A TALE OF THOUSAND STARS – CAPITOLO 7

Erano le 7.45 del mattino. Di mattina prestoTian si stava godendo un bagno caldo e dopo aver bollito l’acqua ed essersi immerso, si era dimenticato di guardare l’ora. L’insegnante volontario che sarebbe arrivato in ritardo a scuola per la seconda volta camminava a grandi passi, trotterellando lungo il pendio fino a raggiungere la scuola sulla scogliera. Gli studenti erano già in fila, pronti per il rito mattutino dell’alzabandiera e per cantare l’inno nazionale thailandese. Guardandoli meglio notò che mancavano almeno cinque studenti. 

Tian sapeva che il suo metodo di insegnamento era problematico ed alcuni genitori lo ritenevano inutile così impedivano ai loro figli di recarsi a scuola. Una volta che i bambini Akha videro il loro Kru Crayon, prontamente alzarono le mani in un wai e dissero ‘Sawaddee’ all’unisono. Tian accettò il loro saluto ricambiando il loro gesto, fatta eccezione per la mano sul petto. Si sforzava di sorridere anche se dentro, il suo cuore gli stava appassendo. Guardandosi intorno, vide due ranger sconosciuti che pattugliavano la zona.  

Non appena le lancette di un grande orologio da parete rotondo si posarono sul numero 8, due studenti si fecero avanti, fermandosi davanti all’asta della bandiera.

Niente musica, nessuna banda, solo il fruscio delle foglie trasportate dalla brezza creava una melodia naturale che solo pochi avevano la fortuna di sentire. Tian era in piedi accanto l’asta della bandiera di bambù, tenendo lo sguardo fisso sui bambini di quella zona remota che cantavano in armonia l’inno nazionale thailandese.  

Rimase immobile, deglutendo a fatica, le sue labbra sottili si aprirono, ma solo un soffice sbuffo ne uscì.

Non sapeva da quando la nuova generazione aveva iniziato a vergognarsi di mostrare rispetto per la più alta istituzione della nazione.  

Ma là non c’era nessuno a giudicarlo.  

Inaspettatamente, la voce profonda di un giovane, che saltava sempre questo rituale mattutino durante i suoi giorni di scuola, risuonò confondendosi con quelle dei suoi studenti.  La bandiera sbiadita e fatiscente, che era stata issata in cima al palo con una puleggia arrugginita, sventolò sopra ogni altra cosa in quella terra lontana ai margini del paese. 

Tian non riusciva a spiegare come si sentiva dopo la fine dell’inno. Tutto quello che sapeva era che un pesante click nella sua mente era scattato, e voleva ridere a crepapelle. Trasse un profondo respiro mentre prendeva una decisione. Si avvicinò ai bambini e quando gli fu vicino disse a voce alta e chiara.  

«Da oggi in poi, vorrei che tutti mi chiamassero ‘P’Tian’.»  

Il ragazzo di città scrutò i volti dei bambini, rimasti in assoluto silenzio, mentre lo fissavano con uno sguardo perplesso sul volto. All’improvviso si sentì scoraggiato.  

«P’ significa fratello maggiore o sorella maggiore. Ragazzi, conoscete questa parola, giusto?»  

«Perché non ‘insegnante’ quando sei il nostro insegnante?» Mee Ju, il cui fratello maggiore non era venuto in classe quel giorno, aveva posto la domanda che sembrava essere nella mente di tutti.  

Perché quell’ insegnante non aveva i giusti requisiti per essere un insegnante. Non sapeva come organizzare le lezioni o il programma scolastico. Non sapeva come avvicinarsi ai bambini. Ascoltarli mentre lo chiamavano ‘insegnante’ aveva solo sottolineato quanto lui fosse inutile. L’unico motivo per cui era durato così a lungo era stato a causa della sua pura testardaggine

Tian rivolse loro un sorriso imbarazzato e diede loro  una risposta sincera: «Vorrei che tutti voi foste i miei…fratelli e sorelle minori. Posso essere vostro fratello maggiore?»  

I ragazzi inclinarono la testa per lo stupore, eppure annuirono in assenso.

 «Sì, P’Crayon!»  

L’uomo che aveva chiesto di essere declassato da insegnante a fratello emise un sospiro pesante prima di condurre gli studenti in classe. Poco dopo scoprì che il precedente insegnante si era concentrato principalmente sull’ortografia delle parole in lingua thailandese e in minima parte sull’ inglese. I bambini avevano imparato solo a recitare l’alfabeto dalla A alla Z. 

Tian era stato sveglio quasi tutta la notte e verso le 2 del mattino aveva deciso che anche se non era un vero insegnante, avrebbe potuto provare con il suo metodo, a partire dall’argomento su cui si sentiva più sicuro.  

Una mano sottile stava scarabocchiando i numeri arabi in thailandese, e lui chiese:  «Mi puoi leggere tutti questi numeri?»  

Anche se gli studenti avevano commesso degli errori, lui aveva appreso che erano state  insegnate loro alcune basi dell’aritmetica. Così decise di scrivere un semplice esercizio di addizione da risolvere, ma quasi tutti sbagliarono risposta.  

Quindi… sanno leggere i numeri, ma non sanno come calcolarli.  

