WE BEST LOVE N°1 – EXTRA III

Un freddo cenone di capodanno

«Felice anno nuovo, ti auguro una buona salute e tutto il meglio.»

«Shi De, vieni qui. Ecco una busta rossa per te, ascolta quello che dicono tuo padre e tua madre.»

«Si, grazie zio e zia.»

«Oh, Shou Yi è diventato più alto! Sta diventando sempre più bello. Andrà al college quest’anno? Sicuramente, dopo essere stato ammesso alla facoltà di medicina, sarai il futuro erede dell’ospedale!»

«Grazie zia.»

Il capodanno era un giorno di ricongiungimento familiare. Pei Shou Yi era davanti alla porta aperta con i suoi genitori, salutava i parenti e gli ospiti che avevano invitato a casa per il cenone di Capodanno. Il team del catering, appositamente assunto, era costantemente impegnato in cucina. Ogni volta che lo chef preparava un piatto, il personale di servizio serviva immediatamente il cibo caldo. Sebbene il prezzo per assumere un team di professionisti non fosse esattamente economico, era meglio che prenotare la sala in un hotel. Festeggiare Capodanno a casa creava un’atmosfera più festosa.

In una sala da pranzo abbastanza grande da ospitare venti persone, gli anziani si sedettero a un tavolo e i più giovani in  un altro. Tutti parlavano vivacemente, passavano da augurarsi l’un l’altro una buona salute e carriera, al parlare della scuola e del rendimento scolastico dei bambini. Ogni volta che questo accadeva, era inevitabile citare tra i giovani, il bambino con i voti migliori, Pei Shou Yi.

«Il preside si sentirà davvero fortunato, Shou Yi sarà sicuramente ammesso alla facoltà di Medicina. È fantastico, a differenza di mio figlio, dovrò andare al tempio per esprimere il desiderio di farlo ammettere almeno in un’università nazionale.»

Un ospite importante, che era un professore presso l’Università T di Medicina, alzò il bicchiere di vino ed elogiò la madre Pei Shou Yi, che era la direttrice dell’ospedale. Il bambino delle medie, che era venuto con suo padre, fissò il ragazzo che era seduto al suo tavolo. Quello a cui si era sempre sentito inferiore fin da piccolo.

La madre Pei Shou Yi si coprì la bocca con la mano, senza riuscire a nascondere il suo orgoglio e disse: «Non so se supererà l’esame, ma se lo fa, nei prossimi anni Professor Zhang dovrò disturbarla per dei consigli.»

«Uno studente bravo come Pei Shou Yi era quello che stavo cercando.»

La donna alzò il bicchiere e fece un brindisi al futuro professore di suo figlio: «Allora grazie in anticipo, professore.»

«Direttrice è molto gentile.»

Il ragazzo diciassettenne, che era il protagonista della conversazione, non disse una parola dall’inizio alla fine; ma mangiò in silenzio il cibo che aveva nel piatto. Sebbene anche i ragazzi allo stesso tavolo stessero chiacchierando tra loro, nessuno osava parlare con quel ragazzo inespressivo.

«Pei Shou Yi, è passata più di mezz’ora e stai ancora mangiando?»

Suo padre, che era seduto al tavolo principale, improvvisamente sbatté le bacchette sul tavolo, indipendentemente dal fatto che ci fossero altri ospiti accanto a lui, e parlò seriamente al figlio che stava ancora mangiando. 

La persona nominata posò le bacchette e si alzò dalla sedia con un’espressione fredda. Come un robot che riceve istruzioni, si alzò e fece un inchino ai suoi ospiti dicendo con voce neutra: «Buon anno, torno nella mia stanza che sono pieno.»

«Con che faccia resti qui a mangiare come un maiale quando i tuoi voti sono scesi?»

Ignorando gli insulti sprezzanti e ironici di suo padre, il ragazzo diede le spalle agli ospiti e in silenzio tornò nella sua stanza sotto gli sguardi impacciati dei commensali. Tirò indietro la sedia e si sedette alla scrivania, aprì il libro con il contenuto dell’esame che aveva già esaminato prima e continuò a ripetere tutti i concetti difficili da ricordare.

