A TALE OF THOUSAND STARS – CAPITOLO 5

L’ufficiale con la faccia da poker era tornato da tempo alla sua base. Tuttavia, prima di andarsene, non aveva dimenticato di ricordare a Tian che al giovane non era permesso girovagare per il villaggio di Akha che conservava una lunga tradizione. 

L’ingresso del villaggio era decorato con un Loh Khong, un arco di legno duro o un lungo tronco di bambù con una trave sopra, con incisioni che assomigliavano ad una tromba o ad  un uccello.  A nessun estraneo era consentito entrare senza permesso e la tradizione prevedeva che i visitatori dovessero aspettare fuori fino a quando un abitante del villaggio non fosse uscito per salutarli, oppure, avrebbero dovuto chiamare qualcuno nel villaggio per invitarli ad essere parte della tribù. Tian, però, era arrivato di notte dall’ingresso sul retro. Se si fosse trattato delle altre comunità, sarebbero state più rigide e lo avrebbero lasciato a dormire senza tetto sopra la testa e Tian avrebbe avuto un vero assaggio del campeggio nella foresta. Fortunatamente, il villaggio di Pha Pan Dao sembrava essere di mentalità aperta e aveva accolto con favore i cambiamenti dal mondo esterno.  

Avevano deciso di tenere una cerimonia di benvenuto per il nuovo insegnante quella sera. 

Khama Bieng Lae si offrì volontario per riaccompagnare Tian alla sua capanna dalla cascata. Lungo la strada, l’anziano gli riferì che il capitano Phupha gli aveva detto di chiedere ai giovani del villaggio di riempire d’acqua un vaso di terracotta e anche di preparare un pasto prima dell’alba. Non aveva idea del perché il capitano avesse portato Tian al ruscello che fungeva da lavanderia del villaggio.  

Tian non poté fare a meno di sentirsi infastidito dal fatto che l’ufficiale fosse riuscito a prenderlo in giro. Strinse i denti prima di mormorare un’osservazione sarcastica.

«Forse voleva farmi sudare un po’.» 

 «Uhm.. sono rimasto sorpreso quando ha acconsentito di prendersi la responsabilità di avere cura di te. Lo conoscevi già, Kru Tian?»

La domanda lo sbalordì. Non aveva mai conosciuto prima di allora il capitano, ma il suo cuore sì.

Tian scosse la testa. Una volta arrivati ​​alla capanna, Tian ringraziò l’anziano per avergli dato del riso appiccicoso appena cotto e del manzo salato essiccato con cui riempirsi lo stomaco prima della festa serale. Poi, non avendo un posto dove andare iniziò a esplorare l’alloggio.

Per prima cosa, Tian andò sul retro della capanna e sollevò il coperchio di ferro zincato dal vaso di terracotta per controllare, curioso. Vedendo la giara colma d’acqua dolce il suo bel viso si accigliò. Sapeva in fondo che il massiccio ufficiale era premuroso e generoso, ma non poteva fare a meno di imprecare contro di lui dopo aver realizzato che era stato ingannato a camminare per un bagno.

«Fanculo!»  Ripose il coperchio per sfogare la sua frustrazione.

Per fortuna aveva con sé il suo immunosoppressore altrimenti avrebbe cominciato a tremare tutto. Anche se stava meglio fisicamente, se si fosse sforzato troppo la sua condizione avrebbe potuto peggiorare. 

Tian decise di esplorare l’altra parte della capanna. Una piccola stanza singola costruita con bambù intrecciati abbastanza stretti da non lasciare buchi da cui sbirciare era sormontata da un tetto di paglia si ergeva solitaria, con una foresta rada come sfondo. Una volta aperta la porta, Tian sentì un odore sgradevole e vide un buco nel terreno con sopra una tavola di legno. La tavola aveva un buco nel mezzo, un’apertura per i rifiuti umani. 

Tian aggrottò la fronte, sbattendo la porta e voltando le spalle alla minuscola stanza. La vita lì sembrava più difficile di quanto si aspettasse. Si asciugò il sudore dalla fronte, sentendosi scoraggiato e tornò nello spazio vuoto sotto la capanna che fungeva da seminterrato rialzato.

Una stuoia stava sotto il seminterrato e su di essa c’era un braciere che bruciava carbone come combustibile, una pentola, una padella con un’ammaccatura, un pirofila di terracotta ed una brocca di legno cilindrica con un coperchio che non aveva idea di cosa fosse. Il fondo della pentola era annerito, ma l’interno era pulito, pronto per l’uso, come se qualcuno l’avesse già lavato.  

