A TALE OF THOUSAND STARS – CAPITOLO 13

Tian aveva dormito abbastanza durante il viaggio di ritorno a Bangkok e quella sera era completamente sveglio. Decise di ingannare il tempo con un gioco al computer lasciato inattivo per molto tempo, nella speranza che giocandoci si sarebbe distratto dal ricordare la vita sulla collina.  

Tian sentiva come se una ferita fresca avesse appena iniziato a rimarginarsi. Tuttavia, se l’avesse toccata, la sottile crosticina venutasi a creare si sarebbe distrutta e la ferita avrebbe iniziato a sanguinare di nuovo; e faceva male. Quella notte a Tian servì tutta la sua forza di volontà per riuscire a prendere sonno. Era sdraiato sulla schiena nel suo comodo pigiama di cotone su un lenzuolo profumato di ammorbidente. l’aria condizionata nella grande stanza manteneva la temperatura fresca.  

Un bellissimo paio di occhi fissava il soffitto di gesso come se stesse vedendo le scene della vita che aveva vissuto lassù. Era troppo presto per lasciarsi andare, dimenticare tutti quei preziosi ricordi e riprendere la sua vecchia vita come se nulla fosse accaduto.  

Un singhiozzo gli salì nel petto, ma Tian lo inghiottì. Chiuse gli occhi umidi e lasciò che fosse il tempo a guarire il suo cuore ferito.  

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Le otto in punto. Quella era l’ora della colazione per la famiglia Sophadissakul. 

La governante e le cameriere avevano apparecchiato la tavola prima che i loro padroni scendessero a prendere posto. Il profumo del riso bollito aveva spinto Tum, Ton e Tam, i figli e la figlia di Pimprapha a correre verso la sala da pranzo.  

Lady Lalita inarcò le sopracciglia per la sorpresa nel vedere il primo visitatore. «Perché sei venuta così presto, cara Pim?»  

«Mio marito è tornato ieri dal suo viaggio d’affari in Svizzera, quindi mamma e papà vi porto i souvenir.» rispose facendo cenno alle cameriere di stare attente con i costosi sacchetti regalo.  

«Potevi anche venire più tardi. Oggi non vado da nessuna parte.»  

Pimprapha ignorò la presa in giro di sua madre. In effetti, aveva saputo del ritorno del suo fratellino birbante e voleva vedere con i suoi occhi lo stato schifoso in cui si fosse ridotto.  

Chiunque avesse sentito della sua buffonata – fuggire di casa per diventare insegnante volontario su una collina – non sarebbe stato in grado di trattenere una risata beffarda.  

Si schiarì la gola prima di chiedere: «Il tuo amato figliolo non si è ancora alzato?»  

«Non ho detto a nessuno di svegliarlo. Doveva essere molto stanco e volevo che si riposasse a dovere.»  

«Capisco. Deve aver passato uno strazio lassù. Perché si è comportato come un moccioso viziato che scappa di casa solo per scioccare i suoi genitori?»  

«Non biasimarlo così. Sono felice che sia tornato a casa tutto intero.»

«Vedi? Lo stai viziando fino all’inverosimile ed è per questo che si stava comportando male.» Pimprapha non potè trattenere il suo sarcasmo. Sapeva che Tian era coccolato per essere nato a dieci anni di distanza dal fratello e dalla sorella maggiori, ma non poteva fare a meno di sentirsi acida nei suoi confronti. Alzò gli occhi al cielo finché non atterrarono su una figura sulle scale dietro sua madre e trattenne le sue parole. 

Lei non sapeva quanto avesse sentito, ma il volto di suo fratello era inespressivo e non sembrava infastidito o voler ribattere con veemenza mentre si tirava su le maniche della maglietta come suo solito.  

«Ho fame. Possiamo iniziare a mangiare?» chiese Tian con un tono neutro che rese la sorella maggiore ancora di più senza parole.  

«Sì…sì possiamo.» disse Pimprapha e si voltò, dirigendosi verso la fine del tavolo. Non si preoccupò di chiedergli della sua salute come avrebbero fatto normalmente una sorella o un fratello.  

Il generale stava già aspettando, seduto a capotavola del sontuoso tavolo da pranzo in teak, con i suoi tre nipoti che stavano mangiando del riso bollito con frittata accanto a lui. La giovane donna alzò le mani per salutare suo padre in un wai prima di sedersi e subito dopo non esitò a prendere in giro suo fratello minore.  

«Tum, non sederti al posto di qualcun altro. Il suo proprietario è tornato a casa, non vedi?»  

Tian guardò suo nipote maggiore che lo fissò con grandi occhi luminosi mentre la mano del bambino che teneva il cucchiaio si fermò a mezz’aria. Rispose a sua sorella: «Posso sedermi ovunque. Non importa. Non preoccuparti di spostarti.» Tian spostò l’ultima sedia in fondo al tavolo e si sedette.  

La cameriera iniziò a servire il riso bollito al più giovane padrone di casa prima che si arrabbiasse perché era troppo lenta. Tian lanciò un’occhiata a suo padre che era vestito con i suoi abiti formali, chiedendosi se dovesse uscire di casa per fare alcune commissioni, e sospirò. Non avevano avuto la possibilità di sedersi e parlare da quando era tornato a casa.  

Tian fece scorrere gli occhi sui vari piatti sul tavolo, tutti sembravano deliziosi. Scelse la pietanza più vicina: una frittata soffice e croccante e per nulla unta, ben diversa dalla  versione di bruciata che lui aveva preparato, incapace di controllare la fiamma di una stufa a carbone. Solo il primo morso e gli occhi gli bruciavano per la sua bontà. La sua mente tornò subito all’uomo che gli aveva insegnato a cucinare e che aveva persino mangiato la pessima verdura saltata in padella e lo aveva fatto senza una sola lamentela.  