Tutto questo era stato visto da un bambino di sette anni che aveva osservato Pei Shou Yi mentre se ne andava e gli adulti chiacchierare, come se non fosse successo nulla. Mangiò solo metà della sua ciotola di riso, che lentamente si raffreddò, e mentre guardava nel suo piatto sussurro: «Fratello Shou Yi…»

**********

Nell’esame finale, prima della fine del semestre, arrivò al secondo posto nella scuola per un decimo di punto. Anche in classe era sempre al primo posto, ma tale risultato era stato un fallimento agli occhi dei suoi genitori. Suo padre, un autorevole medico, e la madre, direttrice di un grande ospedale, avevano riposto in lui grandi aspettative già dalla pagella di prima elementare. Indipendentemente dal tipo di concorso e di esame, non gli era concesso di avere una posizione diversa dal primo posto.

Quando falliva, doveva affrontare e subire il ridicolo e l’umiliazione, e più persone lo guardavano, più suo padre diventava crudele, finché non tornava di nuovo al primo posto.

Era come essere un elefante incatenato, proprio come quello che aveva visto in una zona turistica della Thailandia. Anche se la pelle era consumata dalla catena di ferro e dalla zampa colava il sangue, l’animale doveva sopportare il tutto abbassando la testa, altrimenti il Mahout* lo avrebbe sfruttato senza pietà.

[*N/T: conduttore di elefanti, addestratore e custode. Inutile dire che non tutti i proprietari di elefanti trattano i loro animali così da schifo, anzi! In Thailandia, a maggioranza Buddista, l’elefante è un animale sacro.]

L’unica volta che si era ribellato era stato all’esame finale, prima del viaggio della maturità.

Guardando il suo punteggio, che era sceso sotto i novanta punti, aveva pensato che, se avesse mostrato i voti a suo padre, non avrebbe mai ottenuto il consenso per il viaggio del diploma; quindi l’opportunità di viaggiare con i suoi amici prima dell’università sarebbe sparita. Così era andato in un negozio dove si facevano i sigilli e ne aveva fatto uno del suo insegnante su una pagella falsa, che aveva fatto stampare. Dopo aver mentito a suo padre ed aver ottenuto la sua firma, l’aveva imitata sulla pagella falsa, che aveva firmato. 

Pensava di aver ingannato i suoi genitori, dato che avevano firmato con successo il consenso per il viaggio, ma non aveva previsto che sua madre la settimana dopo sarebbe andata a scuola per un incontro genitori/insegnanti e che il tutor le avesse chiesto come mai i suoi voti fossero peggiorati. Così, il suo imbroglio era stato scoperto. 

Dopo essere tornato a casa, suo padre lo chiamò nel suo ufficio, mise sul tavolo la vera pagella e disse freddamente: «Ho annullato il tuo viaggio e ho chiesto aiuto al tuo professore per trovarti un tutor. In questi giorni studierai a casa.» 

«Papà! Ma l’ho promesso ai miei compagni di classe.»

Per tre anni interi era andato a scuola o a fare ripetizioni. Se non era in classe, era a casa a studiare da solo o con un tutor. Non era mai uscito a pranzo con un amico, per non parlare del fatto che non aveva mai avuto un appuntamento. Aveva aspettato proprio il viaggio della maturità per avere l’opportunità di uscire di casa, riprendere fiato e avere qualche bel ricordo. Tutto ciò venne cancellato dalle parole di suo padre. 

«Papà! Ti prego, mi dispiace di aver sbagliato, per favore lasciami partire!»

Era la prima volta che si era ribellato e la prima volta che si era inginocchiato davanti a suo padre. Lo aveva fatto piangendo, dicendo che sbagliava e promettendo che non gli sarebbe importato quante ore di tutoraggio avrebbe dovuto fare, quante lezioni avrebbe dovuto recuperare o quanto tardi fosse andato a dormire per studiare. Chiedeva solo che suo padre firmasse il modulo del consenso per il viaggio della maturità, ma venne respinto con indifferenza.