Forse quello era un messaggio per lui, era giunta l’ora di cucinare da solo. Tian si accasciò sulla lettiga esausto. Quando era entrato per la prima volta in un campo scout da bambino, gli era stato affidato il compito di cucina che lui proprio non voleva fare. Alla fine venne fuori  che il riso che aveva preparato era crudo, l’omelette bruciata ed il pollo fritto era ancora al sangue. Dopo quell’incidente nessuno gli aveva permesso di preparare nulla.  

Sarebbe morto di fame… Tian era mortificato, aveva voglia di fare le valigie e andare via subito. 

Risalì le scale fatiscenti fino alla sua stanza, ma scelse di restare fuori. La fresca brezza e la calda luce del sole lo calmarono mentre sedeva in veranda, appoggiato a un palo lasciando pendere i suoi piedi a penzoloni e guardando gli alberi ondeggianti.  

Lentamente si stava addormentando quando una voce familiare parlò.

«Kru…Kru Tian.» Era il Sergente Yod.

Il soldato indossava una maglietta verde-kaki e una gilet smanicato pieno di tasche entrambi mimetici e quello significava che aveva completato il suo turno.  Tian si stropicciò gli occhi, assonnato,e rispose qualche respiro dopo.  

«Che succede sergente?»

«Sono le 17:00. Tutti sono pronti per la cerimonia di benvenuto e ti aspettano in cortile. Per favore, vieni con me o perderemo il momento propizio.» Il ragazzo di città annuì e si stiracchiò pigramente. Si chinò per allacciarsi i lacci delle scarpe da ginnastica. «Non devi farne un grosso problema…»

«È la tradizione di Akha. Sono gentili con te quindi tutto ciò che devi fare è accettare la loro gentilezza. Non pensarci troppo. « Il soldato, che aveva la stessa età di suo padre, gli rivolse un ampio sorriso mentre si preparava: «Vedendoti ora alla luce, sei solo un ragazzo.»  

Tian alzò le mani per sistemarsi i capelli disordinati, sentendosi nervoso. 

Di solito il suo aspetto era sempre perfetto dalla testa ai piedi, con abiti puliti ed eleganti per apparire una persona ben curata, ma là, privato di tutte le sue cose, era solo un ragazzo normale che solo da poco aveva superato la sua adolescenza. Tian non sapeva come comportarsi mentre il soldato più anziano lo prendeva in giro con tanta gentilezza e cordialità. 

Le guance impeccabili si arrossarono per l’imbarazzo e cambiò l’argomento della conversazione: «Perché non andiamo direttamente al villaggio?»  

Il Sergente Yod, che stava guidando il giovane lungo la strada fino all’ingresso sul retro, rispose:  «La cerimonia si terrà davanti al villaggio. Ecco perché stiamo facendo una deviazione.»  Il sole stava tramontando ed una tonalità arancione scendeva sulle catene montuose mentre l’aria fredda iniziava a lambire il villaggio.  

Tian si strinse nella giacca per riscaldarsi. La temperatura era scesa all’improvviso eppure aveva ancora caldo perché era in movimento, ma si rese conto che una volta che avrebbe smesso di camminare, sarebbe rimasto congelato fino ad avere la mascella bloccata. Il sergente maggiore lo portò su un pendio roccioso ed indicò verso l’alto.  

«Da qui, vai lassù. Non è lontano, solo mezzo chilometro. Quando vedi l’ingresso del villaggio, grida e chiedi il permesso di entrare.»  

«Non vieni con me?» 

«Non posso. Da qui devi proseguire da solo. Taglierò per la foresta e mi unirò agli altri che stanno ti stanno aspettando lassù. Tieni le mani a posto e non toccare nulla.»  Il sergente si voltò di scatto e si diresse nella fitta foresta prima di scomparire dalla sua vista. 

Una persona comune si sarebbe facilmente persa lungo una strada del genere a meno che non fosse abituata. Rimasto solo, Tian si grattò la testa. Non sapendo cosa fare per un bel po’ di minuti, alla fine si diede dei piccoli colpi su entrambe le guance per darsi coraggio.

Fanculo! Sono arrivato fin qui. Andiamo! 

Il nuovo insegnante volontario camminò contro il vento freddo e la leggera nebbia che stava risalendo dal terreno nell’aria. 

L’oscurità scese lentamente. Il suono dell’erba alta che ondeggiava su entrambi i lati del sentiero creò nella sua testa una scena da film horror. Tian accelerò i suoi passi in modo da poter correre per la paura. Alla fine del ripido sentiero, una lunga ombra scura veniva proiettata verso il basso. Quando si avvicinò Tian vide che si trattava di un arco fatto di robusti pali di legno. Una spessa trave era posta in cima, decorata con incisioni a forma di spade, uccelli e vicino ai pali c’erano due statue di legno intagliato che sembravano essere un uomo e una donna. 

