agile come una scimmia mentre saltava nel fiume e trotterellava di qua e di là fino a quando l’acqua che circondava le sue ginocchia non diede vita a piccole in onde.  

Phupha che aveva gambe più lunghe lo raggiunse. Il giovane decise di passare ad una nuova tattica girandosi per affrontare il suo nemico e spruzzando l’acqua contro l’ufficiale ad una distanza molto ravvicinata. L’uomo più grande istintivamente alzò le braccia per proteggersi il viso, ma aveva ancora l’acqua in faccia.  

«È così che giocherai? Va bene, allora!» Phupha si tolse la maglietta e la usò come scudo. Poi saltò addosso al ragazzo e lo bloccò afferrandolo intorno al busto.

«Ahi! Non riesco a respirare!»  

Che mostro! 

Tian si dimenò, cercando di liberarsi da quelle braccia forti e muscolose che lo stringevano intorno alla vita. Il suo sforzo fu vano ed il capitano Phupha iniziò a dargli la sua punizione facendogli il solletico in vita.  

Tian, che era sensibile al tocco, urlò e si accovacciò mentre tutte le forze lo stavano abbandonando. Il giovane era infuriato perché l’ufficiale aveva scoperto un’altra sua debolezza. Decise così di ricorrere alla tattica tipica delle donne e affondò le unghie nelle braccia muscolose.  

Ha funzionato! 

Phupha scosse le braccia, sentendo il dolore colpire i suoi due arti, eppure seguì il mascalzone. La guerra continuò fino a quando i due adulti non si gettarono in acqua l’un l’altro come due bambini ed entrambi finirono per essere completamente fradici. Tian tornò all’attacco e si avventò per un combattimento ravvicinato. Si lanciò da dietro e afferrata la vita spessa del suo avversario, iniziò a solleticare gli addominali ben definiti. Tuttavia, la sua tattica aveva funzionato tanto quanto l’usare un esile listello per sollevare un masso, perché non era così che si lavorava sul capitano! 

Il mostro si voltò lentamente e gli ringhiò contro scoprendo le zanne. «Peccato. Non soffro il solletico.» 

«Quindi sei granitico dappertutto, non è vero?»

«Non ne hai avuto abbastanza!» Phupha placcò il ragazzo intelligente come fosse un giocatore di rugby. L’uomo più snello venne sollevato in aria e Tian strillò, avvolgendo le gambe intorno al busto del capitano come un pitone. Entrambi caddero all’indietro. L’acqua limpida schizzò nell’aria e cadde su entrambi i giovani, inzuppandoli.  

Phupha emise un lieve sospiro. Invertì le posizioni per essere sotto il ragazzo magro,  altrimenti Tian si sarebbe fratturato le ossa. L’uomo a cavalcioni su di lui si alzò, sentendosi come se fosse stato preso a calci nelle budella. Quando si rese conto di cosa gli fungeva da cuscino, sbottò in preda al panico.  

«Ti sei fratturato qualche osso o la testa?» Non gli importava molto dell’altro uomo, ma il fondo del lago era pieno di rocce. Non voleva diventare un assassino alla sua giovane età.

«La mia testa è intatta, ma il mio corpo no. Scendimi di dosso, culo pesante!»  

Invece di seguire l’ordine, il piantagrane si lasciò sfuggire una forte risata.  

«Di che stai ridendo?»  

Vedendo il capitano aggrottare le sopracciglia, il sorriso di Tian si aprì in modo ancora più ampio. «Tu. Sembri proprio un cane bagnato.»

La pelle nuda e abbronzata…i capelli bagnati che si appiccicavano contro la testa… e l’uomo che giaceva sulla schiena nell’acqua…quell’uomo era un leone marino. Gli piaceva scoprire le sue zanne bianche proprio come l’animale. 

Gli scintillanti occhi a mandorla si socchiusero mentre Tian guardava Phupha provocando in lui una pelle d’oca inspiegabile. Quello che stava succedendo dentro quella testa non poteva essere buono. Sbuffò, frustrato e sollevò l’esile forma da lui. 

«Smettila di scherzare. Va a lavare i tuoi vestiti e finisci ORA!»

«Sì, signore, capitano! Che uomo pignolo…»

Tian gli rivolse un saluto beffardo, indugiando un attimo prima di tornare a malincuore alle pile di vestiti bagnati. 

Il sole era alto sopra le loro teste quando i due uomini tornarono dalla cascata. Il sole abbagliante a mezzogiorno aiutava a riscaldare la fresca brezza che soffiava sulla loro pelle bagnata. Stavano camminando sulla strada che passava per il centro del villaggio, adorabilmente bagnati, facendo ridere di loro gli anziani.  

«Perché è così affollato e frenetico oggi? Si prendono anche un fine settimana di vacanza dall’agricoltura?» Chiese il ragazzo nativo di Bangkok, stupito.  

Normalmente gli abitanti del villaggio iniziavano la giornata all’alba e tornavano a casa solo quando il sole tramontava, ma in quel momento erano dappertutto.  

«Stanno preparando un matrimonio.» Il capitano rispose chiaramente, ma questo fece spalancare gli occhi di Tian.  

«Sei andato a trovare lo zio Bieng Lae ieri per chiedere la mano a sua figlia?!»  

Gli occhi intensi lanciarono uno sguardo al piantagrane che sembrava essere sotto shock e lui ebbe voglia di dargli un calcio nel sedere, poi disse esasperato: «Khama Bieng Lae ha solo i figli maschi.»

Tian sbuffò, borbottando non troppo piano. «Non è quello che ti piace?»  

«Cosa stai brontolando? Sbrigati.» Phupha tirò le braccia magre che trasportavano il catino di plastica verso la casa di Khama. Chiesero di potersi cambiare con vestiti asciutti prima di prendere la febbre.

***************

Gli abitanti del villaggio accorrevano alla casa del capo del villaggio per chiedere consigli sul matrimonio di un giovane che sarebbe andato in un altro villaggio per chiedere la mano a una ragazza e sposarsi. Gli anziani se ne stavano seduti su un materasso in uno spiazzo che fungeva da soggiorno al secondo piano e chiacchieravano allegramente tra di loro quando i nuovi arrivati salirono le scale.  

Due uomini in ammollo chiamarono il proprietario della casa, non volendo bagnare il pavimento. Non appena Khama Bieng Lae vide chi erano i visitatori, si alzò in fretta e mise un asciugamano sul pavimento perché potessero pulirsi i piedi.

«Sei andato a fare il bagno?» 

Entrambi i rivali si guardarono l’un l’altro intensamente e iniziò un’altra gara di sguardi.  L’anziano dovette reprimere la sua risata vedendo l’ufficiale severo e il nuovo insegnante agire come due bambini.  

«Il berretto verde sentiva che la temperatura era troppo calda per lui.» Disse Tian in tono sarcastico e la risposta del capitano fu altrettanto priva di senso dell’umorismo.  

«Ho freddo.»  

Il silenzio cadde. Bieng Lae si schiarì la gola prima che iniziasse un’altra guerra fredda.  

«Quindi hai bisogno di vestiti nuovi per cambiarti, vero?»  

Lo sapeva perché fin da quando i due erano andati a chiedere una bacinella di plastica per mettere gli indumenti usati, l’insegnante indossava già una maglietta verde da soldato. Vedendoli allora, bagnati fradici, era evidente che non avevano vestiti asciutti con cui cambiarsi. «Lascia che ti vada a prendere i vestiti di mio figlio.»  

«Scusa per il disturbo, Khama.» Disse Phupha porgendo i suoi rispetti a Khama e trascinò il mascalzone che divenne il bersaglio dello scrutinio degli uomini mentre se ne stava lì con la maglietta bagnata che era diventata la sua seconda pelle.