«Non sei nella posizione di negoziare con me, dal momento che sei un perdente che non riesce neanche a passare gli esami.»

«Papà…»

«Lo faccio per il tuo bene, quando sarai grande capirai e mi ringrazierai.»

Quindi, non era nella foto del viaggio del diploma, così come non era nell’album della classe. C’erano tutte le foto dei suoi compagni, tranne la sua. Tutto quello che gli rimaneva erano una serie di premi e primi posti, abbastanza da ricoprire intere pareti, così da fare invidia ai genitori degli altri. Non c’erano però le foto della sua vita, nessuna foto fatta con i compagni di classe. 

Si sentì un colpo alla porta. «Fratello Shou Yi, posso entrare?» Un ragazzino in piedi nel corridoio, aveva bussato alla porta mentre chiedeva con cautela il permesso.

Pei Shou Yi si alzò e andò verso la porta, dopo averla aperta vede il cugino che aveva dieci anni in meno di lui e domandò: «Cosa fai qui?»

Gao Shi De sollevò il suo libro di fiabe e lo mostrò al cugino: «Posso leggere nella tua stanza? Farò il bravo in un angolo e non ti disturberò mentre studi, va bene?»

Il bambino fece come aveva detto, si sedette a gambe incrociate in un angolo della stanza, quello più lontano dalla scrivania, e sfogliò il libro di fiabe senza fare rumore. Da quella volta il suo cuginetto andava spesso a casa sua, chiedendo di vedere Pei Shou Yi per farsi spiegare i compiti. Questo gesto aveva soddisfatto suo padre, inoltre Gao Shi De era un bambino con ottimi voti, così accettò che Pei Shou Yi facesse da insegnante al suo cuginetto. 

Gao Shi De andò da lui una seconda e una terza volta, finché Pei Shou Yi perse la pazienza e, quando il bambino entrò nella sua stanza e si sedette per fare i compiti da solo, chiese: «Non hai bisogno che ti aiuti a fare i compiti, perché vieni a casa mia?»

Perché questo bambino non lo teneva a distanza come tutti gli altri? 

Gao Shi De posò la matita, guardò il cugino che aveva dieci anni più di lui e rispose seriamente: «Perché se io sono qui, tu non sei solo.»

«Solo? Pensi che io sia…» si interruppe improvvisamente, voleva ribattere, ma aggrottò improvvisamente la fronte. «Solo… sono solo?» Pei Shou Yi continuava a ripetere quelle parole, come se sentisse un vuoto nel petto che lentamente iniziava a diffondersi ovunque e che solo lui riusciva a percepire. 

**********

Parco Divertimenti.

«Fratello Shou Yi, guarda!» Il bambino, con un po’ di astuzia, aveva fatto promettere ai genitori di Pei Shou Yi che se fosse arrivato primo agli esami, il cugino lo avrebbe portato al parco divertimenti e loro non avevano potuto fare a meno di accettare. 

Gao Shi De, con la mano stretta in quella del cugino, indicò la giostra dove molti bambini stavano giocando e disse: «Andiamo anche noi.»

«Sì.» Pei Shou Yi tirò fuori il suo portafoglio, prese una banconota da mille yuan e comprò i gettoni alla biglietteria, poi con il cugino si mise in fondo alla fila di attesa. 

«Sei ancora infelice?» Il bambino alzò lo sguardo verso il cugino mentre gli stringeva la mano un po’ più forte. 

«Hai mentito e mi hai portato qui solo per vedermi felice?»

«Sì!»

Pei Shou Yi sospirò e si abbassò per guardare suo cugino negli occhi; era invidioso del sorriso di Gao Shi De perché non lo aveva perso neanche durante il divorzio dei suoi genitori. Gli accarezzo la testa e disse: «Non riesco proprio a sentirla, è inutile.»

Da quando aveva detto a Gao Shi De che non sapeva cosa fosse la felicità, il bambino aveva cercato in tutti i modi di farlo sentire felice. Gli leggeva il suo libro di fiabe preferito, gli portava cose divertenti, gli faceva mangiare la torta che non riusciva a finire e faceva tutte le battute divertenti che i suoi compagni di classe facevano a scuola. Sembrava però che Pei Shou Yi non capisse, non riusciva a capire gli sforzi del bambino, né perché gli importava così tanto. Perché voleva a tutti i costi che fosse felice? 