L’insegnante alle prime armi si grattò la nuca riflettendo, poi chiamò tutti gli studenti a sedersi in cerchio mentre anche lui sedeva a gambe incrociate di fronte a loro. Alzò entrambe le mani.  

«Queste due mani hanno dieci dita.» 

Tian contò da 1 a 10 come dimostrazione, poi chiuse le mani a pugno e tirò fuori l’indice.  

«Questo è il numero uno.» 

Mise l’altro accanto al primo: «Mettici un altro dito, ora quante dita abbiamo?»  

I bambini delle tribù delle colline vedendo i due indici risposero contemporaneamente.

 «Due!»  

Tian allungò tre dita della mano destra e due della sinistra, avvicinandole. «E adesso?»  

«Cinque!» Le voci dei bambini divennero più sicure e lui si sentì sollevato.  

«Mettere insieme le cose si chiama addizione.»  

Il ragazzo di città indicò il simbolo della mini croce sulla lavagna e pose una nuova domanda.  

«Se ci sono cinque dita così…» Sollevò la mano destra e piegò due dita, «… quanti ne rimangono?»  

«Tre!»  

Tian sorrise a se stesso felice, decidendo di porre una domanda più complicata, sollevando tutte e dieci le dita.

«Ora ne ho dieci.» Tirò giù il mignolo e l’anulare. «Ne mancano due. Ne abbiamo…»

«Otto! » 

La risposta rapida e corretta lo spinse a battere le mani per la prontezza dei bambini che erano così svantaggiati in molti modi immaginabili rispetto agli altri. Si alzò in piedi e tornò alla lavagna per rendere l’esercizio un po’ più facile. 

«Va bene, se riuscirete a dare la risposte corrette a tutte queste domande, ho un premio per voi nel pomeriggio.»  

Il forte applauso che era scoppiato in classe attirò i due ranger di pattuglia che si avvicinarono curiosi a guardare. Videro i bambini contare le dita divertiti, alcuni avevano persino alzato i piedi per aggiungere delle dita da contare e tutti stavano ridendo.  

La pelle chiara del giovane, il suo viso radioso e gli abiti colorati che indossava facevano risaltare Tian anche da lontano.  

Anche se ne avevano sentito parlare dal sergente Yod e dagli altri amici che avevano incontrato il nuovo insegnante, non era come incontrarlo di persona. Tian irradiava la stessa aura di una persona nata nell’oro e questo li indusse a chiedersi cosa ci facesse un tipo come lui in una terra come quella. Anche le persone con valori radicati, giunte fin lì, alla fine avevano comunque fatto le valigie e se ne erano andate prima di completare un mese lì, così l’intera base aveva iniziato a scommettere, per divertimento, su quanto a lungo sarebbe potuto durare il nuovo insegnante.  

Tuttavia, meno di tre ore dopo, il giovane speciale si era integrato così bene che sembrava avesse sempre fatto parte di quel semplice scenario. I due ranger si guardarono l’un l’altro e risero.  Forse avrebbero dovuto piazzare una nuova scommessa sul ragazzo, forse sarebbe riuscito a completare il suo mandato di tre mesi e loro….avrebbero semplicemente vinto!  

************

Tre giorni dopo, i bambini Akha erano ancora entusiasti delle ricompense di P’Crayon, perché ogni volta che c’era una pausa, piegavano pezzi di fogli avanzati in uccelli di varie dimensioni. All’inizio, Tian avrebbe voluto fare l’origami dell’uccello per darlo ai bambini come ricompensa, ma una volta che gli avevano chiesto ripetutamente di insegnare loro come crearne uno, non aveva saputo resistere. Ora, c’era un’intera famiglia di uccelli di carta sparsi su tutto il pavimento della scuola.Tian aveva chiesto a Khama Bieng Lae un barattolo di plastica in cui metterli. 

In quel momento stava pranzando con i bambini, mangiando dal portapranzo che il padrone del villaggio aveva chiesto ai ranger di portargli ogni giorno. Erano passati giorni dall’ultima volta che aveva visto il Ayi e lui si chiedevano se avesse turbato il ragazzo dal momento che sembrava adorare Kru Thorfun.  

«Mee Ju, perché P’Ayi non viene a scuola con te?» Tian andò a sedersi accanto alla bambina che stava arrotolando una pallina di riso colloso e la mangiò insieme ad un pezzo di carne essiccata.  

«Papà ha mal di schiena, quindi P’Ayi deve lavorare al campo per lui.»  

Ma è solo un ragazzo!  

Perché deve svolgere il lavoro di un adulto?  

Tian non sapeva come rispondere: «Deve essere stancante per lui …» 

Mee Ju scosse la testa, sorridendo orgogliosa: «Così abbiamo il riso da mangiare, è questo che mi ha detto la mamma. Anche io li aiuto anche a raccogliere le foglie di tè!» 

Le parole innocenti di una bambina di otto anni che esprimevano i suoi sentimenti sinceri lo fecero soffocare dentro, mentre Tian ripensò a se stesso alla sua età: un bambino che lanciava via le merende per ammazzare il suo tempo, non finiva mai il suo pasto, che di conseguenza veniva buttato via, e che aveva tonnellate di giochi e tantissime console fatte arrivare dall’estero. La sua era sempre stata una vita di incomparabile lusso.  