Tian guardò l’arco attraverso l’oscurità con molta attenzione. Tutto ciò che vide erano file di archi, che conducevano all’ingresso. Tian era circondato da un silenzio assordante e nessun’altra anima lo stava aspettando come aveva detto il soldato. All’improvviso, sentì freddo e la pelle d’oca mentre ricordava un documentario sulla fede delle tribù delle colline negli spiriti e nei fantasmi.

La misteriosa solitudine lo spaventò. Non riusciva a muovere la mascella perché tormentato dalla sua immaginazione le parole gli rimasero in gola. Chiuse gli occhi, affondando le unghie nei palmi per calmarsi. 

«Po…posso…posso entrare?» 

SILENZIO. Come una città fantasma. 

Pochi secondi dopo sentì degli strani sussurri, in una lingua madre che non riusciva a decifrare. Le voci echeggiavano avanti e indietro sulle montagne che abbracciavano quel luogo.  

Apparve prima alla sua sinistra, poi a destra, ed infine si formò in un unico ronzio basso che salì intorno a lui. Quel posto era infestato davvero! Prima che il ragazzo di città rimanesse scioccato dal terrore udì una voce profonda e familiare.  

«È il grido più forte che puoi fare?» 

Tutta la sua paura svanì proprio lì, sostituita dall’irritazione. L’ultima corda della sua pazienza si spezzò. 

Fanculo. 

Era una qualche specie di nonnismo da campo di addestramento? 

Quell’enorme coglione di Phupha!  

Tian gridò di nuovo nel buio senza pensarci due volte: «Vieni a prendermi! Mi si stanno gelando le palle!!»  

Tutto cadde di nuovo nel silenzio come se stessero traducendo le sue parole e poi, fragorose risate scoppiarono da dietro gli oscuri e fitti cespugli e alberi, seguite da torce che illuminarono l’intero spazio, scacciando la paura e il freddo dalla temperatura gelida. Un gruppo di uomini vestiti con camicie a maniche lunghe color indaco intrecciate a mano e con riccioli colorati in tre file sull’orlo, emersero dal bosco con sorrisi ampi e accoglienti in volto.  

Tian non aveva voglia di socializzare, quindi rivolse loro un sorriso asciutto e si precipitò attraverso l’ingresso. Aveva individuato alcune persone in abiti strani insieme al capitano Phupha, al sergente Yod e ad alcuni soldati che non aveva mai incontrato prima. Prima di aprir bocca, Khama Bieng Lae e altri giovani uomini del villaggio lo guidarono verso un grande cortile con un fuoco ardente nel mezzo. Le donne completamente vestite con gonne con motivi simili alle camicie degli uomini e cappelli con la punta avvolta da un filo, decorati con arnesi argentati che tintinnavano e suonavano come campane mentre si muovevano, li aspettavano proprio là con i bambini. 

Jou Ma ovvero il leader spirituale del villaggio Akha, si avvicinò al nuovo arrivato. Le rughe sul suo viso trasudavano un’aria di severità che esigeva rispetto e Tian non riuscì quasi a respirare per il nervosismo. L’anziano sollevò un bastone intimidatorio di legno, contorto e irregolare facendolo roteare intorno al suo viso, cantando un mantra con una voce roca, ma potente. 

Dopo le ultime parole, il bastone ricoperto da una superficie che sembrava pelle di rospo quasi lo colpì in mezzo alla testa. Tian piegò il collo e sollevò le mani in un wai sopra il capo, supplicando e proteggendosi allo stesso tempo. Una mano grossa gli diede una leggera pacca sulla schiena. 

«Non aver paura insegnante. Jou Ma ti sta facendo una baby shower.»  Khama Bieng Lae sorrise, divertita dalla reazione allarmata del giovane. 

Sentendo una frase in una lingua che comprendeva, l’ansia del ragazzo di città si placò.  Abbassò le braccia e la punta del bastone lo colpì proprio al centro della fronte. Non aveva fatto per niente male. Tian aprì lentamente gli occhi e guardò l’anziano che gli stava sorridendo. Dopotutto, era un uomo benevolo. Il giovane si picchiettò la fronte e sentì una sostanza appiccicosa e umida sulla punta del dito.  

«È lime rosso. Jou Ma te ti ha marchiato per proteggerti dagli spiriti maligni nei boschi.»  Spiegò Bieng Lae e Tian si lasciò sfuggire un grande sospiro di sollievo.  

Cominciò a levarsi una musica creata con gli strumenti locali, guidati da un La Jae, iniziò un’ armonica a bocca dalla forma strana, seguita da un flauto a tre fori chiamato Chiuliu e da un tom-tom.  Anche se era una cerimonia di benvenuto per il nuovo insegnante volontario, quella era anche l’occasione in cui i giovani uomini e le giovani donne del villaggio potevano avere interazioni fra loro.  