Tian si stava abbracciando le ginocchia sulla lettiga, rabbrividendo ogni volta che la brezza fredda gli sfiorava la pelle, mentre l’altro uomo sembrava indifferente. Le labbra viola sogghignarono, mentre si sentiva infastidito dal capitano: «Hai detto che avevi freddo. Quello che vedo è qualcuno che non è disturbato da nulla.» 

Gli occhi acuti del capitano guardarono il giovane che era cinico, poi si lasciò sfuggire un sorriso sardonico. «Il mio cuore è freddo.»  

Tian rimase senza parole. Una volta che il suo cervello elaborò le parole, si comportò come se stesse vomitando: «Argh! Voglio vomitare!»

Il giovane capitano scrollò le spalle, indifferente al disgusto che proveniva dall’altro. Si avvicinò e prese i vestiti da Khama Bieng Lae che arrivò appena in tempo, quindi ringraziò l’anziano e si scusò prima di tornare alla capanna per cambiarsi. Il timido ragazzo di Bangkok occupò l’intera stanza per cambiarsi mentre l’ufficiale gettava i vestiti bagnati sotto la capanna. 

Dopo essersi asciugato i capelli e il corpo, Tian si voltò per scegliere i vestiti nuovi da indossare. Ma all’improvviso si fermò mentre dando un’occhiata, vide che si trattava di una camicia di cotone color indaco tessuta a mano con ricami colorati sull’orlo ed un pantalone corto con lacci. Il giovane fece una smorfia, sentendosi a disagio. Non aveva dato un’occhiata quando gli erano stati dati i vestiti.

 E ora?  

L’aria fredda che soffiava nella capanna lo aiutò a prendere una decisione. Tian ridusse il suo nervosismo e indossò gli abiti Akha il più velocemente possibile prima che il freddo lo paralizzasse. Sollevò il catino che conteneva gli indumenti lavati e li mise uno ad uno sul telaio della finestra, poi appese il resto ad asciugare al vento sul minuscolo balcone. 

Phupha, che si era appena cambiato con i vestiti nuovi, alzò lo sguardo e rimase sorpreso. Trattenne la sua risata finché la mascella non gli fece male e ricevette un’occhiataccia dall’uomo che stava scuotendo l’umidità dai vestiti.  

«Su quale collina stai raccogliendo le tue carote, fratello?»  

La sagoma magra, alta, con la carnagione liscia e chiara con quella bellezza effeminata e un taglio di capelli moderno non poteva affatto adattarsi agli abiti etnici. Tuttavia, il divario tra l’essere un ‘ragazzo di città’ e uno delle ‘tribù delle colline’ si era già accorciato.

«La stessa tua collina!»  

Tian avrebbe tanto voluto lanciare la bacinella contro il capitano. Anche se Phupha stava indossando abiti simili, quella dell’ufficiale era una camicia con scollo a barca che gli stava meglio. Guardando con più attenzione, Tian voleva mordersi le labbra per la gelosia. La forma alta e muscolosa conferiva all’ufficiale l’aspetto di un guerriero etnico piuttosto di quello di un ragazzo di una fattoria di carote quale era lui.  

Una tale ingiustizia!  

«Hai finito di appendere i vestiti? Vuoi uscire ad aiutarli o oziare qui intorno?» Il capitano chiese gridando. 

Gli occhi luminosi esprimevano un’esitazione. «Intendevi il matrimonio? E tu?»  

«Ho già detto a Khama le mie intenzioni sin dal mattino.»  

Tian si zittì, dando una buona occhiata alla stanza vuota di quella piccola capanna. Aveva scoperto che la vita sarebbe stata parecchio noiosa se fosse rimasto lì tutto il giorno senza internet. «Vengo con te. Aspetta un attimo.» Disse prima di scomparire nella stanza per prendere le sue medicine dopo i pasti , prima che se ne dimenticasse.  

Nell’ampio cortile vicino al margine del bosco, gli uomini stavano trasportando degli steli di bambù e li stavano stendendo in terra. Alcuni li tagliavano a strisce con un grosso coltello  come a voler fare una zattera. Khama Bieng Lae fece cenno ai due uomini che erano appena arrivati ​​di unirsi a loro. Stava sorridendo ampiamente vedendo come i loro vestiti tribali nativi si adattassero ai due ragazzi.  

«Ti senti a tuo agio con i vestiti? Mia moglie l’ha fatto per nostro figlio quando ha compiuto quindici anni. Mi dispiace che sia stato conservato per un bel pò di tempo, però.»  

Tian si limitò a sorridere vedendo quanto fosse orgoglioso l’uomo più anziano. Sperava che a Tian non fosse stato detto che era alto come uno studente delle medie con un taglio di capelli alla moda.  

«Stai dicendo che è diventato così grande?»  

«Grande quanto il capitano.»  

Bieng Lae rise allegramente parlando del suo amato figlio che si era appena iscritto a un’università nel centro di Chiang Rai. Il ragazzo sarebbe tornato a casa solo durante le vacanze scolastiche.  

«Immagino che sia stato nutrito anche con un bufalo quando era un bambino…» 

Il ragazzo di città piagnucolò vedendo le spalle larghe e forti che bene si adattavano al nome del massiccio ufficiale. Il suddetto capitano e il capo del villaggio stavano chiacchierando con gli altri abitanti che parlavano un po’ di thailandese dall’altra parte della montagna.  

«Stiamo facendo un palanchino per trasportare la sposa da un villaggio sulle montagne vicino al nostro.» 

«Un palanchino… » Tian stava cercando la parola nella sua testa. 

«Intendevi una lettiga, quella con sedile e con i portatori?»

«Sì. La seduta deve essere in grado di contenere sia lo sposo che la sposa.»

«Ci vogliono molti uomini, allora?»  

«Molti. Quattro davanti e quattro dietro. Se non camminano all’unisono, il palanchino crollerà.» Disse scherzosamente il capo del villaggio, ma non sarebbe stato divertente per i piccioncini. Il percorso attraverso il bosco e la strada sterrata era tortuoso ed i trasportatori dovevano trasportare sia la lettiga che gli sposi. Era un bel compito. 

Tian annuì a malincuore. Khama Bieng Lae gli aveva chiesto di usare il coltello per raschiare via le schegge, mentre il capitano aiutava con entusiasmo a costruire la portantina.  

Tre ore dopo, il palanchino di legno aveva iniziato a prendere una forma. Gli uomini stavano collegando un asse portante inserendo un grosso gambo di bambù sotto la lettiera, legandolo strettamente con corde di canapa. Gli otto uomini forti che sarebbero stati i trasportatori presero posto per testarlo.  

Le voci mentre sollevavano il mezzo di trasporto risuonarono all’unisono attraverso i boschi.  A volte uno di loro perdeva l’equilibrio e la lettiga quasi cadeva. Vedendo i loro volti arrossati dal peso del legno, Tian non poté fare a meno di sperare che la loro impresa riuscisse.  

«È necessario portare quella cosa in spalla?» Mormorò a se stesso, ma Khama Bieng Lae che era lì vicino lo sentì.

«Non è necessario. Il punto è onorare la sposa andandola a prendere e portarla fino al villaggio dello sposo e farla venire a piedi non sarebbe onorevole. Il villaggio di Akha vicino alla città ha anche strade asfaltate e camion per farlo.»  

«Quindi andrebbe bene anche riuscire a sollevare il palanchino fino all’altezza del braccio?» 

Il capo del villaggio di Pha Pan Dao si voltò verso il giovane ragazzo di città, gli occhi spalancati per un’improvvisa realizzazione.

 È vero! 

Come gli era potuto sfuggire di mente la facoltà in cui studiava l’insegnante volontario! 

«Cosa hai in mente? Puoi dirmelo.» 

«Che cosa?» Sbottò Tian sorpreso che l’uomo più anziano chiedesse la sua opinione. Si strofinò il collo, nervoso. «… No, meglio di no. Non credo che funzionerà.»  

«È meglio che non avere affatto un’opinione.»