Perché, allora, non era mai stato felice e non aveva mai avuto un bel sorriso come quella bambina?  

Tian si alzò in piedi e finse di stiracchiarsi languidamente la schiena, guardando fuori dalla finestra. Il cielo era nuvoloso ed il sole non era troppo forte. La fresca brezza che gli sfiorava il viso gli fece venire voglia di girovagare per il villaggio.  

«Va bene, ascoltate tutti!» Tian batté le mani per attirare l’attenzione dei suoi studenti. «Questo pomeriggio faremo un viaggio nella lingua inglese. Prepariamo le borse e muoviamoci.»

Dieci paia di occhi fissarono P’Crayon confusi. Il ragazzo di città gemette come se qualcosa gli fosse stato lasciato contro, poi parlò con parole più semplici.  

«Faremo una passeggiata e studieremo l’inglese.»  

I ragazzini balzarono in piedi e applaudirono. Tian si rese conto che non c’era davvero una grande differenza tra i bambini di città e quelli di campagna. Tutti i bambini erano felici di non essere confinati in una classe. Tian alzò le spalle.  Del resto chi non ne sarebbe stato felice?  Anche un insegnante come lui non voleva rimanere bloccato in una scatola tutto il giorno e non c’era da stupirsi che i bambini preferissero avere la possibilità di giocare all’aperto.  

Una volta che i ranger videro l’insegnante e una dozzina di studenti uscire dall’edificio, si precipitarono a chiedere.  

«Dove sta andando maestro?»

«Facciamo una passeggiata attorno al villaggio. Il tempo è bello e non c’è troppo sole.»

I due giovani soldati si scambiarono uno sguardo e uno disse: «Per favore, rimanga nei confini del villaggio. Non c’è niente qui intorno a parte la foresta.»  

Tian non vedeva motivo di protestare e annuì in assenso. I bambini Akha guidarono i loro Kru Crayon lungo il percorso sul crinale, passando attraverso una piantagione di tè sulla terra che il governo aveva dato loro per poter guadagnare da vivere. Mentre si aggiravano per la zona, Tian indicò l’ambiente circostante e insegnò ai bambini la pronuncia delle parole in inglese: sole, cielo,  nuvola.  

Dalle colline provenivano i rumori delle comunicazioni radio e il dialetto nativo dei bambini fluttuava nel vento, solo allora Tian si rese conto che i due ranger li stavano seguendo in lontananza.  

Alla fine, il gruppo era arrivato alla più grande piantagione di tè che come una cascata scendeva lungo l’intero lato della montagna. Molti bambini gli avevano detto che le loro case erano vicine, quindi Tian aveva dato loro il permesso di tornare a casa ed era a rimasto solo con pochi studenti.  

«Come si chiama questo in inglese?» Mee Ju chiese del tè, ansiosa di imparare. 

 «T-E-A – tè.»  

Tian scrisse la parola per lei, sapendo che i precedenti insegnanti avevano già insegnato ai bambini l’alfabeto thailandese e quello occidentale.  

Tian si incamminò ulteriormente tra i filari di piante di tè perché gli studenti gli avevano detto che c’era una scorciatoia che portava alla strada principale del villaggio. Salutò gli altri tre bambini finché non rimase da solo con Mee Ju. 

«Dove vivi?» Chiese alla ragazza che gli camminava allegramente davanti.  

«Laggiù.» Indicò con il dito la piantagione ai piedi della collina vicina.  

«Ti accompagno a casa.»

Mee Ju batté le mani allegramente prima di voltarsi nella direzione di un camion e di una folla piccola radunatasi vicino alla piantagione e alla strada sterrata. Gli occhi della ragazza Akha si spalancarono come se avesse visto qualcuno che conosceva e strinse la mano del suo insegnante.  

«Ada, Ama! Ci sono mia madre e mio padre laggiù!»

Tian faceva quasi jogging mentre veniva trascinato verso la folla.  Notò come un ragazzo vestito gli indumenti tribali delle colline sollevava sacchi e li posizionava ordinatamente uno per uno sul retro del camion osservato da cinque o sei persone in abiti da città.  

Ayi, che aveva la faccia sporca, si voltò verso la sorella mentre gli si avvicinava con l’insegnante e soolevò la mano in un wai. Gli altri adulti continuavano a discutere con l’aiuto di un interprete che traduceva dalla lingua thailandese e a quella haani, il dialetto nativo degli Akha.  

«Cosa ci fanno queste persone qui?» Tian chiese allo studente che era stato assente dalla sua classe per alcuni giorni.  

«Stanno comprando del tè secco da noi.»

Tian annuì scuotendo la testa e fece un passo avanti per guardare. Gli abitanti del villaggio avevano portato sacchi pieni di foglie di tè essiccate e ne stavano aprendo la cucitura per svuotarli o riempirli  prima di adagiarli in base al peso e di impilarli sul camion che apparteneva all’intermediario.  

«Quattro chilogrammi.» Tian sentì il peso prima che il sacco venisse sollevato dalla bilancia.  