Cantarono e ballarono intorno al fuoco ricordando a Tian i tempi del campo scout. Bieng Lae e gli anziani del villaggio legarono fili colorati su ciascuno dei suoi polsi come una benedizione e come l’invito per il suo spirito a risiedere all’interno del corpo. Non usavano fili bianchi sacri comunemente visti in tali cerimonie, non era una cosa familiare eppure era altrettanto bella.

Tian alzò goffamente le mani per eseguire un wai, non essendo abituato a ricevere gentilezza da estranei. Venivano da mondi diversi, sia per la lingua che per lo stile di vita.  L’ultimo uomo a dargli una benedizione si presentò con una nappa rossa e bianca in mano.  Era ancora arrabbiato per essere stato preso in giro ed essersi comportato come un pazzo all’ingresso e aver tirato fuori quelle parole taglienti. 

«Con la figlia di chi sei sposato? Hai il diritto di essere uno di loro e di darmi questo filo?»  

Gli intensi occhi scuri lo guardarono mentre il capitano iniziava ad avvolgere la nappa intorno alla pelle chiara. «Ho ricevuto offerte per sposarne qualcuna, ma non ho detto di sì a nessuna.» La risposta impassibile gli diede sui nervi. 

«Non ti farebbe male comportarti in modo più umile, capitano.»

Il capitano Phupha non disse una parola come se non fosse interessato al quel ping pong verbale senza senso. Il nodo da lui fatto non era stretto perché fosse facile da sciogliere, ma il filo continuava ad allentarsi. 

Tian era stanco di tenere la mano alzata. «Va tutto bene. Puoi farlo più stretto.» 

Una nuova dolce e profonda voce lo interruppe. «Così voi due potrete essere legati fino alla prossima vita?» Un giovane alto e dalla pelle chiara apparve al fianco del capitano. Lo spiritoso, malizioso con  occhi a mandorla in le cui risplendevano bagliori d’argento dopo aver fissato  il filo sul polso di Tian e sbottò. 

«Filo rosso?! Bene, bene. Bravo il mio ragazzo Phu. Vuoi fidanzarti con lui adesso, sì?» Finì con una forte risatina.  

Il capitano finì di fare il nodo e si voltò a lanciare un’occhiataccia all’amico: «Smettila e sparisci!» 

«Non lo farò!» L’altro ribatté e si voltò verso il nuovo insegnante volontario, un giovane snello e dall’aspetto ordinato. Rivolse a Tian un sorriso furbo: «Ciao Nong Tian. Sono Wasant, il medico militare nello stesso campo di questo mostro. Puoi chiamarmi dottor Nam come fanno gli altri.»

Quindi Tian non era l’unico a pensare che l’altezza di Phupha fosse insolita per la media degli uomini thailandesi. Tian sentì un’immediata affinità con il medico militare. Sembrava avesse la stessa personalità di Tay anche se un pò più giocosa. 

«Ciao dottor Nam.» Tian alzò la mano per eseguire un wai senza alcuna esitazione. Phupha incrociò le braccia mentre guardava il mascalzone con un grande sorriso stampato su tutto il viso, sentendosi irritato. 

Perché Tian stava recitando con lui, facendogli venire voglia di prendere a schiaffi le natiche di quel ragazzo con un bastone, ma si comportava normalmente con gli altri? 

Il giovane ufficiale emise un profondo sospiro. 

«Andiamo. Zio Bieng Lae e tutti stanno aspettando di cenare con te.» Fece un gesto verso la stuoia che si trovava sul bordo di un cortile dove erano seduti tutti gli anziani del villaggio.  

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Khama Bieng Lae ordinò ai suoi uomini di mettere un’altra lettiga accanto alla prima in modo che i soldati potessero unirsi al banchetto. Oltre al capitano Phupha, al dottor Wasant e al sergente Yodchai c’erano altri due ranger della milizia. Di solito, la milizia era locale e i due avevano familiarità con gli abitanti del villaggio a causa della lingua che condividevano. Il giovane capitano che era stato di stanza per anni alla base operativa di Pha Phra Pirun trascorrendo tanto di quel tempo con la gente del posto, mescolandosi al punto da essere considerato uno di loro. Non era stata una sorpresa che gli abitanti del villaggio gli avessero concesso l’onore di legare il polso del nuovo arrivato come se fosse uno dei loro anziani. 

Il sergente Yod aveva riferito a Tian anche che era stato proprio il capitano Phupha a spingere per il programma educativo per quella comunità Akha, in modo che loro imparassero la lingua thailandese.  Saper leggere e scrivere li avrebbe aiutati a non essere ingannati dagli uomini di città, cosa comune in passato. 