Tian inspirò profondamente e si gettò in bocca il riso bollito finché non ebbe finito metà della ciotola. Lady Lalita osservò il comportamento insolito di suo figlio, ma lui parlò prima che lei potesse chiedere: «Mamma… puoi chiedere alla cuoca che d’ora in poi mi prepari solo cibo occidentale?»  

«Perché? Ti sei stufato del cibo casalingo come questo pasto? Immagino che non si adattasse al tuo atteggiamento snob verso le cose belle della vita?» Pimprapha sogghignò con disprezzo. «Allora … sei tornato perché non potevi sopportare la dura vita.»  

Udendo l’ultima frase, Tian si alzò di scatto dal suo posto e la sedia strusciò rumorosamente contro il pavimento.  

«Posso passare il resto della mia vita lì!»  

«Ma non ti lascerò andare mai più in quel posto!» La madre lo interruppe e si voltò per rimproverare sua figlia per aver rovinato quella tranquilla mattinata: «Pim, smettila di litigare! O non ti permetterò di avere il diamante incastonato per il ricevimento della prossima settimana!»  

Pimprapha chiuse la bocca e iniziò a mangiare. Lady Lalita si alzò e andò da suo figlio, toccandogli il braccio per calmarlo. La determinazione nei suoi occhi le fece temere che avrebbe fatto proprio come aveva detto.  

«Siediti, mio caro. Farò tostare del pane da una cameriera e ti porterò la marmellata. Dovresti avere anche un po’ di latte e succo d’arancia.»  

Tian cedette, non volendo turbare sua madre. Mentre aspettava il pane, bevve del semplice latte ricevendo uno sguardo curioso da suo nipote.  

Tam gli puntò un dito sulla guancia che aveva ancora un debole livido violaceo: «… Sei ferito proprio qui?»  

Se ciò fosse accaduto in passato, Tian avrebbe detto alla nipote e ai nipoti birichini di non infastidirlo, ma quel giorno, mentre guardava quegli occhi grandi e luminosi, splendenti di innocenza, era rassegnato. Anche se erano delle pesti, in fondo erano solo bambini.  

«No, non lo sono. È quasi guarito.»  

«Mia madre ha detto che a zio Tian piace litigare. Ecco perché hai sempre tagli e lividi.» 

«Le hai creduto?»

Il bambino annuì innocentemente: «L’ho fatto perché ci hai sempre urlato contro.»

La risposta onesta di suo nipote di sei anni lo lasciò senza parole per il senso di colpa. 

«… non vi sgriderò più ragazzi, ma se volete giocare con la mia roba, potreste chiedere prima il permesso?»

«Se lo facciamo, ci lascerai giocare?»

«Lo farò.» disse lo zio con fermezza. «Ma se voi ragazzi danneggiate i miei giocattoli, ci potrebbe essere una punizione.»  

Tam mise il broncio dopo aver sentito la condizione posta dallo zio, poi venne distratto dalla torta che sua nonna aveva ordinato di portare ad una cameriera. Tian colse l’occasione per mettere la marmellata sul suo pane. Una volta finito di mangiare, si scusò dicendo che sarebbe andato dal dottore in ospedale proprio come gli avevano chiesto i suoi genitori.  

Una berlina europea a quattro porte nuova di zecca stava aspettando di fronte alla villa, invece della vecchia auto sportiva che era stata venduta mentre viveva sulla collina. I suoi genitori gli avevano detto che non volevano che lui riprendesse il suo hobby delle corse che tanto gli piaceva. Tian aveva anche pensato la cosa gli avrebbe fatto bene dal momento che la Maserati Gran Turismo era comunque troppo difficile da guidare in Thailandia.  

Tian prese la chiave dall’autista di famiglia e salì in macchina. La morbidezza del sedile e la tecnologia all’avanguardia dell’auto lo fecero sorridere… amaramente. Non si sentiva al sicuro come sul sedile, sul quale si era seduto sul retro, di quella vecchia motocicletta con l’enorme ufficiale come pilota. Tian si scrollò di dosso quel pensiero e aggiustò lo specchietto retrovisore, indossò gli occhiali da sole e premette l’acceleratore per lasciare la villa.  

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Erano passate quasi due settimane da quando era tornato a Bangkok, eppure Tian sentiva ancora che la vita lì era caotica. Lady Lalita in parte lo pregò e in parte lo costrinse a partecipare ai ricevimenti con lei quasi tutti i giorni; a volte gli chiedeva di accompagnare le figlie dei suoi amici ai centri commerciali o al cinema come se temesse che se lo avesse lasciato da solo a casa, lui sarebbe scappato di nuovo.  

Tian emise un profondo sospiro. Non era arrabbiato per la pignoleria di sua madre. Era solo stanco. Per fortuna quel giorno era andato da solo all’università per riprendere gli studi e non aveva dovuto tollerare le chiacchiere delle donne come i giorni scorsi.  

In tarda mattinata, il famoso campus nel centro della città era pieno di studenti e le strade erano invase da molte macchine. Tian era andato a presentare la sua richiesta presso l’edificio amministrativo e si è recato al dipartimento di ingegneria per incontrare il suo consulente.  

I suoi compagni di classe, che erano ora all’ultimo anno, individuarono l’uomo che era scomparso per molto tempo e accorsero verso di lui per chiedergli informazioni sulla sua salute e sul motivo per cui era andato via per un anno. 

Tuttavia, loro non erano più così vicini. Tian non incolpava nessuno per quello. Dal giorno in cui gli era stata diagnosticata la miocardite, era stato lui a voltar loro le spalle, pensando che avessero un futuro migliore davanti a loro e così aveva iniziato a frequentare i suoi ricchi amici mascalzoni, distruggendo lentamente la sua stessa vita.  

Senza il cuore di Thorfun, lui quel giorno non sarebbe stato lì.  