Una voce profonda si alzò mentre il capitano Phupha si avvicinava, il suo corpo inzuppato di sudore e gli occhi acuti e intensi guardavano il giovane come a voler tirare fuori qualcosa da quel cervello.

«Non spingermi …» disse lo studente di ingegneria di una famosa università, sentendosi a disagio. 

«Hai mai visto un palanchino cinese? C’è un tetto, una persona seduta all’interno e hanno bisogno solo di due portatori.» 

«So cos’è, ma dubito che lo facciano.»

Phupha sorrise leggermente, voltandosi verso i giovani uomini Akha che circondavano il  nuovo insegnante volontario, curiosi di quello che stava dicendo anche se non ne comprendevano ogni parola. 

Tian si guardò intorno, cogliendo l’espressione di aspettativa sul volto di tutti ed emise un profondo sospiro. Si chinò per spazzolare via il terreno così da disegnare sulla sabbia. Era l’immagine di un palanchino squadrato con un lungo legno che sporgeva dal centro, quello usato nell’antica Cina. 

«Fa freddo in Cina, quindi l’hanno chiusa con quattro pareti proprio come questa …» Più disegnava, migliore era l’idea che gli veniva in mente: «La nostra non deve essere così grandiosa. Basta creare una struttura squadrata come questa sulla parte superiore del sedile, quindi coprirla con paglia, senza pareti. Questo sarà molto più leggero rispetto alla versione precedente.»

«Come si porta questo palanchino cinese?» Chiese Khama Bieng Lae. Non ne aveva mai visto uno che sembrasse così strano come il disegno, eppure stava facendo del suo meglio per imparare e capire in modo da poter spiegare alla sua gente.  

«Per prima cosa, ti muovi tra le travi e metti le mani su entrambi i lati. Quindi, la sollevi verticalmente.»

«Pensi che i polsi sosterranno il peso? Da quello che hai appena detto, ci vogliono solo due persone per portarlo.»

Gli ingranaggi stavano lavorando nella mente di Tian lui mentre muoveva gli occhi avanti e indietro. Il suo cervello dopo alcuni istanti iniziò ad elaborare e il giovane prese a spiegare. 

«Penso che vada bene mettere le travi sulle spalle. È uno spazio più grande, quindi ridurrà il peso. Ma quando sollevi qualcosa di pesante, non puoi sollevarlo troppo in alto.» Si batté il mento un paio di volte, poi usò un bastone per disegnare qualcosa altro sul terreno. «Se aggiungiamo un’ulteriore trave che passi sopra la copertura, formando così un anello, non solo rafforzeremo la struttura rendendola più salda alle travi, ma da due ne avremo 4 così che 2 possano essere prese in spalla e 2 a braccio; in questo modo anche il peso verrà ben distribuito. Se funziona, avrai bisogno solo della metà della forza lavoro. Inoltre se gli uomini si disporranno in fila e avranno la stessa altezza, li aiuterà con l’equilibrio su entrambi i lati.» 

La rapida soluzione che scivolò fuori dalle labbra del nuovo insegnante fece sembrare tutti sbalorditi. Tuttavia, l’uomo che aveva avuto l’idea si guardò intorno…nessuno gli aveva ancora dato un feedback. 

«Va bene … è una cattiva idea, vero? Quindi faresti meglio ad usare la vecchia versione.»

«Chi ha detto che è una cattiva idea? È geniale!»  

Bieng Lae scattò in avanti e accarezzò calorosamente la spalla sottile con eccitazione. Si voltò verso gli uomini che stavano intorno a loro e applaudì per chiamarli e gridò lunghe frasi nella sua lingua madre.  

Gli abitanti del villaggio risposero con un entusiasmo tale che poteva essere percepito dai loro corpi. Decisero così di non smontare il vecchio palanchino, ma di iniziare a montare le nuove travi per creare il nuovo modello.  

«Ti piace l’invenzione?» Chiese il capitano Phupha che stava incrociando le braccia nelle vicinanze.

Tian che rimase sbalordito alla vista di un improvviso cambiamento intorno a lui si voltò verso l’ufficiale, i suoi occhi tremarono. «Mi piaceva.»  

«Perché usi il passato?»  

«Uso il passato perché ora non lo faccio più.»  

Tian alzò le sopracciglia nell’intento di innervosire il capitano e nascondere i suoi veri sentimenti. Eppure, prima che l’altro potesse fare un’altra domanda, si allontanò verso il capo villaggio che lo stava chiamando.  

Sì, Tian amava smontare i suoi giocattoli da bambino, specialmente quelli che si muovevano come macchine o i robot che usavano le batterie. Una volta rotti, prendeva i componenti uno per uno e li metteva insieme per creare una nuova invenzione. Ogni volta che voleva mostrare la sua creazione ai suoi genitori erano stati sempre occupati, non erano mai lì ad ascoltarlo. Quando aveva provato a mostrarle ai suoi amici, figli di famiglie benestanti, avevano riso di lui chiamando le sue idee ‘spazzatura’. Da quel giorno, il piccolo Tian Sophadissakul aveva imparato che se voleva essere accettato nella cerchia sociale in cui era nato, per essere lodato e applaudito, doveva agire al di sopra di tutti gli altri. Doveva essere il più ricco, vivere la vita più sontuosa: dalle auto importati, agli ultimi modelli di telefoni cellulari, vestendosi con noti brand dalla testa ai piedi. La società materialista aveva dato alle persone così tante melliflue soddisfazioni che ben presto avevano dimenticato se stessi. 

«Kru..quanto dovrebbe essere largo il sedile?» La domanda di Khama Bieng Lae strappò l’insegnante dalle sue fantasticherie.  

«Ehm… solo per due persone, quindi due metri dovrebbero essere sufficienti.»  

La bocca del capo del villaggio si aprì in un ampio sorriso. «Non abbiamo un metro a nastro e la gente qui non ha mai imparato a misurare le unità.»

«Oh …» Tian si lasciò sfuggire un sospiro quando se ne rese conto. Si grattò la testa e si diresse verso il mucchio di bambù tagliati per scegliere quello più piccolo e lo usò per misurare una distanza di un metro. Quando ne ottenne uno della misura necessaria, la mostrò all’abitante del villaggio che teneva in mano un’ascia di tagliare in quel punto.  

«Puoi dire loro di usare questo gambo per misurare? Dalla mia stima, la discrepanza non sarebbe inferiore o superiore a dieci centimetri.» Tian istruì l’anziano su come usare lo strumento. «Sai tutto. Parli anche il dialetto centrale.» 

«Ho una borsa di studio per ragazzi svantaggiati di Sua Maestà il Re. C’era un programma di educazione speciale per i bambini delle tribù delle colline ai confini. Un bambino per villaggio veniva mandato a scuola in centro fino a quello che oggi corrisponde al quinto o sesto grado. Poi ho lavorato come impiegato temporaneo presso un’organizzazione governativa nel centro di Chiang Rai fino a quando non sono tornato qui per sistemarmi, come vedi.» Lo zio Bieng Lae raccontò con orgoglio la sua storia di vita. La generosità di Sua Maestà il Re gli aveva permesso di tornare al villaggio e di far prosperare il luogo che aveva ereditato sin dai tempi dei suoi antenati.

«Non ne avevo idea.»  

Tian non sapeva che i molti decreti reali trasmessi in TV nei notiziari serali avrebbero giovato molto alla vita di persone così sfortunate. Era strano quando ci pensava.  

Le persone di città come lui erano nate con risorse di vita più grandi e più opportunità e tuttavia potevano vedere il re solo alla TV, mentre gli abitanti dei villaggi nell’entroterra lontano, che vivevano nella sporcizia, non avendo modo di raggiungere il re, avrebbe avuto più occasioni di incontrarlo dato che il re in persona si recava in visita nelle parti più remote del paese che richiedevano grandi opere.  