«Quando la scuola è stata fondata quattro anni fa, gli abitanti del villaggio si sono riversati qui per studiare. Una volta istruiti, i giovani lungimiranti sono andati in città per trovare un lavoro. Il capitano si è chiesto se avesse fatto la scelta giusta e  il programma è stato quasi interrotto. Ma i poveri ragazzi… volevano solo studiare «

«Cosa c’è di sbagliato nel trovare un lavoro in città? Una volta che guadagneranno di più avranno una vita migliore, no?» Chiese Tian confuso.  

Il sergente Yod si voltò e gli rivolse un sorriso complice come quello di qualcuno che aveva visto abbastanza il mondo. «Se tutti i giovani se ne vanno, tutto ciò che resta sono i vecchi e i bambini, possiamo ancora chiamarlo ‘un villaggio’? Lo scopo di questa scuola è quello di educare le persone in zone remote così la generazione più giovane può far crescere il proprio villaggio natale e salvarlo dall’essere sfruttato da investitori o intermediari. Almeno possono comunicare in thailandese.»

«Forse se ne andranno per un po’ e poi torneranno.» Tian sapeva che la sua opinione era troppo ottimista. 

«Fare più soldi faticando meno rispetto all’agricoltura. Chi vorrebbe tornare?» La risposta non era arrivata dal sergente Yod, ma da qualcuno che era stato menzionato nella conversazione.  

«Le luci della città sono terribili, ma belle. La gente dell’entroterra non può fare a meno di essere attratta.» Il capitano Phupha fissò gli occhi marroni a mandorla: «Inoltre, non ho incontrato persone di città capaci di convivere con la vita tranquilla e poco affascinante nella foresta.» 

La semplice dichiarazione fece voltare Tian che guardò i piatti locali che la moglie di zio Bieng Lae gli aveva messo davanti. Il cibo sul vassoio di bambù intrecciato sembrava del delizioso pollo grigliato, pasta con peperoncino e verdure bollite a metà, una zuppa semplice e del riso appiccicoso: niente di straordinario che non lui potesse mangiare. 

«Mia moglie ha preparato questa cena appositamente per te. Il Nam Prik Ong non è troppo piccante, qui, provalo.» Khama Bieng Lae spinse le verdure mezze bollite verso l’ospite VIP della cena di quella sera.

Tian tacque, riflettendo su qualcosa. Quindi scelse la verdura a lui più familiare e la immerse nella pasta al peperoncino che assomigliava alla salsa degli spaghetti; aveva anche un sapore simile pensò mentre masticava il cibo, facendogli un complimento.  

«Molto delizioso. Ma come facevi a sapere che non mangio cibi piccanti?» Bieng Lae non aveva colto la domanda calcolata e diede una risposta diretta.  

«Il Cap-« Ma una voce profonda lo interruppe prima che completasse la parola. 

«Gli Akha mettono una gran quantità di peperoncino nel loro cibo tradizionale. Un ragazzo di città come te non sarebbe in grado di sopportarlo.» Phupha si voltò verso il capo del villaggio. «È così Khama?»

«Sì, è vero. Se la tua lingua non è abituata alle spezie, avrai mal di stomaco.» Bieng Lae rispose e dimenticò quello che voleva dire un attimo prima. 

«Allora Tian dovrebbe mangiare del pollo alla griglia e bere una birra con me.» Il medico militare intervenne, la sua voce acuita dall’alcol, ed afferrò la spalla di Tian mentre sollevava una lattina di birra aperta verso il giovane.  

«Ho detto al mio ragazzo di andare in città all’alba per comprare queste solo per te, sai?»  

Quando il profumo del lievito fermentato gli toccò le narici, Tian ebbe l’acquolina in bocca.  L’ex ragazzo delle feste dovette dire di no alla bevanda alcolica con profondo rammarico e rimpianto: «Non posso bere.»

«Mi prendi in giro?» Wasant guardò l’uomo sotto il suo braccio. Il ragazzo non sembrava essere un pudico. Aveva giudicato male il ragazzo?

 «Sono allergico all’alcol. Mi provoca eruzioni cutanee e non riesco a respirare.» Tian fece un sorriso imbarazzato e si mise in bocca una pallina di riso appiccicoso, essendo troppo consapevole dello sguardo intenso e curioso dell’ufficiale con la faccia da poker.

«Doc, non farlo. Overdose. Sei un tipo leggero che si sopravvaluta.» Phupha tirò via il braccio intorno alla spalla esile di Tian, forse con troppa forza, perché il dottore ubriaco ondeggiò e lasciò cadere la testa sulla robusta spalla. 

 «Perché mi gira la testa?» Il dottore dalla pelle chiara di una famiglia thailandese-cinese arrossì apparendo piuttosto affascinante sotto la luce scintillante. 