Tian allungò un braccio e si toccò il petto sinistro mentre scivolava via per sedersi da solo a riflettere sulla vita in una tribuna vicino a un campo da basket dove i ragazzi stavano giocando una partita. Stranamente, dopo aver dichiarato la sua intenzione su Pha Pan Dao, il cuore che batteva nel suo petto sembrò calmarsi, non gli aveva mai dato alcun dolore in segno di opposizione.  

Il giovane chinò la testa all’indietro per appoggiarsi ad un gradino della tribuna, sentendosi svuotato. Il suo corpo era là, ma il suo cuore era da qualche altra parte. La domanda era: come poteva continuare a vivere in quel modo quando in ogni momento libero la sua mente tornava ai ricordi di quel villaggio? Tian chiuse gli occhi ed il viso venne scosso da una miriade di emozioni.  

Quanto tempo ancora dovrò soffrire? Questo è il motivo per cui mi hai detto di dimenticare ‘tutto’, non è vero?  

Il telefono che squillò dal nulla lo fece sobbalzare. Lo tirò fuori e vide un numero sconosciuto sullo schermo, ma rispose lo stesso. Il tono basso e severo dall’altra parte illuminò di nuovo il suo mondo oscurato.  

«Ciao Tian …» 

«Kru Vinai! Ehm…salve!»  

«Come stai? Avrei voluto chiamarti il ​​primo giorno che sei tornato in città, ma ho pensato che fossi ancora stanco.»  

«Mi dispiace di non averti contattato.» borbottò Tian.  

«Ero così impegnato a casa ed ora sono tornato in facoltà.»  

«Va tutto bene, ho capito.» Il direttore della fondazione Saengthong disse gentilmente: «Se hai del tempo libero, potresti venire a trovarmi così possiamo parlare?»  

«Parlare?» Il giovane deglutì a fatica, temendo che alcuni segreti durante il suo periodo come insegnante volontario fossero stati svelati.  

«Sì, voglio parlarti. Non mi hai ancora detto qualcosa come mi avevi promesso.»  

Tian impiegò un momento per rispondere: «Va bene, signore. Verrò a trovarvi questo pomeriggio.»  

La lussuosa berlina europea si diresse lentamente verso uno stretto e tranquillo vicolo nel distretto di Thonburi.*  Tian parcheggiò la macchina accanto a un vecchio muro di mattoni con il cartello della fondazione sul recinto. Mentre si avvicinava, si potevano udire forti applausi di bambini dall’intero della casa.  

(*) N/T: È stata la capitale della Thailandia prima di Bangkok, situata all’altra estremità della riva del fiume Chao Phraya.

Tian allungò la mano verso la maniglia della porta d’acciaio, ma questa si aprì immediatamente. L’uomo paffuto che gli stava davanti era Kru Vinai, ancora vestito con camicia e pantaloni color indaco scolorito come l’ultima volta che si erano incontrati.  

«Benvenuto a casa, Kru Tian.»  

La parola “kru” pronunciata dall’altro uomo, che si era rivolto a lui come insegnante, innervosì il giovane che scosse la testa.  

«Per favore, non chiamarmi così. Sono ben lungi dall’essere uno di loro.»

Il direttore sorrise ampiamente, osservando i vestiti e le scarpe che il giovane indossava dalla testa ai piedi, tutti di marchi di una fascia di prezzo molto alta, esattamente come prima. Eppure, c’era qualcosa di diverso in lui. «Sei cambiato.»

Lo studente di ingegneria inarcò un sopracciglio in una domanda silenziosa. Kru Vinai lo fissò negli occhi marroni, dicendo: «I tuoi occhi… non hanno più quel fuoco.»  

Quelle parole gli attraversarono il cuore come se l’uomo più anziano avesse visto attraverso la sua anima. La mano che sorreggeva una busta di plastica con della cancelleria dell’università tremò. «Kru..Io…«

«Non dirlo nulla. Entriamo e parliamo.» disse Kru Vinai e condusse Tian sul giardino d’erba dove i bambini di un orfanotrofio saltavano su e giù con i loro insegnanti. Un padiglione marrone si ergeva in lontananza nel mezzo del giardino verdeggiante con alberi alti e grandi.  

Vedere le foglie danzare nella brezza lo calmò. Tian si lasciò cadere su una sedia nel padiglione thailandese di fronte al direttore della fondazione. Rimasero un momento di silenzio per allentare la tensione, poi iniziò a parlare.  

«Ad essere onesti, mi hai sorpreso per aver resistito così a lungo su Pha Pan Dao. Due mesi. 

Tian gli fece un sorriso triste. «… Non sono riuscito ancora a completare il servizio, proprio come avevi previsto.»  

«Fidati di me. Se quel pericoloso incidente non fosse accaduto, ce l’avresti fatta.»

«Quell’incidente è accaduto a causa mia.» Tian abbassò la testa come se fosse pieno di colpa. «Ho quasi fatto uccidere il figlio del capo villaggio.»  

«Non pensare troppo alle cose. È stata solo una di quelle cose che possono accadere nella vita.» 

Kru Vinai cercava di consolarlo, ma le sue parole spinsero il giovane a scoppiare: «Sono qui, ma la mia mente è laggiù. I bambini mi hanno insegnato a dare agli altri. Gli abitanti del villaggio mi hanno insegnato a riconoscere il mio valore. Ho passato solo poco tempo con loro, ma quelle si sono rivelate le cose migliori che mi siano successe.»

Loro… e il grande, alto ufficiale che gli aveva insegnato l’amore nel luogo dove tutte le regole del mondo potevano essere dimenticate. 

Le lacrime presero a scorrere silenziosamente lungo le sue guance, mentre Tian pronunciava ad alta voce tutte le parole che fino a quel momento non aveva potuto dire. Kru Vinai guardò il giovane strofinare via le lacrime dai suoi occhi iniettati di sangue, sentendosi empatico nei confronti del povero ragazzo, come un uomo che aveva passato anche alti e bassi nella vita. «Allora … hai trovato la risposta che stavi cercando?» 