Si accigliò, incerto sul motivo per cui vedeva il numero “5” sullo strumento. Quando gli altri sacchi vennero pesati, i numeri  pronunciati furono sempre gli stessi nonostante i diversi pesi. Tian guardò l’uomo Akha, che era là come testimone, rimanere impassibile e decise di chiedere ad Ayi.  

«Sapete quanti grammi ci sono in un chilogrammo o le differenze tra il numero quattro e il cinque?»  

Ayi lo guardò come se avesse appena ascoltato una lingua aliena: «Quale chilogrammo?»  

«Il chilogrammo è una unità di misura del peso.» Tian indicò la bilancia, «Quell’attrezzo usa questa unità di misura.» 

«Unità?» 

Tian desiderò strapparsi i capelli ed emettere un profondo sospiro prima di cambiare la sua domanda: «In generale, come fate a comprare e vendere?»

Il ragazzo si grattò la testa, cercando di trovare una risposta: «Vengono a comprare e noi li vendiamo in sacchi.»

«E il pagamento?»

«Ci danno i soldi che corrispondono ai numeri sulla ricevuta.» Ayi si voltò verso l’uomo di città che teneva in mano un taccuino.  

«Significa …» 

Non si rendono conto che li stanno raggirando! 

Tian si morse le labbra prima di sbottare dicendo che sapeva cosa stavano facendo quei mercanti. Quei truffatori truffavano gli abitanti del villaggio perché non c’era nessuno esperto dalla loro parte. Tian si avvicinò all’uomo che pronunciò il numero della pesata mentre l’ultimo sacco da tè veniva posto sulla bilancia. 

«Quattro chili.»

«Cinque chili e due grammi!» 

L’uomo si fermò quando udì il grido e guardò il giovane di bell’aspetto, con una giacca moderna, che era spuntato fuori all’improvviso.

«Chi cazzo sei?»

«Qualcuno che conosce la differenza tra i numeri quattro e cinque.» Tian allungò una mano verso il taccuino, volendo guardare cosa ci fosse scritto, senza preoccuparsi di offendere qualcuno: «Posso dare un’occhiata?»  

L’annunciatore del peso chiuse il libro il taccuino e lanciò un’occhiataccia al giovane. «Non sei un venditore e non hai affari qui, quindi vaffanculo.» L’uomo lo salutò con aria sprezzante, ma il figlio di un ex generale non poteva tirarsi indietro.  

«Se non puoi farmi vedere, significa che stai barando!»  

«Che cazzo hai appena detto? Ci chiami imbroglioni? Paghiamo 80 baht al chilo e questi sacchi pesano quattro chili ciascuno. Fai i conti.» Lo scrivano del mercante agitò il taccuino per mostrare che aveva tutto scritto, ma non lo fece vedere a Tian.  

«Ho visto con i miei occhi che ogni sacco pesava più di cinque chili e tu hai detto che erano solo quattro!» Non c’era motivo di essere gentili quando gli altri erano cattivi.  

«Vuoi cercare di fotterci, teppista? Desideri morire?!»  

Quando gli scagnozzi videro che l’uomo più giovane non si ritraeva ai loro avvertimenti, ricorsero a spaventose minacce, ma nulla funzionò contro un combattente come Tian che si fece beffe di loro e dopo essersi avvicinato prese un sacco da terra per adagiarlo sulla bilancia mentre le persone attorno, sentendo che una lite era in atto, cominciavano a radunarsi. Tutti gli occhi erano su di lui.  

«Vedi? Sono cinque chili. O forse sei così fottutamente analfabeta. Sono un insegnante volontario qui, puoi venire nella mia classe ogni volta che vuoi. Ti insegnerò io stesso.»  

L’uomo che lavorava come sottoposto del commerciante della città strabuzzò gli occhi mentre il nuovo insegnante gli diede due buffetti in faccia. Il grande capo che tutti chiamavano Master Sakda, si avvicinò a loro non appena finì di pagare la tribù delle colline.  

«Cosa sta succedendo qui?»

Tian guardò colui che aveva parlato. 

A giudicare dalla figura paffuta e dall’aspetto ricco, questo vecchio doveva essere il grande capo.  

«Il peso dei sacchi non corrisponde al prezzo che paghi.»

Il Mr.Sakda sogghignò e rispose di rimando: «Paghiamo quello che scriviamo.» Prese il taccuino dal suo uomo e lo aprì. 

«Vedi, è scritto quattro chili per sacco proprio qui. I venditori si sono accordati sui numeri e non hanno mai avuto problemi. Ma tu, un estraneo, perché stai ficcando il naso nei nostri affari?»

Quell’affermazione, tradotta, era un chiaro levati dal ​​cazzo. Tian strinse le mani a pugno e guardò i volti innocenti degli abitanti delle tribù delle colline, sentendosi furioso per loro. Come poteva qualcuno imbrogliare persone così povere e laboriose per solo cento o mille Baht?

Il ragazzo snello prese a camminare e raggiunto il retro del camion saltò su per contare tutti i sacchi poi si voltò per contare i pochi rimasti a terra. Quindi si avvicinò all’uomo Akha che aveva in mano la ricevuta emessa dall’intermediario. 

«Posso?» Tian non attese il permesso e raccolse sia la ricevuta che il denaro dalla mano ruvida del contadino. 