Neanche i suoi genitori, che lo avevano messo al mondo, prestavano attenzione a lui; e Gao Shi De quando guardava il volto di suo cugino aveva notato che c’era la stessa espressione che aveva visto sul volto della madre dopo il divorzio. L’espressione di una persona a cui avevano tolto il sorriso. 

Il bambino guardò il cugino accovacciato davanti a lui, strinse i pugni e parlò con serietà: «Non fa niente perché la prossima volta andremo allo zoo. Sicuramente vedere gli animali ti farà sentire felice!»

«Grazie.» Pei Shou Yi imitò l’espressione che una persona normale in quel momento avrebbe fatto; semplicemente sorrise in modo falso, perché se c’erano ancora persone disposte ad impegnarsi per lui, allora anche lui avrebbe continuato a provare.  

Lo avrebbe fatto cercando di imitare una persona che riesce a ridere e piangere, che prova ancora delle emozioni. 

**********

Ospedale.

«No, è impossibile! Mio figlio non può avere un disturbo affettivo! Ha i voti migliori della scuola ed è entrato all’università, nella facoltà di Medicina! Solo il 2% riesce ad entrarci, come può avere un disturbo affettivo?»

Nell’ufficio, in cui vi erano tre persone, la donna urlava mentre stringeva tra le mani il camice bianco del medico: «Direttrice, mi ascolti… suo figlio ha un disturbo affettivo chiamato apatia da anestesia emotiva.» 

Il primario di Psichiatria cercava di spiegare alla donna, che oltre a essere la madre di Pei Shou Yi era anche il suo direttore, che la diagnosi fatta al ragazzo era frutto di mesi di consulti psicologici. Seduto in attesa, Pei Shou Yi aspettava seduto mentre guardava lo psichiatra e sua madre parlare in modo nervoso. Era come se tutto quello che stava succedendo non lo riguardasse, si sentiva come uno spettatore che guardava il medico e la madre che discutevano senza provare nulla. 

«Shi De, non riesco a sentirmi felice.» 

Quella frase aveva dato origine a tutto. In principio si era chiesto perché suo cugino rideva guardando certi video, come mai la stessa immagine non gli provocava alcuna sensazione. Era come se stesse cercando di trovare soluzioni a esercizi impossibili, e per questo continuava ad aggrapparsi a Gao Shi De, domandando in continuazione. 

Shi De, perché sei felice? Shi De perché sei arrabbiato? Perché hai paura? Perché sei timido?

Aveva capito che c’era qualcosa di rotto in lui, era come se tutte le emozioni fossero isolate, così isolate che non riusciva più a sentirle. Si aggrappava a suo cugino perché gli stava vicino e rispondeva instancabilmente alle sue domande. Per questo lottava nella speranza di capire le sue emozioni e diventare una persona umana, che non sarebbe stata emarginata perché diversa.  

Era cresciuto in un ambiente distorto, tra rimproveri umilianti e metodi educativi oppressivi; tutto ciò si era accumulato in lui, proprio come il vapore in una pentola a pressione e, quando aveva avuto la conferma del suo ingresso nella facoltà di Medicina dell’Università T, era ormai arrivato sul punto di esplodere.  

Durante la cena in cui i suoi genitori avevano invitato i partenti per festeggiare, mentre stavano annunciando che il loro figlio era entrato nella facoltà di medicina desiderata, lui era svenuto davanti a tutti. Lo avevano portato nell’ospedale gestito da sua madre dove aveva trascorso innumerevoli giorni sdraiato sul letto.

Dopo circa mezzo mese, nonostante le attrezzature utilizzate per la diagnostica, non avevano trovato nulla che non andasse in lui. Quando era subentrato lo psichiatra, dopo sei mesi di sedute e consulenze, quest’ultimo aveva confermato che era la sua mente a essere malata. 