Tian respirò sommessamente alcune volte per calmarsi prima di poter rispondere. «… non pensavo che qualcuno a cui non gli era mai importato di nulla se non di creare guai ai suoi genitori, avrebbe potuto fare qualcosa di buono per gli altri.»

«Questo perché hai qualcosa che loro non hanno.» 

Lui annuì in accordo. «Gli abitanti del villaggio sono stati così gentili con uno sconosciuto come me. Avrei tanto voluto non dover più tornare in città.»

Il direttore scosse la testa quando iniziò a rendersi conto del motivo per cui il ricco e giovane era depresso. «Tian, penso che ti sei perso.»  

«Voler essere dove ero felice è sbagliato?» Tian aggrottò la fronte.  

«… Allora dimmi, perché non stai cercando di tornare di nuovo lì? I malviventi sono stati arrestati. Tutto è tornato alla normalità e dovrebbe essere così per un po’. Posso fare in modo che tu ci vada.»  

Tian trattenne le sue parole, esitò, mentre i suoi occhi brillavano per la confusione. Non importava quanto avrebbe voluto tornarci, lui non poteva. Vedendo il viso stanco di sua madre, si rese conto di essere solo un bambino che non poteva sopravvivere senza l’aiuto dei suoi genitori. Era ancora all’università e stava ricevendo da loro un sostegno finanziario.

Lo aveva sempre saputo, eppure essendo così troppo testardo, aveva fatto quello che aveva fatto.  

Tian si mise una mano sulla fronte proprio come un uomo smarrito, senza sapere cosa fare o come lasciarsi andare. «…Non voglio che tutto diventi un altro ricordo passeggero.» 

«Ma la vita deve andare avanti Tian. Non lasciare che il tuo attaccamento distrugga il tuo futuro. Sai che non puoi rimanere un insegnante volontario lì per tutta la vita. E la famiglia che aspetta di vedere il tuo successo? La lascerai andare?»  

Il giovane abbassò lo sguardo senza dire una parola. Il direttore della fondazione si alzò dal suo posto e si sedette accanto a lui, parlando con voce gentile: «… Lascia che ti dica una cosa. Il primo giorno che sei arrivato a Chiang Rai, ho ricevuto una telefonata da qualcuno.»  

«Mio padre, giusto?»  

Un grande sorriso sul volto di Kru Vinai gli diede la risposta: «Stava chiedendo della tua visita alla fondazione e cosa ti avesse spinto a scappare, lasciando solo una lettera. Non avrei mai immaginato che le cose sarebbero andate così lontano. Così gli dissi che ti avrei seguito io stesso. Ma quello che mi ha detto lui quel giorno… «se ha una buona e ferrea intenzione a farlo ed è preparato, non lo fermerei mai. Noi lo sosterremo sempre.» 

L’uomo più anziano diede una pacca sulla spalla di Tian come per dargli sostegno morale.

« … vedi Tian…il passato, tutto quello che ti è capitato avrebbe potuto essere il futuro che hai scelto per te stesso. Sfrutta al meglio il presente.»

Le semplici parole dell’uomo schiarirono la nebbia che aveva sconvolto la sua mente. Gli occhi tristi e spenti si illuminarono ancora una volta. Tian alzò lentamente le mani per fare un wai all’insegnante altruista e generoso sopraffatto dalla gratitudine. Un insegnante non solo insegnava le materie scolastiche, ma mostrava anche il modo migliore di vivere. «Grazie mille. Voglio che quel futuro arrivi anche a me.»  

Il bel viso chiaro così venne illuminato da una calma consapevolezza, come se il ragazzo fosse cresciuto mentalmente e spiritualmente. Tian decise di scommettere e sfidare il tempo… e vedere quanto sarebbero stati solidi i loro sentimenti.  

Promettimi… che mi aspetterai, non importa quanto tempo ci vorrà.  

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Era come se una fortuna inaspettata fosse arrivata con una sfortuna. Anche se Tian si stava riprendendo bene dopo l’intervento, prendersi una pausa dalla scuola all’inizio del primo semestre del terzo anno non gli aveva lasciato altra scelta che ricominciare da capo con i suoi junior. Si stava stancando di essere trascinato qua e là con sua madre, così si iscrisse a un corso facoltativo durante le vacanze estive di aprile per raccogliere i crediti.  

Tian trascorse il suo tempo tra università e casa fino all’inizio del nuovo semestre. Era in qualche modo strano vedere i suoi amici all’ultimo anno mentre lui frequentava dei corsi dove i suoi compagni lo salutavano con wai.  

Tian stava seguendo attentamente una conferenza. Non era uno studente eccezionale o un topo di biblioteca, ma l’esperienza gli aveva insegnato che se non avesse fatto del suo meglio, forse per lui non ci sarebbe stato un domani per sistemare le cose.  

Il suo junior lo aveva invitato spesso a partecipare al pranzo in mensa. Tian a volte diceva di sì per senso dell’obbligo, ma a volte diceva di no. Preferiva starsene seduto in un negozio di condizionatori fuori dall’università per guardare le ragazze. 

… Infine, la lezione extra che era durata fino alle sei in punto della la sera, era finita. Gli studenti scoppiarono in un forte applauso mentre riempivano le loro borse per correre a casa. Tra i giovani in camicie grigie da laboratorio che si accalcavano giù per le scale come formiche che scappavano dal nido, un uomo seduto in ultima fila si distingueva. L’uomo aveva un taglio rasato ai lati con un ciuffo disordinato in cima, il suo viso chiaro era in contrasto con il colore della camicia e le sue lunghe gambe erano coperte da jeans sbiaditi. Scese lentamente giù per le scale, sembrando un duro senza aspettarsi che l’uomo che lo stava aspettando emettesse un fischio canzonatorio.  