«Ventitré sacchi, 80 baht al chilo e cinque chili per sacco. In tutto fa 9.200 baht. Cos’è questo?»  Sollevò i soldi e gridò furiosamente: «7.300 Baht! Hai anche calcolato un prezzo extra di 60 baht come costo di trasporto. Non si tratta solo di barare sul peso. Questa è una sporca truffa!»  

«Bada a come parli idiota. Ho pagato per quanto scritto sulla ricevuta. Mi stai accusando senza alcuna prova. Andrò a chiamare la polizia e ti denuncerò per diffamazione!» Disse con veemenza il ricco paffuto, cercando di trovare una via d’uscita.

Tian sogghignò perché sapeva di avere un vantaggio e andò a prendere il cellulare, completamente scarico, per fare lui una finta minaccia. «Pesiamo di nuovo tutti i sacchi allora. Scatterò una foto di ogni sacco per avere una prova. Dopodichè possiamo andare alla stazione di polizia.»

Il Mr.Sakda strinse i denti. Quel teppista era troppo intelligente e troppo coraggioso, a differenza dei precedenti insegnanti volontari che avevano cercato di aiutare gli abitanti del villaggio che se ne erano andati con la coda infilata tra le gambe non appena li aveva minacciati.  Sembrava che quella volta avrebbe dovuto usare una misura estrema.  

«Li prendi quei soldi si o no?» Si mise le mani sui fianchi, gridando agli abitanti del villaggio Akha e l’interprete tradusse in fretta la frase.

L’uomo, il padre di Mee Ju e di Ayi – mentre i due bambini gli stavano aggrappati alla vita – guardava avanti e indietro tra le due parti, senza sapere cosa fare. Da quello che suo figlio gli aveva detto con una traduzione approssimativa, immaginava di essere stato ingannato e l’insegnante stava combattendo per lui.  

«Dagli 1.840 Baht in più, o puoi prendere 40 Baht come costo della benzina.» Tian inarcò le sopracciglia in modo beffardo, rendendo l’altro uomo ancora più furioso.  

«Questa conversazione è ridicola. Non prendete proprio niente, allora! Ragazzi tirate giù i sacchi e fateli a pezzi!» Il capo gridò il suo ordine perché tutti lo sentissero. I suoi uomini iniziarono a gettare i sacchi e i punti cuciti si ruppero;le  foglie di tè essiccate fuoriuscirono versandosi sul terreno.A peggiorare la situazione furono gli scagnozzi che saltarono giù dal camion iniziarono a calpestare i sacchi con i piedi.  

Gli abitanti del villaggio, vedendo  come venivano distrutti i loro prodotti, si precipitarono a fermare gli uomini. La faccia di Tian diventò rossa, agitò il pugno e colpì l’uomo più vicino facendolo barcollare. Quando gli altri uomini videro che uno di loro era ferito, si buttarono su di lui e scoppiò una rissa.  

All’improvviso, il suono di uno sparo risuonò in tutta l’area. Il caos si interruppe improvvisamente quando dieci uomini, armati e in uniforme da pattuglia munita di giubbotti antiproiettile intervennero per fermare la rissa. I soldati separarono i combattenti mentre il capitano Phupha, che aveva con sé un fucile M16, quello che aveva sparato a terra, osservava silenziosamente l’impavido insegnante. I suoi occhi intensi soggiogarono e intimidirono anche quei criminali, ma loro non lavoravano con Tian Sophadissakul! Il giovane non sembrava affatto intimidito, al contrario, alzò il mento  in segno di sfida.  

«Hai preso sul serio il fumo molto velocemente, capitano.» 

«Hai ancora il fegato di parlare? Cosa sarebbe successo se non mi fossi presentato in tempo, eh?» Il capitano stava pattugliando con i suoi uomini  l’area di Pha Pan Dao quando i ranger gli avevano comunicato via radio della rissa, e fortunatamente era arrivato in tempo prima che qualcuno potesse ferirsi seriamente.

«Perché incolpi me? Perché non arresti questi imbroglioni spudorati?» Tian indicò il ricco e gli uomini che sembravano feriti quanto lui.  

«Barare è barare. Combattere è combattere. E se fossero stati armati, cosa avresti fatto?! Avresti potuto iniziare una rissa che avrebbe portato alla tua morte, per niente e gli abitanti del villaggio sarebbero stati in guai più grossi!»  

«Volevi che restassi a guardare quei sicari che rubavano agli abitanti del villaggio? O avrei dovuto aspettare che qualche ufficiale intervenisse?! Forse nella prossima vita!»  

Vedendo che Tian litigava senza sosta con lui, non rendendosi conto dei propri gravi errori, Phupha scattò. Afferrò il polso sottile e strattonò il giovane verso di sé, borbottando con una voce bassa e agghiacciante.  

«Tian, sei un ragazzo intelligente. Sai che ci sono altri modi per trattare con queste persone che non richiedono la forza bruta.»

Le labbra sottili del giovane si aprirono come per ribattere, ma lo sguardo intenso che brillava di delusione lo fece tacere e serrare le labbra.  

Qualunque cosa io faccia, non farò mai niente di buono?!

Tian liberò il braccio dalla presa del capitano e si allontanò senza dire un’altra parola.