Il giovane capitano scosse la testa, un leggero sorriso gli tirò gli angoli delle labbra.  Sembrava in parte preoccupato, in parte stufo. Il nuovo insegnante volontario alzò lo sguardo, colse il momento e la coscia di pollo gli volò quasi fuori dalla bocca.  

Una scena alla Brokeback Mountain!  

Tian scacciò l’orrore dalla mente mentre il capitano allontanava la testa del dottore che ciondolò verso il sergente con un grugnito.  

«Chi ti ha comprato la birra? Li interrogherò tutti.»

Il dottor Wasant, sconfitto dai suoi stessi geni, svenne. Il suo compagno si prese la briga di riportarlo alla base operativa prima che la festa fosse finita.  

Tian guardò il massiccio ufficiale portare via il suo amico;  la sua bocca si aprì come per dire qualcosa. Tuttavia, non pronunciò una parola mentre le due ombre svanivano nell’oscurità. 

Ma hai detto che mi avresti visto più tardi…

Le labbra sottili si strinsero in una linea retta.  

Che idiota!  

Sollevò una ciotola di zuppa e se la portò alle labbra, deglutendo frustrato, ma ciò rese la moglie di Bieng Lae compiaciuta di se stessa ed il capo del villaggio batté le mani deliziato pensando che il nuovo insegnante si stesse godendo la miriade di piatti preparati appositamente per lui.  

Lo stomaco di Tian stava per scoppiare. L’orologio segnava le 21:00. Guardandosi intorno, Tian vide come gli abitanti del villaggio stavano tornando a casa uno per uno, dati i tempi di lavoro che in campagna richiedevano di alzarsi quando i galli cantavano all’alba. Solo gli anziani rimasero per bere altri alcolici fatti in casa e parlare tra loro. Il sergente Yod e i due ranger erano tramortiti, quasi fino a strisciare a terra. Tian non sapeva come gestirli così  lasciò la questione agli abitanti del villaggio.  

Diede la buonanotte a Khama Bieng Lae, il cui dialetto centrale lo stava abbandonando, la notte di baldoria continuava mentre lasciava silenziosamente il cortile del villaggio. Quella comunità Akha era piccola e semplice e Tian non aveva avuto problemi a trovare la via del ritorno al suo alloggio. Seguì le torce accese lungo il percorso ed individuò il minuscolo tetto della sua capanna una volta superate le altre case. Ad un tratto, però, fermò i suoi passi.  

La capanna era illuminata, significava che qualcuno era entrato senza il suo permesso!  

Avendo un giudizio avventato, non gli venne in mente che se fosse stato davvero un ladro, sarebbe stato in pericolo. La forma snella di Tian camminò lungo le scale ed aprì con uno strattone la porta di bambù intrecciato per rimanere sbalordito da ciò che vide. L’intruso che se ne stava inginocchiato davanti alla lampada a cherosene, si voltò lentamente verso di lui.  

«Ca…Capitano.» Tian balbettò mentre Phupha lo guardò accigliato. Perché il ragazzo si comportava come se stesse vedendo un fantasma?  

«Ti ho riempito la lampada di benzene. Puoi spegnerla se non la usi, lo sai?»  L’ufficiale gli mostrò come chiudere la valvola, senza preoccuparsi che l’altro uomo stesse ascoltando.  

Tian non riuscì a trattenere il suo sorriso. Si strofinò il viso un paio di volte per calmarsi e chiese: «Come sei arrivato?» 

 «Con la moto.» 

Sorprendentemente Tian non era infastidito da quella risposta frizzante e impassibile come accadeva di solito. «Non sei tornato alla base con il dottor Nam?»  

Il giovane capitano cadde in un breve silenzio prima di dire qualcosa che fece sobbalzare il cuore di Tian.

«Ma ti ho dato la mia parola.»

«E il dottore?»

 «Stava vomitando nella sua stanza.» Phupha iniziò a perdere la pazienza.  

«Sei preoccupato per lui?» Tian fece una smorfia, infastidito. 

«Sei stato tu a preoccuparti per lui.» Troppo preoccupato. Il capitano rifletté sul motivo per cui il ragazzo di città avesse iniziato a litigare con lui e se ne rese conto all’improvviso.  

«Pensavi che mi fossi dimenticato della promessa?» Quelle parole lo attraversarono e le guance lisce si arrossarono. La bocca di Tian si spalancò prima che sbottasse.  

«Cosa? Io? Assolutamente no! Come puoi anche solo pensarla in questo modo?» 

Vedendo come il giovane respingeva con veemenza la sua dichiarazione, Phupha scosse leggermente la testa, mormorando: «Ragazzino.»  

Tian era così imbarazzato, desiderava che la terra lo inghiottisse intero. Decise di cambiare argomento prima che l’altro lo mettesse di nuovo alle strette.  