Tian strinse gli occhi al ragazzaccio ricco dalla pelle chiara che gli bloccava la strada, emettendo un sospiro pesante: «Ti ho detto che non ci vado.»  

«Sì, lo so. È per questo che sono venuto a trovarti qui. Perché la lezione è durata così tanto? Mi sono venuti i crampi alle gambe.» Tul si fece un finto massaggio sulle cosce, piagnucolando, temendo che il suo amico scappasse di nuovo. Si era preso la briga di guidare dall’altra parte di Bangkok e di aspettare Tian fin dalle tre del pomeriggio, ma l’altro uomo aveva impiegato troppo nel finire la sua lezione.  

«Stai sprecando il tuo tempo. Sai che non posso più bere. Perché diavolo dovrei andare?»  Durante la chiacchierata della sera prima al telefono, Tul gli aveva detto che ci sarebbe stata una festa in un club esclusivo nella zona di Thong Lor con la loro banda da corsa, che non vedeva da molto tempo. Tian aveva detto di no, ma non si aspettava che Tul fosse così insistente.  

«Allora puoi bere quella cazzo di soda. Vieni al club, cazzo. Ti chiamano merda di pollo.»  

Tian si fermò un attimo a riflettere, poi agitò la mano in modo sprezzante: «Fanculo. A loro non importava un cazzo di me mentre stavo morendo in ospedale. Non ho visto nessuno di loro.»  

«Non essere meschino. Sai come sono.» Tul fece un passo più vicino e sussurrò: «… In realtà, ho scommesso con loro che oggi ti avrei trascinato fuori dalla caverna. Non puoi aiutarmi?»  

«Sono affari tuoi, amico! Perché cazzo hai scommesso su di me?!» Quando finì di gridare al suo amico, Tian indietreggiò per andarsene.  

Tul gli afferrò il braccio. « Ho scommesso su di te centomila baht. Se vieni con me, i soldi sono tutti tuoi. Puoi farci quello che vuoi.» Il ragazzaccio sottolineò le ultime parole.  

«… Oppure potresti donarli a quella fondazione per i bambini sfortunati. Non è una cattiva idea, non è vero?»  

Tian alzò lo sguardo e incontrò gli occhi del suo malvagio amico, cercando di valutare le sue intenzioni nascoste. Tul sapeva bene che centomila non significavano niente per quella banda di ragazzacci ricchi. Quella somma di denaro su una scommessa stupida non era nulla, una loro normale scommessa si aggirava sul mezzo milione di bath.  

N/T: 100 mila bath sono circa 2.700 €. Mezzo milione equivalgono a circa 13.400 €.

«Dammi la tua parola. Domani i soldi devono essere sul mio conto.»  

Il viso di Tul si aprì in un ampio sorriso. Alzò la mano per eseguire un giuramento: «Parola di scout, piccolo.»  

Lo studente di ingegneria scosse la testa, sentendo di essere caduto nella trappola di un lupo, ma non gli importava. Tian sarebbe rimasto seduto lì per un paio d’ore e poi se ne sarebbe andato.

«Io vado a casa, ci vediamo alle otto sul posto.»

Tul annuì e fece un cenno alla figura snella che si stava allontanando, sollevato. Non era un brav’uomo, ma vedere Tian dopo che era tornato dalla collina gli faceva venire i brividi.  Come era stato possibile che un mascalzone come lui si fosse trasformato in uno studente laborioso come se stesse puntando ad una laurea con tanto di lode?  

Non era l’amico che conosceva una volta.  

Quindi, aveva escogitato un piano e una scommessa con i ragazzi così da poter riportare Tian al club. Aveva persino immaginato che Tian si sarebbe trasformato nel suo vecchio e favoloso amico una volta incontrato il suo vecchio amico.  

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… Un famoso nightclub nel prestigioso quartiere di Thong Lor era noto per la sua migliore musica dal vivo e stasera era pieno di adolescenti e impiegati che lasciavano sfogare la loro frustrazione e si divertivano. Era vietato fumare, ma l’odore di nicotina continuava a filtrare dall’esterno.  

Tian ricambiò il saluto di un cameriere che lo salutò quando riconobbe l’ex cliente abituale e si chiuse con la mano il naso che bruciava per il fumo. Dal momento che aveva rinunciato a tutte le droghe, il suo corpo sembrava essere particolarmente sensibile agli odori tossici e quello era uno dei motivi per cui non voleva più uscire ed andare in un posto del genere.  

Le pareti divisorie di vetro a cascata nel club riflettevano una miriade di luci nella semioscurità e non ci volle molto per trovare il suo gruppo di amici. Tian, che indossava una camicia aperta sopra una maglietta con jeans Diesel scuri, si diresse verso un tavolo VIP vicino al bar al lato del palco. Tul lo vide per primo e lo salutò con la mano. Il resto della banda si guardò intorno e fece un forte fischio: «Ecco che arriva l’eremita!»  

«Vieni qui teppista. Devi ubriacarti con noi!»  

Qualcuno della banda gettò un braccio intorno le spalle di Tian, stringendolo in un intimo abbraccio e lo tirò a sedere in un punto libero del divano. Le ragazze che erano lì per intrattenerlo si gettarono sul ricco studente di ingegneria e Tian lanciò un’occhiataccia all’uomo che lo aveva fatto andare lì. Quindi, una sua ex, a proprio beneficio prese il suo braccio e lo premette contro il suo seno. «Dove sei stato Tian? Mi sei mancato.»

Tian lanciò un’occhiata al bel viso mascherato dal pesante trucco della ragazza con cui era uscito per un po’. I suoi occhi scesero sul suo seno pieno sotto un vestito aderente e deglutì a fatica. Stava cercando di essere un uomo migliore, ma era quasi impossibile resistere a una tale forza della natura. 

«Non ero in buona forma.» Il giovane cercò di scrollarsi di dosso la ragazza, ma nel farlo andò a sbattere con il braccio contro un’altra ragazza seduta dall’altro lato. 