«Quando hai del tempo libero, vai  sul punto più alto di Phu Pan Dao e guardati intorno, guarda giù per le colline. La foresta verdeggiante e le fattorie di cui sei testimone derivano dalle sue idee reali.» 

«È fantastico.»

«Noi diciamo sempre di essere fortunati. ‘Fortunati’ perchè siamo nati su questa terra.» 

Tian sorrise leggermente, sentendosi orgoglioso come Khama Bieng Lae. Forse stava sorridendo troppo, perché la fitta di dolore gli attraversò le guance. L’espressione del capo del villaggio si incupì quando vide l’insegnante.  

«Volevo parlarti di questo. Gli intermediari che hanno approfittato della gente non erano solo il Maestro Sakda e i suoi uomini. Se vedi di nuovo qualcosa del genere, devi dirlo a me o al capitano. Fallo. Non prendere la questione nelle tue mani.» 

«Se aspettassi di dirtelo più tardi, nel frattempo gli abitanti del villaggio potrebbero essere ingannati.» Tian si accigliò, incapace di capire le parole dell’uomo più anziano. «Inoltre … lascia che ti chieda una cosa. Se ti raccontassi cosa è successo, tu o il capitano come li gestireste?»  

La domanda era più difficile da risolvere rispetto al dilemma: viene prima la gallina o l’uovo?  

Khama Bieng Lae rifletté in silenzio per un momento, poi emise un lungo sospiro: «Kru Tian. Non posso dirti tutto sulla mafia qui intorno. Ma fidati di me, per favore. Non sei stato il primo insegnante volontario che ha cercato di aiutare gli abitanti del villaggio, alcuni hanno dovuto lasciare la collina non tutti interi.» L’uomo più anziano diede una pacca sulla spalla di Tian per sottolineare sul serio quello che aveva appena detto. «Questo è tutto quello che posso dirti. Sei un ragazzo intelligente. Dovresti capirlo.» 

Tian fece schioccare la lingua, seccato di aver ricevuto un altro avvertimento sull’incidente.  

Continuavano a chiamarlo “ragazzo intelligente”. E se avesse voluto essere stupido solo per una volta? Scosse la testa e andò ad aiutare gli abitanti del villaggio a mettere insieme il palanchino. 

Cosa accadrà se lascio che il futuro faccia il suo corso?

*********************

Il palanchino cinese, modificato in una versione più semplice dall’ingegnere capo che aveva supervisionato ogni passaggio, fu completo una volta che la corda venne stretta intorno alle strisce di bambù. Quando prese forma, Tian fece cenno a quattro uomini, di altezza simile, di sollevare il veicolo da terra. Un unico stelo di bambù che sporgeva dalla struttura del tetto venne preso in spalla da due uomini mentre gli altri due reggevano le travi inferiori.  Anche se il veicolo appariva strano, era facile da manovrare e il nuovo design distribuiva il peso in maniera più efficiente della versione precedente. Lo studente di ingegneria si accarezzò il mento, riflettendo, prima di segnalare agli uomini di posare il palanchino. Aveva misurato la lunghezza con gli occhi, quindi chiese agli uomini che capivano la lingua thailandese di eliminare una lunghezza eccessiva. Anche se le travi più lunghe aiutavano a ridurre il peso, erano anche troppo scomode da trasportare.  

Quando l’operazione terminò, Tian fece il controllo finale. Girò intorno alla struttura, soffermandosi per un momento e poi rivolse agli abitanti del villaggio che lo circondavano, in attesa di sentire un’approvazione, un pollice in su. 

Finalmente ce l’hanno fatta!  

Gli uomini che avevano lavorato duramente al palanchino gridarono felici e proruppero in un forte applauso, battendo le mani, mentre si radunavano intorno all’insegnante volontario per ringraziarlo in lingua thailandese con uno spiccato accento del loro dialetto. Colui che era stato ringraziato strinse loro la mano con sentimenti contrastanti. 

Il capitano Phupha che aveva osservato l’intera scena da lontano si avvicinò al capo ingegnere che sorrideva imbarazzato e, non sapendo come reagire, mise la mano sulla nuca. «Buon lavoro.» Quando non vide alcuna reazione da parte del giovane, abbassò lo sguardo e vide le lacrime brillare negli occhi a mandorla. Le labbra spesse del capitano si sollevarono in un sorriso gentile.  

«Tutto ha il suo valore. Anche se gli altri non possono vederlo, tu lo fai. Quindi … non combatterlo.»  

… Non combattere per essere qualcun altro, non sei qui solo per compiacere gli altri.  

Era qualcosa che Tian avrebbe desiderato sentirsi dire molto tempo prima. Non c’era bisogno di ricompense costose, non erano necessarie le lodi. Aveva soltanto desiderato che qualcuno lo accettasse per ciò che era… 

Tian tirò su col naso, passandoci poi sopra il braccio destro e dopo si portò una mano dietro la testa, con una smorfia di malumore: «Non sono un ragazzino.»

Phupha trattenne le risate e porse al giovane un bicchiere di plastica di acqua piovana fredda e rinfrescante. «Vuole dell’acqua, signor Sono un uomo cresciuto?» 

L’insegnante si accigliò alla presa in giro del capitano. Afferrò la tazza e bevve l’acqua.  

«Hai fame?» 

Tian gridò la risposta: «Potrei mangiare un cavallo!»  

Le morbide verdure bollite e la pasta al peperoncino che sarebbero stati il suo pranzo non potevano continuare a andar bene per il suo stomaco.

«Aspetta. Il dottore è andato a fare delle commissioni in centro. Ha detto che ti avrebbe portato un’anatra al vapore in salsa agrodolce da un ristorante famoso.»  

Dopo aver sentito il nome del dottore dal capitano, Tian sorrise mostrando i denti.  

«Pensavo che voi due stesse agognando per una bella fetta di manzo.» 

Non vedete l’ora di potervi ‘mangiare’ a vicenda… 

Il capitano fece finta di non cogliere le sue allusioni. «Ho detto anatra, non manzo

Ho detto che avrei mangiato un’anatra, non che ci saremmo mangiati l’un l’altro

«Ti ho sentito!  Non sono sordo!»

Phupha aggrottò la fronte, incapace di mettersi al passo con la testa calda dell’adolescente. 

«Come mai sei arrabbiato allora?»

«Ho detto che ho fame!» Tian terminò la sua frase, mentre con la sua spalla colpì quella del capitano quando si incamminò verso Khama Bieng Lae che aveva assistito da lontano al duello verbale e aveva visto come l’ufficiale stesse scuotendo la testa esasperato.  

Erano quasi le 18:00. Il sole stava tramontando e il cielo si stava oscurando. Il dottor Wasant parcheggiò la macchina all’entrata posteriore del villaggio e si incamminò lungo il pendio con alcune buste di cibo. Una volta raggiunta la capanna, gridò al suo amico alto e massiccio che era seduto sulla stuoia sotto casa, per aiutarlo.  

«Perché hai comprato così tante cose?» Phupha guardò nei sacchetti mentre li apriva e metteva il cibo nei piatti.  

«Ho comprato tutto anche il necessario per medicare Tian. Ho sentito della sua lite.»  

Il giovane capitano sorrise. «Forse si è visto come Bruce Lee. Fortunatamente non hanno tirato fuori una pistola per sparargli.»  

Wasant prese un piatto e versò il riso al gelsomino con un lungo e pesante sospiro. «Non è un buon inizio, non è vero? Temo che non durerà così a lungo.»  

Anche se l’area era protetta dai militari, alcune cattive influenze continuavano a persistere. Era un’area remota dove lo sviluppo era minimo e gli abitanti del villaggio erano a malapena istruiti, quindi offriva ai criminali uno spiraglio per trarne il proprio vantaggio. La foresta era molto grande ed i ranger lavoravano duramente pattugliando decine di chilometri ogni giorno per cercare i bracconieri. 