«Hai detto che mi avresti insegnato ad appendere la zanzariera!»  

Il massiccio ufficiale si alzò in piedi senza opporsi ad altro. Tirò le funi che appendevano la rete senza stringerle. «È facile. Basta tirare i quattro angoli e legarli bene.»  

Aspettò che l’insegnante novizio provasse, ma l’altro uomo non si mosse.  

«Non voglio rovinare le cose. La rete è vecchia. Non voglio romperla.» 

«Quindi vuoi che lo faccia per te?»  

L’ufficiale mirava al sarcasmo, ma non si aspettava che Tian gli facesse un rapido cenno del capo. Phupha emise un profondo sospiro e tirò agilmente la rete dritta. «Quando vai a letto, rimbocca i quattro angoli sotto il materasso in modo che gli insetti non possano strisciare dentro.»  

«È cieco o qualcosa del genere? I buchi sono più grandi degli insetti…» mormorò Tian a se stesso, ma la testa del capitano si voltò.  

«Che cosa hai appena detto?» 

 «Niente.» Tian agitò la mano, negando rapidamente. «Cosa dovrei fare dopo?» 

 Phupha gli lanciò un’occhiata sospettosa, ma continuò a dargli istruzioni. 

«Una volta che ti svegli, arrotoli gli angoli e li appoggi sulla rete per tenerli lontani dal pavimento.» Diede dimostrazione tirando le punte della rete e arrotolandole per farle riposare al centro del telaio rettangolare.  

«Se tiro giù la rete e la infilo sotto il materasso, non intrappolerà tutte le zanzare all’interno?»

«Beh, c’è una soluzione semplice. Usa la coperta per spazzolarle via.»  

Il capitano raccolse una coperta, la fece oscillare in aria, poi abbassò di nuovo i quattro angoli per infilarla sotto il materasso.  

«Per prima cosa, rimbocchi tre angoli. Puoi finire l’ultimo quando vai a letto. Questo non lascerà nessuna apertura quando vuoi entrare e uscire dalla rete.»

L’uomo era meticoloso proprio come suo padre! Anche dopo il suo ritiro, l’ex generale ripiegava ordinatamente la sua coperta e la metteva in fondo al letto ogni mattina. Tian fischiò per il lavoro impeccabile che aveva davanti. 

«Grazie mille capitano per l’aiuto con la zanzariera. Mi laverò i denti e la faccia con la giara sul retro della capanna… dato che l’oncia è ora così piena d’acqua.» 

Tian aveva sottolineato le ultime parole per far capire che aveva scoperto tutto da Khama Bieng Lae. 

Ci volle un po’ prima che il capitano Phupha si rendesse conto di essere stato ingannato dal mascalzone per fare tutto il lavoro al suo posto. Il ragazzo lo schernì persino per averlo fatto camminare verso la cascata per fare il bagno. Eppure Tian stava canticchiando felicemente mentre lasciava la capanna.

Il bel viso si contorse mentre l’ufficiale stringeva i pugni. Avrebbe fatto un buco nel fragile pavimento proprio ora se avesse potuto! 

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Infine era arrivato il giorno in cui Tian avrebbe iniziato a lavorare come insegnante volontario. Khama Bieng Lae gli aveva portato un cestino per la colazione nella capanna del nuovo insegnante alle sette del mattino solo per scoprire che il giovane  indossava ancora i vestiti della notte precedente.Tian sorrise imbarazzato al capo del villaggio.  

Aveva davvero provato a fare il bagno, ma il vaso di terracotta aveva reso l’acqua troppo gelida per lui, quindi si era solo sciacquato la faccia e lavato i denti.  

«Il tempo qui è piuttosto… freddo.» disse cercando di nascondere il suo imbarazzo.  

«Ti abituerai. Il mese prossimo farà ancora più freddo.»  

«Farà più freddo?!» Tian fece una smorfia. Aveva sempre acceso lo scaldabagno a casa e quel posto non aveva nemmeno l’elettricità. Quanto tempo avrebbe potuto sopravvivere?  

«In alcuni anni più freddi, la temperatura è scesa sotto lo zero.» Bieng Lae aveva enfatizzato le parole per prendere in giro il giovane che ne stava raggomitolato formando una palla.

«Come hai potuto gestirlo? Non facendo il bagno?»

Il capo del villaggio rise: «Avremmo avuto tutti l’eczema se non lo ci fossimo lavati! Ecco cosa facciamo. Facciamo bollire l’acqua e mescoliamo con dell’acqua a temperatura ambiente così otteniamo l’acqua calda… Hai un bollitore nella capanna, vero?»  

«L’ho visto, ma non so come usarlo.» Confessò.  