«Sei in buona forma qui?» La ragazza di nome Chompoo fece scorrere la mano verso il basso e toccò delicatamente un punto in particolare senza chiedere prima, sussurrandogli nell’orecchio: «Questa ragazza qui vuole dare un’occhiata. Andiamo a casa insieme Tian.» 

Il dolce sussurro gli rese il sangue caldo mentre scorreva la mano della ragazza scorreva sul suo corpo. Tian aggrottò la fronte per le emozioni indesiderate e si alzò di scatto.

«Ho bisogno di fare pipì.» 

Prima che potesse andarsene, la banda di corse scoppiò a ridere all’unisono e iniziò a vomitare insulti: «Cosa? Hai sborrato solo per quel tocco?»  

«..Hai un’eiaculazione precoce?»  

Tian si sentì invadere dalla rabbia. Avrebbe voluto prenderli a schiaffi per le loro offese, ma si trattenne mentre le parole di qualcuno risuonarono nella sua mente.  

«… Se sei abbastanza intelligente, sai che ci sono molti altri modi per trattare con le persone senza usare la forza bruta.»

Le sue labbra si allargarono in un sorriso malvagio. Colpire quei figli di puttana sboccati avrebbe solo ferito la sua mano. Tian aveva deciso che non avrebbe più alzato le mani, ma forse qualcuno lo avrebbe fatto per lui. 

«Sì, devo allentare un po’ di tensione.» 

Tul che aprì la bocca per dire loro di stare zitti, rimase sbalordito mentre guardava l’uomo alto e magro allontanarsi. Aveva davvero pensato che stesse per scoppiare una rissa, ma Tian era stranamente calmo e quel pensiero fece scattare un campanello d’allarme nella sua testa. Qualcuno gli porse un bicchiere di whisky, così lo prese e bevve l’alcol per calmare la sua confusione.  

Il ragazzo magro attraversò la folla in movimento sulla pista da ballo finché non raggiunse il suo obiettivo seduto all’altro capo del bar. Tian la guardò con i suoi occhi seducenti come gli era piaciuto fare in passato prima di lasciarsi cadere su un alto sedile accanto a lei.  

«Sei qui solo da solo?» La volpe calda gettò indietro i capelli arricciati che le arrivavano a metà schiena, ostentando la sua bellezza al bel giovane.  

«Quante persone ci sono qui con me? Vedi che sono solo.» Questa affermazione spesso era tradotta come…sei stata presa.  

«Non immaginavo di essere così fortunato.» Tian si avvicinò al viso chiaro che cominciò ad assumere una tonalità rossa. «Vuoi fare qualcosa con me?»  

«…Cos’hai in mente?» rispose la donna a bassa voce, elettrizzata dal fatto che un uomo ricco e bello si fosse avvicinato a lei quella sera.  

Il futuro ingegnere sorrise, prese in prestito una penna da un barista e scarabocchiò un nome e un numero su un tovagliolino di carta. Poi, i suoi occhi catturarono un uomo alto e grosso che camminava tra la folla e veniva proprio verso di loro.  

«Ci vediamo fuori a mezzanotte.» Tian interruppe la conversazione e si allontanò furtivamente nella luce fioca, tra la folla.  

Tian non andò in bagno come aveva detto, ma si diresse verso il piano rialzato per guardare da basso, aspettando che iniziasse il divertimento. Non dovette aspettare molto prima che un uomo muscoloso, che sembrava proprio un lottatore e il ragazzo di quella ragazza sexy , prese a gridare il nome che lui aveva scritto sul piattino.  

Ovviamente non era il suo nome.  

Quel lottatore stava abbaiando il nome a tutti i tavoli finché non arrivò a quello VIP vicino al palco. Un uomo ubriaco che sentì il suo nome che veniva pronunciato con tono così aggressivo balzò in piedi, con aria di sfida. I due si insultarono l’un l’altro per un po’ fino a quando non scoppiò una rissa.  

La banda di ragazzi ricchi cercò di fermare la lotta, ma vennero messi al tappeto uno per uno. Tian si mise il mento tra le mani, guardando tutta la scena tumultuosa al di sotto divertito e soddisfatto. Non era diventato un uomo migliore, aveva la coscienza sporca: aveva appena imparato come vendicarsi in modo migliore.  

Poi, però, le cose degenerarono quando gli amici del tizio rabbioso si unirono a lui e afferrate delle bottiglie da un tavolo vicino, le frantumarono per creare armi dagli dai bordi seghettati.   nightcrawlers gridarono, spaventati, la band smise di suonare e saltò giù dal palco per fuggire.  

Gli occhi di Tian si spalancarono. «Cazzo…» 

Si fece strada tra la folla mentre correva al piano di sotto. L’odore del sangue e dei gemiti di dolore lo fecero precipitare dentro per fermare gli uomini in lotta. Un gomito lo colpì e lo mandò indietro e quello accese in lui un campanello d’allarme.  

Qualcuno doveva fermarli. 

 La polizia!  

Sarebbe troppo tardi per chiamarla? Tian schivò le bottigle rotte e si avviò verso il palco inferiore, trovando uno scudo e asciugandosi con un braccio il sudore dal viso.  

Cosa dovrei fare ora?  

Prese il telefono dalla tasca dei jeans e premette un pulsante con un dito tremante.  

Aveva scaricato un’app audio per realizzare suonerie. Una volta premuto il pulsante ’sirena’, il suono a tutto volume di una sirena si diffuse nel locale, ma non abbastanza forte da farlo sentire ai litiganti. Tian guardò a destra e a sinistra, vedendo il microfono sul pavimento del palco, si allungò per afferrarlo e lo spinse contro il suo telefono.  

Qualcuno gridò «polizia!» e la rissa si fermò per un momento, seguirono forti imprecazioni e scoppiò un enorme caos mentre le persone scappavano dal locale, non volendo essere arrestate. Gli uomini coinvolti nella rissa scapparono portando via i loro amici feriti, non volendo essere scoperti.  