Phupha lo guardò andarsene con il cuore pesante, fissando la schiena snella di Tian, essendo al limite della sua pazienza. Quindi ordinò ai due ranger di seguire l’insegnante fino al suo alloggio in modo da poter affrontare al meglio quel grosso pasticcio che il moccioso aveva iniziato e impedire che le cose peggiorassero.

**************

La luce della lampada illuminava la minuscola capanna mentre la forma magra in una maglietta raggrinzita con la stampa di un pugile giaceva col viso rivolto verso il vecchio materasso, sotto la nuova zanzariera bianca arrotolata. Le gambe sottili scalciavano scalpitanti l’aria mentre rigirava tra le mani il piccolo taccuino fatto a mano che conteneva la storia della donna che gli aveva donato una seconda vita.  

Tian sospirò profondamente, era esausto. La prima settimana in cui Thorfun era stata lì, si era svegliata all’alba per aiutare gli abitanti del villaggio a raccogliere le foglie di tè e si era goduta quell’esperienza. E lui? Aveva iniziato una rissa e aveva finito per distruggere i prodotti degli abitanti di villaggi.  

Perché mi sto confrontando con lei?! 

Prima di tornare a casa, si era fermato da Khama Bieng Lae, volendo parlargli dell’incidente. Tian aveva scoperto così che il capo del villaggio era andato al centro di Chiang Rain quella mattina per una riunione e non era ancora tornato. Forse i commercianti sapevano dei suoi programmi e che non ci sarebbe stato nessuno a tutelare gli interessi dei paesani da chi voleva approfittarsene.  

Il ragazzo di città chiuse il diario color pastello, ne aveva avuto abbastanza, e lo gettò nello zaino.  Si rotolò sulla schiena come d’abitudine ed una fitta di dolore gli attraversò tutto corpo. Anche se non c’era nessuno specchio con cui controllare nel suo bagno, la fitta alla bocca e al busto, erano un chiaro segno delle sue ferite. Tian si chiese cosa i soldati avevano fatto dopo che lui se ne era andato. 

Perché si è arrabbiato?  

Tian ripensò all’espressione cupa e furiosa e al senso di colpa del capitano e gli si strinse il cuore, ma era troppo testardo per ammettere la sua colpa.  

Tian guardò l’orologio, erano già le 22.30. Sarebbe dovuto andare a letto, ma non riusciva a dormire. Il giovane si alzò in piedi ed uscì sullo stretto balcone davanti alla capanna, sedendosi a terra.  Lasciò che il vento freddo lo investisse e guardò le stelle.  

Non troppo lontano, sulla strada sterrata sterrata che fungeva da strada comunale principale del villaggio, una motocicletta stava guidando al buio verso l’alloggio dell’insegnante che si trovava in fondo. La figura alta e massiccia parcheggiò il veicolo e spense il motore sotto lo stesso albero proprio come aveva fatto l’ultima volta ed andò a prendere un sacchetto di plastica insieme ad una borsa da viaggio sportiva dal bauletto anteriore.  

Si diresse verso la piccola capanna, che era ancora illuminata a quell’ora tarda, e sobbalzò quando vide una figura scura, immobile e curva, seduta sul balcone.

«Perché dai da mangiare alle zanzare al buio?» Disse e proseguì con la frase successiva che gli valse un’occhiataccia. «O mi stavi aspettando?»  

«Sei ubriaco? Perché parli di stronzate?»Tian fingeva di essere esasperato anche se il capitano aveva indovinato per metà.

Phupha, che indossava la sua camicia da notte – pantaloni e giacca mimetica – e guidava la moto nel vento, iniziò a salire le brevi scale e porse al giovane il sacchetto di plastica.  

«Ecco una crema ed un unguento curativo per i lividi. Ne ho chiesto un pò al dottore.» In realtà, il suddetto dottore aveva supplicato di vedere Tian e di controllarlo, ma il capitano era scappato prima che potesse unirsi a lui.  

«Puoi ringraziarlo da parte mia?» Tian allungò la mano per prendere la borsa, ma il capitano non la lasciò andare.  

«Per quanto riguarda me?»  

Gli occhi di Phupha si fissarono sul giovane e Tian si rese conto che non era solo un ringraziamento per la medicina, ma anche per come l’ufficiale si era preso cura del disastro che aveva creato nel pomeriggio.  Abbassò lo sguardo e mormorò a bassa voce.  

«…Grazie.»  

«Quando cerchi guai, forse potresti meglio… proprio come fai ora.»

«Sei venuto qui per prendermi in giro?!» 

Il ragazzo mortificato divenne di nuovo frustrato. 

Tian strappò la borsa dalla mano del capitano, ma l’altro la tirò indietro e quasi l’aprì.  

«Riesci a vedere la tua schiena? Entra. Ti metterò l’unguento.» La figura alta non aspettò la risposta e scomparve dietro la porta.  

La bocca del giovane ferito si spalancò mentre balzava in piedi e lo seguiva.  

«No, no! Ce la posso fare. Adesso puoi andare a casa.»  

Phupha si voltò e guardò il viso ora illuminato: «Ho per caso detto che me ne vado adesso?»

«Non dirmi che rimani qui.» 

«Sì, esatto. Hai fatto un gran casino e non sappiamo se quegli uomini torneranno per vendicarsi stasera stessa.» 