Soffriva di disordine affettivo, l’apatia affettiva era un concatenarsi della sua situazione. I pazienti affetti da questo disturbo avevano una mancanza di orgoglio, senso della vergogna, autostima, oltre alla tendenza ad autocolpevolizzarsi e, spesso, non erano consapevoli del loro disagio. Le persone sane soffrono se un amico è malato, provano compassione quando una persona piange accanto a loro; ma una persona con un disturbo affettivo sembra estranea a tutto quello che la circonda. Non porgeranno un fazzoletto alla persona che piange accanto a loro, non chiederanno dei loro cari se sono al letto malati, perché non sanno come chiedere aiuto. La gente normale pensa che siano privi di emozioni e distaccati, ma ignorano che sono semplicemente esclusi da muri emotivi che li rendono psicologicamente dei disabili. 

«Direttrice, si calmi. La cosa più importante, oltre ai farmaci…» Il dottore, dopo aver dato un’occhiata al ragazzo seduto con indifferenza sulla panchina, sospirò cercando di essere convincente: «Lei sa che in questo caso la cura farmacologica è solo una parte del trattamento. La cosa più importante è ridurre la pressione psicologica, come il problema riguardo i voti.» 

Essendo il Primario di Psichiatria e suo medico curante, sapeva cosa succedeva in casa della direttrice, ed era dispiaciuto che un giovane così promettente fosse stato costretto a sigillare il suo cuore.

Essendo un estraneo però, non c’era niente che potesse fare. Non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo, un giorno, sarebbe diventato un suo paziente. 

«La smetta di dire sciocchezze! Mio figlio non è malato!»

La donna spinse via il medico, si avvicinò a Pei Shou Yi e lo tirò per un braccio, trascinandolo fuori dalla clinica.

«Direttrice, si calmi e mi ascolti, la prego…»

«Non capisco perché stia parlando di pressione. Mio figlio è bravissimo, come fa ad essere sotto pressione? Sono sorpresa di sapere che lei sia ancora un’autorità nel suo campo. Come fa a dire che mio figlio ha problemi? Ovviamente non ne ha!» 

La donna cercava di fare alzare Pei Shou Yi mentre urlava verso il medico: «Shou Yi, andiamo! Ti porterò da altri medici e scopriremo che problema fisico hai. Non accetto che possa essere mentale, sicuramente non sarà così!» 

Pei Shou Yi scacciò via le dita di sua madre dal braccio, si alzò e con l’espressione che aveva “imparato” osservando gli altri, alzò gli angoli della bocca e, riproducendo un sorriso, disse: «Grazie dottore per aver diagnosticato il mio problema.» 

In tutto quel tempo si era sentito solo come un attore che aveva cercato di fingere di essere normale.

Quando dovrei ridere?
Quando dovrei essere triste?
Quando dovrei confortare qualcuno?
Quando dovrei dare un fazzoletto a qualcuno che piange? 

Finalmente la sua anormalità aveva trovato una risposta: disordine affettivo, un disordine psicologico. 

«Mamma, grazie per avermi cresciuto. Ringrazia anche papà per tutto, grazie a lui da adesso posso provvedere a me stesso.»

Pei Shou Yi sembrava sollevato, strinse la mano di sua madre mostrandole un falso sorriso. 

«Shou Yi cosa stai dicendo? Non capisco.» La donna era consapevole della stranezza di suo figlio, quello che aveva davanti in quel momento era diverso dal suo solito figlio e questo le provocava ansia e panico.

«Tu vuoi un figlio che sia sempre il numero uno e io sono così stanco di farlo. Ogni mese vi rimborserò i soldi spesi per avermi mantenuto. Da oggi, andrò via di casa e vivrò da solo.»  

Finché avesse vissuto insieme ai suoi genitori, che erano più preoccupati dell’apparenza che di altro, non sarebbe mai riuscito a essere normale. 

Non avrebbe mai più avuto paura di non essere eccellente, non sarebbe mai più stato umiliato in pubblico e non si sarebbe mai più sentito un incapace agli occhi dei suoi genitori. 

Quando la donna sentì le parole di suo figlio, il suo volto divenne blu mentre lo guardava con un’espressione minacciosa: «Come pensi di poter completare i tuoi studi? Senza di noi, non sarai in grado di fare niente.»