Tian guardò il disastro che aveva causato e sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Il bar gli avrebbe addebitato un risarcimento che poteva costare quasi un milione di baht. Poi sobbalzò per lo spavento quando qualcuno lo afferrò per il collo da dietro.  

Tul gli stava sorridendo freddamente e con ferocia… con la faccia piena di lividi.  

«Lo so che sei stato tu…Dobbiamo parlare!»  

Tul trascinò fuori l’uomo più magro mentre Tian lottava per liberarsi. Il figlio di un magnate dei casinò clandestini gettò il suo amico nel suo Hummer e chiuse la porta a chiave. una volta entrato in auto si rivolse al colpevole.  

«Pensavo che fossi intimidito quando non hai reagito ai loro insulti, all’inizio. Poi le cose sono esplose!»  

«Mi dispiace. Non pensavo che sarebbe andata così.» Tian alzò i palmi delle mani per impedire al suo amico di farlo saltare in aria.  

Tul fece schioccare la lingua. Era furioso, ma non sapeva cos’altro poteva fare. I suoi occhi intravidero due auto di pattuglia della polizia che stavano arrivando così accese il motore.  

«Ti porto a casa.»  

«E la mia macchina?»  

«Chiama qualcuno che te la venga a prendere. Il tuo ‘papà’ è proprio qui.» Inclinò la testa verso l’auto della polizia ed accelerò per uscire dalla scena del crimine il prima possibile.  

Tian lanciò un’occhiata alle labbra spaccate e insanguinate del suo amico, chiedendo a bassa voce: «Vuoi fermarti in un ospedale per sistemarle?»  

Ricevette un grido non appena finì la frase: «È stato per colpa tua, figlio di puttana!»  

«Va bene, va bene. Colpa mia! Puoi lanciarmi parolacce quanto vuoi.» L’ex membro della banda da corsa lasciò cadere la schiena contro il sedile, frustrato.  

Ma Tul scoppiò a ridere.  

«Che cazzo hai che non va ?!» gridò Tian.  

«Sono solo sollevato. Pensavo fossi diventato docile come un monaco, ma tu sei sempre lo stesso malvagio furfante che sei sempre stato.»  

«È un complimento ambiguo o qualcosa del genere?»  

«Amico, ho appena detto che sei intelligente. Quindi era un campo di sviluppo del cervello quello a cui ti sei unito sulla collina?»  

La domanda fece tacere il figlio di un ex generale.  

Se quel capitano venisse a sapere che ha causato un altro problema e che ha ferito di nuovo le persone … quanto ne sarebbe rimasto deluso?  

Tian guardò fuori dal finestrino, fissando le luci dei negozi lungo la strada che parlavano di modernità, in contrasto con l’immagine di un villaggio dell’entroterra senza elettricità come Pha Pan Dao.  

«Tul, non li vedrò più. Se il bar manda una fattura, pagherò io.»  

Il calmo silenzio fece smettere a Tul di litigare, rendendosi conto della differenza nel suo amico ed annuì: «Va tutto bene. Sono stato io a trascinarti qui. Ci penso io.» Una grossa mano si alzò dal volante per schiaffeggiarlo leggermente sulla spalla come per dargli conforto. «… È un bene che tu sia tornato a scuola. È un bene per il tuo futuro.»  

**********************

I giorni si  trasformarono in mesi ed i mesi divennero un anno. La vita nella parte più settentrionale della Thailandia continuava ancora perché nessuno poteva fermare il tempo, proprio come nessuno poteva conservare una buona memoria per sempre.  

Dall’ultima grande repressione del disboscamento illegale, quasi due anni prima, la situazione lungo i confini era tornata alla normalità, con alcuni scontri con trafficanti di droga e talvolta terroristi.  

Tre giorni prima, i soldati della base operativa di Pha Phra Phirun, avevano unito le forze con la polizia di frontiera per attaccare i trafficanti di esseri umani ed era nato un violento scontro a fuoco. Prima dell’arresto dei terroristi molti uomini vennero feriti, compreso il capitano che aveva guidato l’operazione.  

L’infermeria con il medico del campo e gli assistenti, si era precipitata a curare le ferite e a controllare i soldati che avevano rischiato la loro vita nell’ultimo attacco.  

Phupha alzò la maglietta in modo che il suo amico dottore potesse pulire una ferita che correva lungo il suo fianco e chiuderla con dieci punti. Mentre lo fasciava, Wasant brontolava  sul modo in cui il paziente non era riuscito a mantenere la ferita asciutta. Aveva detto al capitano di pulirsi con un panno umido, ma invece lui aveva fatto una doccia. Temeva che la ferita avrebbe cominciato a putrefarsi e che lui avrebbe dovuto rimuovere la carne. 

«Mi dispiace per la tua ragazza dato sei un piagnucolone così scontroso» disse Phupha, irritato.  

«La mia ragazza è dieci volte più scontrosa di me!»  

Il giovane capitano sbuffò: «… Quindi voi due vi meritate a vicenda. Quando è il matrimonio?»  

Il dottor Wasant, dopo aver indossato un paio di guanti sterili, mise una garza pulita sulla ferita del suo amico e un nastro adesivo per tenere il tessuto in posizione. La benda fungeva anche da paraurti mentre il massiccio ufficiale si muoveva.  

«Le famiglie si sono incontrate, ma prima voglio finire le cose qui. Se riesco a chiedere un sostituto per un mese o due, forse posso andare in città e sposarmi.»  

«… Non ti prendi dei giorni di ferie per la luna di miele? Da come lo hai detto sembra che tu torni subito dopo il matrimonio.» 

«Non credo che farò la luna di miele.»