Quando lui e Phupha si erano trasferiti alla base, avevano dovuto affrontare incidenti quasi tutti i giorni, combattendo contro bracconieri e trafficanti di droga, fino a quando non erano cominciati a diminuire con il passare degli anni. I criminali dovevano aver capito di che pasta era fatto quel capitano così avevano deciso di abbandonare quell’area e passare alla prossima. 

Ma non tutti se ne sono andati però.  

«È meglio così.» Le parole semplici ma decise attirarono lo sguardo del dottore sul capitano, l’angolo delle labbra sottili si alzò in un sorriso complice.

«Dici sul serio?»

«Certo.» Rispose l’uomo, ma non lo stava guardando in faccia, il capitano era incapace di incontrare gli occhi del suo amico.  

Il dottore si raddrizzò e incrociò le braccia, come se avesse avuto la meglio. «Non pensare che non sappia cosa hai in mente, bastardo. Gli vai dietro fin dal primo giorno in cui ha messo piede al villaggio e non lo hai mai lasciato da solo con me. Anche la scorsa notte, sei stato così sfacciato dall’andare nella sua capanna e hai passato la notte lì. Credi davvero che crederò alle tue cazzate? Va bene, vai avanti. Non me la dai a bere.»

Quella era la prima volta in assoluto che Phupha si pentiva di avere quel dannato figlio di una puttana come suo migliore amico! Avevano passato molti anni insieme dal loro primo incontro al campo base e quando lui si era trasferito in quella remota regione del paese, il dottore aveva persino chiesto poterlo seguire fin lì. Non poteva negare che il dottore lo conoscesse meglio di chiunque altro, dentro e fuori.  

«Puoi tenere il tuo fottuto naso fuori dai miei affari solo per questa volta?» Phupha sbatté il piatto con l’anatra al vapore che aveva appena versato dal sacco sul tavolino, frustrato.  

«Beh, c’è ancora una cosa che non so. Il motivo per cui lo guardi come se tu fossi una chioccia… è stato per questo…. amore a prima vista? O un ordine di Tu-Sai-Chi?»

Il capitano si zittì mentre distoglieva il suo sguardo rivolgendolo ai piatti e sentendosi a disagio. «Tra tutte questa è la prima cosa in cui non dovresti davvero ficcare il naso.»

«Bastardo di merda. Mi stai nascondendo qualcosa?!» Wasant imprecò ad alta voce prima di aggiungere un’altra minaccia. «Bene! Dirò al ragazzo di guardarsi le spalle e di non fidarsi mai di te!»  

«Una minaccia a vuoto.» Disse Phupha con nonchalance e il dottore fece schioccare la lingua, seccato.  

«Non essere così presuntuoso. Non sai nemmeno cosa sente per te.»  

Il capitano non voleva affatto una risposta a quello. Non disse nulla e si voltò per sollevare una bottiglia d’acqua e metterla sulla stuoia, un gesto per dire che la loro conversazione era finita. Vedendo quanto fosse insensibile il suo migliore amico, il giovane dottore si offrì volontario per chiamare l’insegnante che aveva deciso di fare un pisolino prima del pasto.  

Quando il dottore scomparve dentro la capanna, Phupha si accasciò sulla stuoia, sentendosi esausto. 

Se sin dal principio non ho mai avuto nessuna speranza, perché allora dovrei e vorrei sapere cosa “pensa” il giovane di me?  

Tian si precipitò giù per le scale perché il suo stomaco e la sua resistenza stavano decisamente brontolavano in protesta. Gli occhi a mandorla si spalancarono per l’eccitazione vedendo il cibo che oramai conosceva bene: anatra al vapore in una salsa marrone, maiale croccante arrosto e gnocchi di gamberi croccanti fritti. Si voltò verso il suo benefattore con un ampio sorriso di gratitudine.  

«Grazie mille, dottore! Questi sono tutti i miei preferiti!»

«Sono contento che ti piacciano. Puoi mangiare quanto vuoi. Non voglio che la gente dica che non ci prendiamo cura di te quassù.» Wasant alzò il braccio nell’intento di accarezzare la testa del ragazzo, ma c’erano due paia di occhi scuri che lo fissavano.  

«Non devi preoccuparti. Finirò tutto.» Tian si diede una pacca sulla pancia piatta per confermare le sue parole. 

«Peccato che il riso non sia più caldo. L’ho comprato questo pomeriggio ed ormai si sarà raffreddato ora che è sera.» Il medico militare porse il piatto pieno di riso all’insegnante che si era già seduto per terra.  

«Tanto sono già abituato al riso freddo. Penso che abbia un sapore acquisito ed è meglio che non mangiare affatto.» Tian balbettò mentre si metteva in bocca un grosso pezzo di anatra. I due uomini, lasciati i cucchiai a mezz’aria, si voltarono a guardarsi l’un l’altro come se stessero avendo lo stesso pensiero. Qualcosa in quel ragazzo di città stava cambiando. 

Il giovane alzò lo sguardo, percependo il silenzio. «Cosa state aspettando? Se non volete mangiare, finisco io il piatto.» Tian spazzolò il maiale croccante con salsa nel suo piatto e lo masticò. 

«Ehi, dottore, hai qualche medicina per problemi di digestione con te?» Chiese Phupha.

«No. Qualcuno è malato?»

«Non ora, ma forse presto. Temo che lo stomaco insaziabile di qualcuno possa scoppiare.»  

Tian sbatté gli occhi verso il massiccio capitano e ribatté prendendo il cibo da ogni piatto e mettendolo in quello dell’ufficiale finché non fu pieno. «Mangia e tieni la bocca occupata capitano.»

«Bene … visto come ti prendi cura di te, faresti meglio a chiedere a tua madre di parlare con la sua per un accordo matrimoniale.» Disse il dottor Wasant con un sorrisetto al suo amico.  

«Mia madre è morta quando avevo dieci anni. E se vuoi continuare a parlare di mio padre, stasera accenderò l’incenso e chiederò al suo spirito di spezzarti il ​​collo.» Phupha terminò la frase, alzando il dito medio. 

«Va bene, mi arrendo.» Il dottore alzò bandiera bianca e si voltò verso l’insegnante. «Penso che gli uomini si divertiranno stasera.» 

«Perché? Il matrimonio non è domani?» 

Wasant ridacchiò sommessamente come se sapesse qualcosa.

«Secondo un’antica tradizione Akha, quando un uomo si sposa, deve liberare tutte le impurità dal suo corpo … dormendo con Sa Kor Her, oppure una vedova incaricata di far scoppiare la ciliegia dello sposo e di insegnargli come donare amore alla sua sposa.» 

«Cosa?» La bocca del giovane si spalancò ascoltando quel rituale particolare. «Può essere questa una sorta di addio al celibato?»  

«Non lo so.» Forse si trattava solo dell’egocentrismo degli uomini che lo avevano fatto diventare una norma. Wasant si strinse nelle spalle e mise in bocca un cucchiaio di riso. 

«Allora perché hai detto che tutti gli uomini si divertiranno? Non è questo un rituale solo per lo sposo?» 

L’uomo più anziano sorrise consapevolmente, con gli occhi socchiusi come una volpe e si chinò in un sussurro contro la punta dell’orecchio bianco di Tian. «Stasera puoi fare una passeggiata nel villaggio. Se vedi un gruppo di uomini con una torcia o una lampada, seguili.»

«Hai intenzione di finire il tuo fottuto pasto così possiamo tornare alla base?!» Phupha intervenne prima che il suo amico mettesse altre idee strane nella testa del piantagrane.  

Tuttavia, Tian non aveva compreso così lasciò andare la cosa e tornò a mangiare le prelibatezze davanti a lui fino a quando non gli fece male lo stomaco.

Quando ebbero finito di lavare i piatti, il giovane accompagnò fuori gli ospiti come faceva normalmente. Il capitano non salì in macchina con l’amico dato che aveva la sua moto.  Prima di partire,però, il soldato non dimenticò di ricordare a Tian che non doveva uscire di notte perché non era sicuro farlo.  