Non disse al giovane che Mr.Sakda e i suoi uomini avevano annunciato la loro vendetta prima che i soldati li lasciassero andar via.

«Se vengono, cosa puoi fare? Sei da solo.» Tian sogghignò, ma immediatamente si zittì quando l’ufficiale sollevò l’orlo della camicia per rivelare una pistola alla cintura.  

«Ho ordinato ai miei uomini di rafforzare la sicurezza intorno al villaggio nei prossimi giorni.»  

L’insegnante Cuor di leone sentì l’aria mancargli nei polmoni, rendendosi conto di come il suo comportamento sconsiderato avesse messo così tante persone nei guai. Si avvicinò allo zaino, tirò fuori una busta con un rotolo di contanti e la porse al capitano.  

«Questi sono i soldi dei mercanti. Li ho presi prima che scoppiasse la rissa. E questo è da parte mia. Potrebbe non essere molto, ma è tutto quello che ho. Potresti dire agli abitanti del villaggio che mi dispiace per aver danneggiato i loro prodotti?»  

Il Capitano Phupha prese la somma che apparteneva a Mr.Sakda.  

«Puoi tenerti i soldi. In realtà, mi hanno chiesto di ringraziarti per aver affrontato gli imbroglioni per loro conto.»  Disse cupo, chiudendo la mano su quella snella che teneva i soldi. «Mi prometti che non sarai più sconsiderato? Se ti succede qualcosa, sai che qualcuno sarebbe molto preoccupato per te?» 

Stai parlando di ‘te’? 

Tian scosse la testa, cercando di reprimere il rossore che stava salendo sulle sue guance facendole diventare rosse.  

«Lo so, lo so. Dai, mettimi  l’unguento. Voglio andare a letto.» Tian aveva in fretta cambiato argomento per evitare quell’argomento imbarazzante che gli stava scuotendo il cuore solo per rendersi conto che aveva appena peggiorato le cose. 

«Spogliati e siediti.» 

Si bloccò sentendo l’ordine: «Cosa? Tu sei..?»

«Ti metterò l’unguento. Cosa pensi che farò?» Phupha lo guardò accigliato e fece un passo avanti come se volesse aiutare il bambino viziato a togliersi la maglietta. 

«Posso farlo da solo!» Il giovane protestò e si voltò di scatto, voltando le spalle al capitano. Trattenne il respiro mentre si tirava la maglietta sopra la testa e si sedeva lentamente a gambe incrociate, frustrato.

Il giovane ufficiale prese posto accanto a lui e passò gli occhi sulla schiena, un tempo liscia, ma che in quel momento era viola e blu come se qualcuno ci avesse spruzzato sopra della vernice. Scosse la testa esasperato per la giovane testa calda che era Tian e strinse il tubo del medicinale.  

Dita ruvide e spesse strofinavano il gel freddo sui lividi e Tian gridò per protesta. 

«Ehi, vacci piano! Questa è pelle umana! Non una tavola di legno da limare!»  

«Non avevi paura di farti male quando hai iniziato la rissa.»  

Phupha aveva spalmato la pomata fino a quando non era stata completamente assorbita dalla pelle, senza essere troppo delicato.  

L’uomo che era stato preso in giro si morse le labbra, frustrato per non poter vincere quel round e così ogni tanto si lasciava sfuggire un lieve gemito di protesta.  

Quando il capitano finì di strofinargli l’unguento su tutta la schiena, gli ordinò di voltarsi e Tian disse subito di no. 

 «Cosa? No! Riesco a vedere il mio petto. Lo farò da solo.»  

«Smettila di fare storie. La mia mano è già sporca, quindi fammi finire il lavoro.»  

Phupha non cedette afferrando il braccio magro con i muscoli tesi e fece girare l’altro uomo per affrontarlo in una posizione per lui di svantaggio. Tian stava premendo forte la camicia al petto come se avesse paura che il capitano lo aggredisse sessualmente.  

«…Per favore .. non qui. Puoi aiutare negli altri punti.» Tian teneva gli occhi chiusi ed alzò il mento in modo che il capitano potesse vedere che anche l’angolo delle sue labbra e la sua guancia erano viola e blu.

«Tu…tu sei…»

Imbarazzato 

Improvvisamente, l’immagine di qualcosa che aveva visto alla cascata saltò fuori nella mente del capitano prima che un’altra parola gli sfuggisse. Forse il ragazzo non voleva che vedesse la lunga cicatrice sul petto. Phupha scosse la testa. Lui aveva cicatrici su tutto il corpo e non aveva paura che qualcuno le vedesse. Le persone ricche erano così difficili da capire.

 «Mettiti la maglietta e vedi di non prenderti un raffreddore.»  

Il ragazzo cauto si voltò di scatto e si mise in fretta la maglietta, sentendosi sollevato. Poi si voltò per lasciare che gli venisse applicato l’inguento senza alcuna protesta. 

«I lividi sono brutti?» Tian si indicò il viso perché non c’era uno specchio con cui controllare.  

Il giovane capitano sorrise, stringendo il tubo del gel: «Perché? Hai paura di non essere più carino?»  

«Ho paura, naturalmente! Ho sputato sangue mentre mi lavavo i denti.»  