Dal tono disinvolto con cui aveva parlato sembrava come se il dottore non stesse davvero prestando attenzione ai sentimenti e ai bisogni della sua futura moglie. Ciò costrinse il capitano a voltarsi e a guardare Wasant: «Sicuro di amare la dottoressa Jib? Perché ti comporti come se ti stessi sposando per obbligo? Ti sta aspettando da secoli.»

Wasant sorrise leggermente, sapendo che il suo migliore amico era preoccupato per lui nonostante le sue parole taglienti. «Stiamo bene. Ci capiamo. Ad essere sincero … non voglio restare troppo a Bangkok perché sono preoccupato per te.»

Il cipiglio dell’ufficiale alto si accentuò, il suo viso si fece scuro. Sapeva di cosa stava parlando il suo amico. Ma era successo molto tempo fa. Forse quell’ex insegnante volontario aveva già frequentato dieci persone nel frattempo. «Dottore, la mia ferita è a posto.» dsse cupamente. «Dico sul serio.» 

«Questo perché non ti sei guardato allo specchio.» Gli occhi intelligenti dietro lucide cornici d’argento brillarono. Anche se la sua ferita fisica fosse guarita, anche se il braccio destro rotto fosse tornato a posto così da poter impugnare di nuovo la pistola, Phupha sembrava uno zombie ogni volta agli occhi di qualcuno che si soffermavano ad osservarlo…  era afflitto dalla depressione. 

Phupha era un uomo tranquillo che teneva le cose per sé. Avrebbe potuto dire «sto bene», ma chi sapeva quanto fosse davvero devastato dentro?

«Come puoi saperlo meglio di me?»  

Il giovane dottore avrebbe voluto ridere dell’uomo che non avrebbe permesso al suo cuore di essere felice per un altro e le sue labbra formavano un sorriso astuto.  «… Che dire… tirerò un po’ le fila per convincere il dottor Thanakorn a lavorare qui mentre sono in ferie di matrimonio.»  

Wasant riferiva a un giovane medico militare appena arrivato alla stazione di King Mangrai *The Great Camp nel distretto di Chiang Rai. Quando lui e Phupha si era recati ad una riunione mensile in città, aveva notato dolci sorrisi rivolti all’amico con la faccia da poker.  

(*) N/T Mangrai, 1238-1311 d.C. noto anche come Mengrai, era il 25 ° re di Ngoenyang (r. 1261-1292) e il primo re di Lanna (r.  . 1292-1311). Creò una nuova città, Chiang Mai, come capitale del regno di Lanna (1296-1558). 

«Magro, carnagione chiara … di bell’aspetto. Ben educato, non effeminato, esattamente il tuo tipo. Se hai detto che il tuo cuore è guarito, potresti provare a iniziare una nuova relazione.»  Wasant stava provando a convincere il suo amico. « Soprattutto, potrebbe essere colui che resterà con te per tutta la vita.»  

Sentendo quelle parole, il viso scuro e intenso del capitano si contorse per la rabbia, proprio come il demone che qualcuno aveva dipinto sull’aquilone. «Non continuare o il mio piede potrebbe alzarsi e spingerti giù dalla scogliera!»  

«Facile, amico. Ti auguro solo il meglio! Penso che Tian ti abbia già dimenticato.»  

«Ha detto che non dimenticherà mai!» La voce profonda, liscia e tremante riecheggiava ancora nella sua mente come una maledizione, una maledizione con cui lui doveva convivere insieme al desiderio insoddisfatto per il resto della sua vita.  

«Stai ancora resistendo per lui.» Il sorriso astuto svanì, sostituito da uno empatico. Wasant si sentiva in colpa per aver provato a dire qualcosa di divertente, desiderando che il suo amico sperimentasse le gioie dell’amore almeno una volta prima di morire. Non aveva mai immaginato che si sarebbe trasformato in una simile tragedia. Il dottore diede una pacca delicata sulla spessa spalla dell’amico come consolazione.  

«Phu. Rimarrà fuori portata se non lo contatti. Posso chiedere il ​​suo indirizzo, ma il numero di telefono …»

« No.» Phupha schiaffeggiò la mano del suo amico. «…È quello il posto a cui appartiene … lassù nel cielo. Hai ragione nel trovare qualcun’altro che possa stare con me fino al mio ultimo giorno, ma nessuno potrà mai sostituire quell’uomo nel mio cuore.»

Non appena Wasant si riprese dall’essere sbalordito, si lasciò sfuggire un lungo gemito.

«Voglio piangere. Avrei voluto registrarlo e inviarlo a Tian.»

«Non voglio più parlarti. Mi gira la testa!» Il capitano aveva paura di non riuscire a trattenersi dallo schiaffeggiare il medico dell’unità tanto era infastidito. Si alzò di scatto, con l’intenzione di andarsene, ma l’altro uomo gridò: « Ho invitato il ragazzo dei tuoi sogni. Lo vedrai al ricevimento di nozze?»

Phupha si voltò di scatto e puntò il dito contro la mente malvagia. «Se non rimani fuori dai miei affari, la dottoressa Jib diventerà presto vedova.»  

«Oddio! Ora ho tanta paura capitano!»  

L’ufficiale si allontanò prima che la sua testa esplodesse per la rabbia. Wasant aveva ragione su una cosa, però, che se fosse rimasto a Bangkok troppo a lungo, sarebbe stato troppo tranquillo quassù. Phupha dovette ammettere che il modo in cui il suo amico gli era entrato sotto la pelle lo aveva salvato dal sentirsi troppo condannato e triste.  

Alzò gli occhi al cielo mentre tornava a casa, vedendo scintillare migliaia e decine di migliaia di stelle.  

L’immagine del ragazzo di città che cercava di contare le stelle apparve nella sua mente e lo fece sorridere.  

… Hai trovato quella stella che avrebbe completato la tua ricerca?  

Forse no.  

Perché se lo avessi fatto, il desiderio espresso quella notte si sarebbe già avverato …

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