L’insegnante annuì con noncuranza, annoiato dell’avvertimento, e agitò la mano per congedare il capitano. Tornò in fondo alla capanna per mettere il bollitore sul braciere per un bagno caldo.  

Strinse i denti mentre si mise a correre di nuovo nudo nella sua stanza dopo il bagno al freddo e sentì un crampo allo stomaco. Improvvisamente, i suoi occhi intravidero qualcosa. 

Era il catino di plastica che aveva preso in prestito da Khama Bieng Lae che si era dimenticato di restituire. 

******************

Un uomo con la sua giacca preferita ed i pantaloni umidi del pigiama era in piedi davanti alla casa più grande del villaggio di Pha Pan Dao. Tremava e gridava il nome del proprietario della casa. Una porta di legno dietro una scala si aprì lentamente e Khama Bieng Lae fece luce con una lampada per guardare.  

«Kru! Cosa ti ha portato qui al buio?!»  

«Mi sono dimenticato di restituirti il ​​catino. Temo che tua moglie ne avrà bisogno domattina.»  

Tian sapeva che la maggior parte delle casalinghe Akha andavano a lavare i loro vestiti alla cascata all’alba.  

«Oh cielo. Non dovevi preoccuparti. Abbiamo un sacco di catini qui. Puoi tenerti questo.»  

«Ah, va bene.» Tian si strofinò la nuca, imbarazzato per essere andato fin là per niente.  

Prima che si voltasse per andarsene, il capo villaggio gridò come se avesse pensato a qualcosa. «È un bene che tu sia venuto. Avanti, abbiamo qualcosa per te.»  

«Noi …?» Tian aggrottò la fronte, chiedendosi chi ci sarebbe stato, ma salì le scale come gli fosse stato chiesto. Prese posto sul materasso per terra con il lavandino al suo fianco, guardando a destra e a sinistra per osservare una tipica casa Akha, notando che la casa rispecchiasse e parlasse dell’istruzione e dell’esperienza lavorativa di Khama Bieng Lae in città.  

La casa era piena di accessori moderni ed aveva persino uno scaffale per i libri. I suoi occhi si soffermarono su un’immagine in una cornice dorata: era una foto del re Bhumibol mentre visitava gli abitanti delle aree remote della Thailandia. Il poster realizzato con la foto era così realistico che si poteva vedere chiaramente il sudore sul viso di Sua Maestà e quanto duramente avesse lavorato per la sua gente.  

Tian pensò al calendario appeso con la foto di Sua Maestà su un armadio in fondo all’aula della scuola. Il chiodo era caduto, quindi il calendario è stato posizionato in quel modo. Stava pensando di prendere in prestito un martello da Khama Bieng Lae per rimettere su il calendario. Forse i bambini si sarebbero sentiti più invogliati a studiare vedendo l’immagine del re.  

«Scusa se ti ho fatto aspettare.» Bieng Lae uscì dalla sua camera da letto insieme a sua moglie che portava i tipici costumi tradizionali di Akha. «Mia moglie ha appena finito di sistemare l’ultima camicia.»

«Perché tanti vestiti?» Chiese il giovane ricco, perplesso.  

L’uomo più anziano sorrise dolcemente mentre prendeva i vestiti dalla moglie e li metteva di fronte all’insegnante. «Questi abiti da uomo erano i migliori costumi tessuti e realizzati dalla nostra gente. Alcuni di loro sono così vecchi da essere stati riposti in un baule, ma mia moglie li aveva riparati per te. Oggi i ragazzi erano così felici di vedere che indossavi i loro vestiti e tu li hai aiutati a costruire il palanchino della sposa, quindi hanno voluto ripagare la tua gentilezza.»  

Tian tacque, sentendo gli occhi bruciare. «A loro … piaceva vedermi indossare gli stessi vestiti che indossano loro?»  

«A molte persone qui piace indossare abiti da città per sembrare moderni, ma a quante persone di città piacciono i costumi popolari come a noi?» Khama mise le mani sulla pila di vestiti con i ricami colorati.  

«Se non ti dispiace…puoi accettare questi vecchi vestiti?»  

«Io…» Tian ingoiò i suoi singhiozzi. Nonostante fosse qui solo per poco tempo, sentiva ancora l’autostima che gli era stata cancellata tornare di nuovo in vita. «Come posso dire di no?» Tian si chinò ad abbracciare gli abiti come se fossero i doni più preziosi e si voltò verso la moglie di Khama che gli sorrideva.  

«Er kuelong. Hue..matae…zietta.»  

Tian aveva detto “grazie” in dialetto Akha che aveva imparato dagli uomini quel pomeriggio. Sapeva che la frase era stata detta male, ma suscitò comunque una risata di cuore da entrambi gli anziani.  

«Te jay mah nger, ah khu.»  

Sentendo la risposta di sua moglie, Bieng Lae tradusse la frase: «Prego, Kru.» 

Tian mise i panni nel catino, salutò i padroni di casa e scese le scale. Puntò la torcia lungo la strada accidentata nel mezzo del villaggio. Era una notte senza luna e le stelle scintillanti erano visibili nel cielo scuro, anche la temperatura era scesa ad un livello agghiacciante tanto da vedere il fumo bianco causato dal suo respiro. 

Il ragazzo di città che non aveva mai sperimentato una tale freddo in Thailandia e si asciugò il liquido limpido che colava dal suo naso. Poi intravide qualcosa di insolito: una luce proveniente da un gruppo di uomini che camminava nell’oscurità in punta di piedi dietro la fila di case di legno.  

Vedendolo riconobbero la presenza di un altro e si fermarono per guardare. L’ombra uscì con una lampada al cherosene in mano e anche Tian poté vedere i volti familiari nell’oscurità. Erano i giovani che a mezzogiorno stavano costruendo il palanchino con lui.  

Cosa ci fanno qui di notte?  

Prima di ottenere la sua risposta, iniziarono a salutarlo. Tian guardò a destra e a sinistra indicando se stesso.

Mi stanno chiamando?  

Quando annuirono un sì e fecero un rapido cenno con la mano, Tian si avvicinò loro senza pensarci due volte. Quando videro come l’insegnante volontario si stava unendo a loro, lo schiaffeggiarono sulle spalle esili con una risata compiaciuta e lo fecero camminare con loro. 

Tian andò avanti, perplesso, con una torcia in una mano e una bacinella nell’altra. Ricordò le parole di Nam ed iniziò a rendersi conto del motivo per cui quel gruppo di uomini usciva una notte con la lampada. Un brivido lo attraversò come per un adolescente che sgattaiola fuori per fare qualcosa contro le regole.  

Camminarono finché non raggiunsero i piedi della collina, abbastanza lontano, e individuarono una sola capanna costruita dietro un grande albero.  

«Perché siamo qui?» Chiese Tian a bassa voce, ma risuonò forte nel silenzio totale.  

Gli uomini si voltarono verso di lui all’unisono e si portarono l’indice sulle labbra per dirgli di tacere.  

Il nuovo insegnante volontario chiuse la bocca come gli era stato detto e proseguì in punta di piedi dietro gli uomini verso la capanna. Il pioniere si raddrizzò per cercare un’apertura nel muro di bambù intrecciato e ne trovò una. Fece cenno ai suoi amici di avvicinarsi. 

La luce della lampada all’interno era abbastanza intensa da emanare un debole barlume di ombre in movimento sulla parete all’interno. I gemiti sommessi e le frasi mormorate, insieme ai sorrisi maliziosi dei giovani gli fecero capire cosa stava succedendo in quella capanna. 

Gli uomini Akha videro come si stava tirando indietro e lo tirarono più vicino, sperando che avesse una visuale migliore dell’attività sessuale tra lo sposo e Sa Khor Her attraverso il buco.  

I due seni prosperosi della vedova erano proprio davanti ai suoi occhi e quello lo spinse a  gridare ad alta voce.  «Por —!»  