«Sei ancora attraente. Ma se ti vengono più lividi, non posso prometterti che sarai in grado di mantenere il tuo aspetto.» Phupha ridacchiò sommessamente, mentre Tian gli mostrava i denti.  

Dita ruvide si mossero per strofinare con cautela l’unguento sulla guancia liscia; era un vero peccato che ora fosse rovinata dai lividi. Tian aprì lentamente gli occhi e fissò il capitano ed entrambi si videro riflessi nelle iridi dell’altro, in quel momento il mondo si fermò.

Phupha alzò la mano e con un dito toccò il mento liscio di Tian. Labbra sottili e rosee si aprirono lentamente come per invitare l’altro uomo ad avvicinarsi. Il capitano si chinò finché le punte dei nasi non si sfiorarono e…all’improvviso entrambi gli uomini saltarono in disparte come se fossero elettrizzati.  

Tian si schiarì la gola e si grattò la testa per scacciare l’imbarazzo finché i suoi capelli non si arruffarono.

Cosa diavolo è appena successo?  

Si alzò in piedi e tirò giù gli angoli della zanzariera prima di distendersi sul materasso per calmarsi per qualche minuto.  

Fuori dalla rete, l’ufficiale normalmente impassibile si stava massaggiando il viso, essendo altrettanto confuso ed udì una debole voce dall’interno della rete.  

«Passerai la notte qui? Sbrigati ed entra. I miei occhi si stanno chiudendo.» Tian si sarebbe comportato come una ragazzina inesperta.  Era un uomo adulto e anche il capitano era un uomo, anche se non era così sicuro delle preferenze sessuali dell’ufficiale con la faccia da poker. 

Ma nemmeno lui comprendeva quanta forza di volontà gli ci era voluta per mormorare e finire la frase!  

La luce della lampada al cherosene si attenuò lentamente come in risposta alle sue parole.  Tian si sdraiò e si voltò su di un fianco dando la schiena al capitano, non appena la figura alta e muscolosa aveva sollevato un angolo della rete ed era entrato. Anche se il materasso era piccolo, erano comunque riusciti a creare un piccolo spazio tra loro.  

Phupha si mise su un fianco e si appoggiò sul braccio invece che sul cuscino. Il silenzio che veniva dall’uomo che era sempre polemico sembrava inquietante. 

 «Tian, cosa hai mangiato per cena?» Voleva schiaffeggiarsi la bocca da solo perchè era stato uno stupido a cominciare la conversazione in quel modo. 

«Lo zio Bieng Lae mi ha dato riso al gelsomino e del cavolo cappuccio saltato in padella. Stavo per accendere il fuoco e far bollire l’acqua per fare il bagno, così ho preparato anche una frittata.»

La voce dolce che si era alzata dietro di lui sembrava felice. Il ragazzo doveva essere orgoglioso  di se stesso. «Non l’hai bruciata o carbonizzata per gettarla nella spazzatura?»

«Questo è un colpo basso! Certo, l’ho bruciata, ai bordi, ma sto facendo progressi!» Lo chef alle prime armi discusse con veemenza, dimenticando l’imbarazzo tra loro.  

«Voglio vederlo di persona domani mattina.»  

«Non se ne parla. Ho una lezione da preparare. È già abbastanza difficile alzarsi la mattina e fare un bagno caldo.»

Dopo che il gemito sommesso si interruppe, Phupha si girò e anche se voleva scoppiare a ridere disse con il tono più neutro che poteva: «Tian. Domani è sabato. Nessun bambino verrà a scuola.»

«Che cosa?!»  

Il laborioso insegnante volontario balzò in avanti, sedendosi sul letto e cercò a tentoni l’orologio da polso che aveva posizionato accanto al cuscino rettangolare. I suoi occhi si spalancarono mentre guardava le minuscole lettere sul quadrante dell’orologio.’VEN’.  Quindi domani sarebbe sabato. Significava finalmente un giorno libero! Il sorriso di 

Tian si spalancò e si lasciò cadere pesantemente sul materasso e si voltò verso l’ospite non invitato.  

«Quindi non devo andare a letto adesso.»  

«E allora cosa farai?»

Gli occhi castani maliziosi di Tian rotearono come se gli ingranaggi avessero preso a  funzionare prima di guardare l’uomo accanto a lui con un luccichio negli occhi.  

«Sto parlando con te.»

«Hai detto che eri assonnato, non è vero?»

«Ora sono completamente sveglio.»

 Phupha si zittì e indicò le sue labbra.

«Leggi le mie labbra: IO. HO. SONNO.»

Il capitano enfatizzò ogni parola e con aria sprezzante aveva voltato le spalle all’altro uomo, lasciando Tian senza parole. 

Come osi dirmi di no! 

Era scattato, scuotendo il corpo muscoloso dell’ufficiale che giaceva immobile come un tronco. Molto prima che l’uomo più giovane si addormentasse. 

Eppure, la mano snella stringeva ancora la giacca mimetica e non la lasciò andare.

Il giovane capitano sorrise anche se i suoi occhi erano chiusi. Di solito aveva un sonno profondo che mai era stato disturbato dai sogni prima di allora…ma quella sera sapeva che non sarebbe stato così.

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