«Forse, ma almeno vivrò da essere umano libero e non da elefante in schiavitù.» 

«Elefante?»

«Mamma, ti ricordi quando abbiamo fatto quel viaggio di famiglia in Thailandia? Avevamo visto un elefante legato ad una catena e costretto a trasportare turisti. Non importava se la catena di ferro gli segnava la zampa e la faceva sanguinare, per non essere picchiato doveva continuare a lavorare. Con voi, per tutti questi anni, io mi sono sentito come quell’elefante. Preso in contropiede dalle vostre aspettative che diventavano sempre più alte. Adesso sono stanco e non voglio più questa catena! Papà ha detto che preferirebbe non avere un figlio, se non fosse sano. I medici dicono che ho problemi e non sono sano, quindi per lui è meglio che suo figlio sia morto.» Pei Shou Yi aprì le braccia e strinse forte sua madre per l’ultima volta. «Mamma, io vado. Prenditi cura di te stessa.» Poi la lasciò andare e si diresse verso la porta.

«Pei Shou Yi! Pei Shou Yi, ritorna…» 

«Tra due mesi sarò capodanno ed io potrò fare un cenone che non sia freddo. Questa cosa è fantastica!» 

Dopo aver detto quelle ultime parole, spinse la porta e uscì dalla clinica, riuscì a sentire solo la voce piena di supplica e rabbia della madre, mentre la porta si chiudeva… 

«No! Pei Shou Yi, torna indietro! Torna indietro!»

Poco dopo lasciò la casa dei suoi genitori e andò in affitto. Con la fama da miglior studente dell’Università T, non era stato difficile trovare un lavoro come tutor. I genitori degli studenti erano disposti a pagare una tariffa oraria più alta per assumerlo come tutor per il loro figlio, pensavano che se fosse stato lui il loro insegnante, sarebbero entrati all’Università T proprio come il signor Pei.

Facendo affidamento sul suo stipendio da tutor e lavorando part-time, si era laureato in medicina, ottenendo con successo la laurea e poi un suo amico lo aveva raccomandato come medico scolastico in una scuola superiore. 

«No, il medico della scuola, no!» 

«Litiga ancora se hai il coraggio! Qui dentro non si urla e non si litiga!» 

A causa dei litigi tra classi, gli studenti maschi avevano trasformato piccoli screzi in vere e proprie risse tra bande. Quest’ultimi, alla fine, erano finiti seduti e obbedienti davanti al medico scolastico senza scrupoli. 

«Non puoi toccare l’acqua per due settimane, se per caso si infetta la ferita, ti picchierò. Hai capito?» 

«Sì, sì, capito.»

«Che altro devi dire?»

«Grazie dottore.» 

«Vattene!» 

«Sì, grazie dottore.»

Dopo aver medicato le ferite, i ragazzi lo ringraziarono gridando insieme e scapparono veloci dal centro sanitario.

Solo un ragazzo aveva fatto il contrario, mentre tutti scappavano fuori, lui era entrato nel centro sanitario con una ciotola di noodles istantanei tra le mani. Entrò nel territorio di Pei Shou Yi e con un sorriso ingenuo sul volto, gli porse gli spaghetti e disse con allegria: «Vuoi mangiare dei noodles?»

**********

Università, centro sanitario.

Pei Shou Yi guardò la tazza che era poggiata sul tavolo, con un angolo sbeccato e si ricordò del colpevole che aveva rotto la tazza. Nel liceo dove era stato medico scolastico, c’era un ragazzo di nome Yu Zhen Xuan che, oltre a non avere paura di lui, spesso andava nel suo ambulatorio per rubargli gli spaghetti istantanei nascosti nei modellini anatomici. Non importava quante volte avesse provato a scacciarlo, era stato inutile. 

«Quel ragazzo dovrebbe essere cresciuto!»

Pei Shou Yi con un sorriso, mise delicatamente la tazza nel cassetto, si alzò, prese la borsa e uscì dal centro sanitario del campus universitario, chiudendosi la porta alle spalle.

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