Prima che finisse la parola, una mano gli coprì la bocca. Incapace di muoversi, Tian aveva dovuto guardare il porno dal vivo con una sensazione di disagio nelle viscere.

Il respiro veloce proveniente dai giovani intorno a lui, mentre l’uomo nella capanna si avvicinava al suo obiettivo, gli fece desiderare di distogliere lo sguardo, ma i suoi occhi erano fissi sulla vista. Le due cosce lisce si spalancarono, pronte a far entrare l’uomo. La durezza che metteva in mostra la fertilità del giovane sposo lentamente scomparve nel corpo della donna. Quando il futuro sposo iniziò a muoversi, i bassi gemiti della vedova fecero rabbrividire tutti i maschi che sbirciavano dalla fessura.  

«Ragazzi, vi siete divertiti abbastanza?» 

Giurerei che…

La voce bassa, profonda e familiare che pronunciò la frase in thailandese era così calma e tuttavia potente. Risuonò attraverso le loro orecchie costringendo gli uomini, che non capivano nemmeno completamente la lingua, a scappare in ogni direzione; ma ahimè per il povero insegnante, il catino era per lui un tale ostacolo e Tian venne afferrato da una grande mano. Il sudore prese a scorrere sulla sua fronte liscia anche se la temperatura era gelida.  Fece una risata secca e nervosa prima di voltarsi verso l’imponente ufficiale che si era trasformato in un mostro arrabbiato.  

«Non sei tornato alla base?»  

«Avevo la sensazione che avresti fatto qualcosa di stupido, così sono tornato dopo la doccia. Non ti ho visto alla capanna così sono venuto direttamente al cerimoniale. E avevo ragione.» Phupha aveva sottolineato ogni parola dell’ultima frase per intimidire l’uomo più giovane.  

«Non devi starmi dietro, sai?» Tian rise imbarazzato mentre impallidiva. Perché avrebbe dovuto averne paura? Non era stato intimidito da quell’uomo neanche un po’.

«Vai a casa ora!» Il capitano trascinò il piantagrane per il braccio e Tian si sentì quasi slogare la spalla. 

«Ahi! Vacci piano, capitano!» Gridò un falso lamento così l’ufficiale sarebbe diventato più gentile, ma fu tutto inutile. La presa di ferro gli teneva ancora saldamente l’avambraccio. 

Phupha stava trascinando la sagoma snella verso la sua moto che era parcheggiata nelle vicinanze in modo da poter portare il ragazzo a casa. Tuttavia, percepì l’imbarazzo nel modo in cui Tian camminava, quindi si fermò e si voltò. Gli occhi acuti percorsero il corpo del giovane e si fermarono davanti al rigonfiamento. Un sorriso gelido e consapevole apparve sul viso scuro.  

«Cosa stai guardando?!» Tian gridò e abbassò la giacca per nascondere il suo gioiello. Il suo viso si arrossò per l’imbarazzo.  

«Quanto hai visto attraverso quel buco?»  

«Non sono affari tuoi!»  

Il giovane spinse il capitano che si abbassò ancora più vicino come se volesse prenderlo in giro.  

«Hai bisogno del mio aiuto?»  

La punta del naso dritto e prominente del capitano sfiorò il lobo dell’orecchio pallido di Tian mentre sussurrava la voce bassa e roca: «Siamo entrambi uomini. Non essere imbarazzato.»

Tian sentì la pelle d’oca dappertutto, chiuse gli occhi e strillò come un bufalo che veniva massacrato, la sua voce risuonò forte attraverso le montagne. 

«Un uomo come te…sopra…è troppo pericoloso!» 

Tian colpì con la bacinella di plastica lo stomaco stretto del capitano. Phupha si piegò per il dolore, poi alzò lo sguardo verso il mascalzone che si allontanò raggiungendo la moto e sedendosi a cavalcioni su di essa.  

«Sbrigati! Si gela qui fuori!» Gridò Tian, il suo viso si era irrigidito in un profondo cipiglio. L’ufficiale emise un lungo e pesante sospiro. 

Il modo in cui Tian lo aveva chiamato… aveva sentito qualcosa da quella bocca larga del dottore? 

Una volta tornato alla base, avrebbe preso a calci in culo quel ragazzo.  Phupha scosse la testa esasperato.  

Perché il suo cuore temeva che la “speranza” che non si era mai permesso di avere, fosse davvero fuori dalla sua portata.  

*********************

Seguendo l’antica tradizione, il matrimonio Akha durò tre giorni. Il primo giorno avrebbero portato la sposa a casa dello sposo. Quindi, ‘Yae Moh’ o l’anziano più rispettato del villaggio avrebbe eseguito un rituale di benvenuto per la sposa, purificando e bussando al tetto della casa dello sposo per chiamare lo spirito della sposa.  Il secondo giorno, la sposa avrebbe svolto il dovere di casalinga cucinando per gli anziani del villaggio come ringraziamento.  

L’ultimo giorno, avrebbe dovuto svolgere il compito consistente nel cogliere una banana rossa o uno gna nay nella foresta per poi arrostirlo e servirlo agli ospiti. Gli ospiti avrebbero poi mescolavano l’olio vegetale con la fuliggine sul fondo della pentola per stenderlo sulla faccia di tutti gli altri abitanti del villaggio mentre cercavano di scappare. Lo sposo e la sposa non avrebbero fatto eccezione in quanto quello era un rituale specifico per mettere alla prova la loro pazienza per passare la vita insieme da quel momento in avanti.  

Tian si alzò e bevve un’intera ciotola d’acqua dopo essere stato invitato a camminare assieme al palanchino fino villaggio adiacente per condurre poi la sposa nel loro. La strada tortuosa attraverso la foresta diventava sempre più impervia e mentre salivano e scendevano, più volte gli venne voglia di sedersi e respirare nonostante non portasse il peso del palanchino. Eppure, gli altri uomini parlavano e ridevano quello come se fosse un gioco da ragazzi.  

L’insegnante volontario indossava gli abiti tradizionali che gli erano stati donati, con il cappello che Khama Bieng Lae gli aveva dato quella mattina stessa. Sembrava una fascia per capelli con una bella e colorata nappa di lana lavorata a maglia. A guardarlo sembrava uno di loro e nessuno avrebbe pensato che fosse un tipo giunto della città. I soldati che stavano sorvegliando il viaggio non includevano il capitano Phupha, ma i ranger che conosceva e che a turno pattugliavano la scuola. Si chiese come mai il massiccio ufficiale non si fosse unito a loro, ma si trattenne dal chiedere. 

Tian si stiracchiò pigramente per scacciare il dolore del viaggio ed entrò nella casa delle coppia appena sposata. Gli sposi erano nel mezzo della cerimonia successiva: passarsi un uovo avanti e indietro per tre volte. Quando si accigliò con una domanda in mente, Khama Bieng Lae gli diede la risposta.

«È un’antica previsione, Kru. Se lasciano cadere l’uovo, significa che non avranno figli e non avranno alcun merito.»  

Il ragazzo di città annuì sbalordito. Era la stessa cosa del periodo di ovulazione delle donne? La festa era poi proseguita nel pomeriggio fino alla sera. Gli ospiti cantavano e ballavano nel cortile ed il pollo allevato dagli abitanti del villaggio sarebbe diventato un piatto bollito da servire come primo pasto insieme agli sposi. Tian, che poteva parlare solo al capo del villaggio in lingua thailandese, schiacciò del riso appiccicoso con la mano per poi intingerlo in una pasta di peperoncino, annoiato e dopo un pò lasciò il banchetto per andare a passeggiare tranquillamente per il giardino addobbato.  

Le ragazze ed i bambini che ballavano al ritmo della musica erano uno spettacolo adorabile, ma ciò che attirava di più la sua attenzione era il forte applauso nella parte anteriore. Gli uomini, giovani e anziani, se ne stavano in cerchio a fare un gioco.  

«Ah Koo!» Uno di loro chiamò l’insegnante che si stava avvicinando.  

«Cosa fai?» Anche se non riusciva a capire il thailandese, poteva indovinare il significato mentre si avvicinava per guardare la cosa che girava al centro del cerchio.  

«Chong…»Stavano cercando di spiegargli, «Whir..whirling-gig.»  

Tian cercò di mettere insieme le parole. «Volevi dire  whirligig(trottola)

Annuirono subito, sorridendo ampiamente e invitandolo ad unirsi a loro. Il ‘Chong’ degli Akha aveva un aspetto particolare. Quelli che aveva visto prima avevano una punta affilata e lunga, di ferro o metallo, ma quello era fatto di legno affilato con una punta molto sottile e la trottola era più grande della versione moderna.  La fune di filatura era di plastica o di canapa e veniva legata ad un’altra punta del legno. 

Tian era nato nell’era delle auto RC e era andato in una scuola d’élite. Non aveva mai toccato o giocato con una trottola di plastica che non fosse un bonus con gli snack, né provato il gioco del salto alla corda con i suoi amici. Guardò il semplice giocattolo locale che qualcuno aveva messo nelle sue mani, essendo la sua arguzia la sua specialità. Un grido allegro e forte si alzò in lingua Akha e Tian non lo capì, ma intuì dal loro linguaggio del corpo: con movimenti esagerati allungavano le mani per fargli capire che avrebbe dovuto tirare la corda. Il ragazzo di città decise di tirare fuori il bastone con la fune dalla trottola e il giocattolo fece alcuni giri a terra prima di fermarsi. Non sembrava nemmeno così bello come quando lo facevano gli Akha.  

Le risate provenienti dalle persone intorno a lui lo fecero sentire frastornato dall’imbarazzo per il suo primo tentativo fallito. Tian strinse le mani a pugno, furioso, ardente dal bisogno di mettersi alla prova. Si avvicinò all’uomo che gli aveva consegnato il giocattolo e chiese con le mani che l’uomo glielo insegnasse immediatamente. L’uomo Akha,allora, gli mostrò come lanciare la trottola. Normalmente, si doveva avvolgere la corda dall’’estremità bassa fino alla punta del giocattolo, quindi avvolgere la corda sul dito del lanciatore. La versione Akha, tuttavia, prevedeva un gambo di bambù che era stato affilato in una sottile asticella, invece di un dito, per aumentare la forza centripeta che avrebbe fatto ruotare meglio la trottola che era più grande e più pesante.

A Tian sembrava di dover lanciare una palla in una partita di baseball esattamente come aveva fatto durante la scuola estiva negli Stati Uniti. Poiché in quel momento si considerava un lanciatore con una trottola in mano, anziché una palla, si sentì più a suo agio. Quando lanciò il gambo e fece uscire la trottola con una postura perfetta, l’uomo che gli aveva insegnato lo guardò con gli occhi spalancati. Il grosso e pesante giocattolo volò via per una decina di metri prima di toccare il suolo. Girò come un turbine, ma non molto prima di fermarsi. Tian lanciò il giocattolo con traiettorie diverse, ma i suoi lanci non si tradussero in una lunga rotazione a terra come quella degli Akha. Tian allora si fermò ed osservò se c’erano differenze tra la sua trottola e quella degli uomini con le braccia sul petto e aggrottando la fronte. 

Dopo un poì si è rivolse al proprietario del giocattolo indicando la corda di plastica. Il ragazzo sembrava rendersi conto di ciò che l’insegnante stava suggerendo e rispose con un sorriso imbarazzato, agitando la mano per dire che al momento non ce l’aveva.  Lo studente di ingegneria aveva finalmente capito quale fosse il problema era… la corda di plastica. Quella tipo di corda era scivolosa, quindi non si attaccava alla superficie come quella di canapa. Guardò a destra e a sinistra, cercando per qualche istante una soluzione. Se voleva una superficie ruvida, aveva bisogno della carta vetrata e se voleva che la corda fosse più liscia, doveva arrotolarla nella sabbia. 

Tian usò la logica di uno sciocco facendo rotolare la fune di plastica per terra con i piedi, per ridendere la sua superficie e poi la avvolse attorno alla trottola. Fece, quindi, di nuovo un altro lancio lungo. Il giocattolo di legno volò in aria in un lungo arco prima di colpire il suolo e ruotare ad una velocità sorprendentemente elevata. 

Gli Akha intorno a lui lo guardavano con soggezione sui loro volti. Tian strinse la mano e strinse il braccio a sé, gridando un forte «Sì!» per il suo esperimento riuscito. Quindi trascinò il suo compagno di reato verso il gruppo di uomini per sfidarli. 

La sera, il gruppo di soldati che erano sempre amichevoli con gli uomini del posto, era venuto a congratularsi con i neo-sposi.  

Il capitano Phupha si era presentato con i suoi pantaloni mimetici, stivali da combattimento alti fino al ginocchio ed una maglietta verde kaki con una giacca mimetica, mostrando che era appena tornato da un servizio di pattuglia. Il dottor Wasant indossava i suoi abiti semi-casual e si avvicinò a Khama Bieng Lae per porgergli un sacchetto di plastica che conteneva birra ed il famoso whisky che aveva comprato il giorno prima per mostrare la sua cortesia.  

«Grazie dottore.» Il capo del villaggio di Phu Pan Dao disse e invitò i soldati a unirsi alla cena con loro sulla lunga stuoia e sorrise, vedendo come il capitano si guardava intorno, come se stesse cercando qualcosa. «Stai cercando Kru Tian? È laggiù.» Bieng Lae indicò l’altro lato del cortile dove si erano riuniti giovani e anziani.

«A che gioco stanno giocando?» Il giovane ufficiale cercò di guardare, ma il punto era gremito di gente che non poteva vedere nulla da laggiù. 

«L’insegnante ha sfidato alcuni ragazzi nel gioco delle trottole.»

Gli occhi acuti si strinsero. «Deve essere ubriaco. Sa anche cos’è una trottola?»  

«Avanti capitano!» Bieng Lae si schiaffeggiò la fronte. «Se non mi credi, te lo faccio vedere.» Guidò il soldato alto e attraversò il cerchio di uomini.  

L’immagine di un uomo appena uscito dalla sua adolescenza che sollevava la gamba in aria e lanciava una trottola con una corda attorno e collegata a un bastone, come se fosse un giocatore professionista, fece fermare Phupha di scatto per lo stupore.  

Un forte applauso risuonò nelle sue orecchie, mentre fissava il viso luminoso con le guance lisce e arrossate, il tipo di bellezza naturale che non era stata nascosta dalla maschera urbana della vita cittadina.  

Il piantagrane si rese conto di essere osservato e lo guardò. Alzò persino il mento in segno di sfida con le mani sui fianchi come un campione. Phupha non poté fare a meno di sorridere, eppure scosse la testa con una mezza esasperazione. Sperava che l’uomo più giovane avrebbe raccolto la maggior parte dei benefici dalla vita lassù prima che il suo tempo finisse.  

Il tempo in cui doveva tornare al “mondo” da cui era venuto.  

«Non avrei mai pensato che Kru Tian sarebbe durato per tutto il suo mandato. Ma ora… penso che dovrò ricredermi.»  

Il capitano guardò l’uomo che aveva detto quelle parole. Non era stato difficile per lui capire che quel giovane proveniva da un ambiente straordinario. Era ovvio dal modo in cui si vestiva e dal modo in cui si comportava, quindi anche Khama Bieng Lae, che aveva visto il mondo, doveva averlo capito. 

«Non solo tu.» Disse chiaramente, ma gli sembrava di avere un mattone nel petto che diventava più pesante ogni giorno che passava.  
Quando sarebbe arrivato ‘quel momento’ come l’avrebbe sopportato, allora?

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