«Non preoccuparti. Dirò al capitano Phupha di insegnarti ad accendere il fuoco.»

Sentendo il nome del capitano il ragazzo si accigliò: «Perché lui? Puoi insegnarmi tu.»

«Perché il capitano si prende cura di te e io non voglio rubargli il lavoro.» Bieng Lae rispose ironicamente, ma il cipiglio del giovane si fece più profondo. 

Tian non voleva discutere, quindi iniziò a sgranocchiare il cibo incurante se la sua lingua si riempiva di vesciche: riso bollito caldo appena cotto con tonnellate di verdure. Khama Bieng Lae accompagnò il nuovo insegnante volontario lungo il percorso che portava ad una piccola scuola dove i bambini a Pha Pan Dao e nei villaggi vicini studiavano insieme. Era situata in un punto alto sulla scogliera ad un chilometro a piedi. 

Dopo un po’, Tian sentì l’inno nazionale thailandese cantato con un leggero accento provenire da lontano. La bandiera rettangolare che sventolante sopra la fitta macchia davanti a lui, lo fece fermare lungo la strada, guardando in alto. La bandiera nazionale thailandese.  La vecchia bandiera sbiadita, usata per molto tempo, scivolò lentamente su lungo il palo che era un semplice gambo di bambù con una carrucola. Era uno spettacolo familiare, ma quante persone conoscevano il vero significato di quella bandiera?  

«I nostri antenati adoravano questa terra, sai?» Disse Bieng Lae vedendo come l’uomo più giovane se ne stava fermo. Si avvicinò con uno sguardo orgoglioso sul viso. «Senza questa terra non avremmo una casa e saremmo diventati dei vagabondi, qualcuno senza nazionalità e sicurezza.»  

Quello doveva esser stato un mondo diverso, quello di cui le persone avevano tanto parlato.  

Ricordava il tempo, dalle elementari alle superiori, in cui gli studenti erano costretti a stare in cortile sotto il sole cocente solo per cantare l’inno nazionale ogni mattino. Ricordava di aver imprecato contro le regole e i regolamenti che rendevano la sua vita da studente così spiacevole. Non aveva mai apprezzato tutto quello e non ne aveva mai capito il motivo. Con i suoi amici aveva persino escogitato un piano per togliere la bandiera dal palo e nasconderla. Tuttavia, le persone che vivevano nell’entroterra più remoto erano contente di avere la possibilità di cantare l’inno nazionale thailandese. 

«Andiamo. I bambini ti aspettano. Molti di loro sono venuti qui oggi solo per vederti.»  Il capo del villaggio Pha Pan Dao diede una pacca sulla schiena del magro ragazzo per segnalare che era ora di muoversi di nuovo.  

Anche se si chiamava scuola, era qualcosa al di là della sua comprensione.  La scuola era un mulino con strutture di bambù e un tetto di paglia. Le tre pareti erano fatte da strisce di bambù spaccate con un foro come finestra su ogni lato per far entrare la luce e la quarta parete era ricoperta da una lavagna di medie dimensioni. Il pavimento era ricoperto di stuoie. Dentro c’erano dieci banchi improvvisati senza sedie e gli studenti dovevano sedersi a gambe incrociate sul pavimento per studiare. I bambini si erano disposti in fila davanti all’asta della bandiera, dai più alti ai più bassi, con due ranger che Tian aveva incontrato la sera prima, in piedi lì vicino.  

Tutti loro stavano fissando il nuovo insegnante con occhi pieni di speranza. Vedendo gli occhi innocenti brillare di una luminosa speranza, Tian venne colpito da un improvviso nervosismo e si voltò verso Bieng Lae.  

«Ehm… hai detto che ce n’erano molti, ma quelli che vedo non sono più di venti.» 

«Questo è già un bel numero insegnante. I bambini devono aiutare i genitori a lavorare nei campi. In alcune belle giornate, sarai abbastanza fortunato se cinque di loro saranno presenti in classe.»

Tian annuì non volendo discutere e si avvicinò all’asta della bandiera insieme all’uomo più anziano. Khama Bieng Lae annunciò qualcosa nella sua lingua madre di Akha di cui lui non capiva nulla, ma sapeva che si trattava della sua presenza. Più tardi, i bambini si precipitarono in classe e si sedettero per terra come facevano gli studenti ben educati. 

«Entriamo.» Bieng Lae lo condusse alla lavagna dove una scatola di gessetti bianchi era stata posta su uno scaffale vicino.  

«Per favore presentati.» disse Khama all’uomo più giovane. 

 «Ma posso parlare solo il dialetto centrale.»  

«Capiranno. Alcuni di loro parlano correntemente il thailandese, specialmente il più alto laggiù.» Bieng Lae fece un gesto verso un ragazzo in fondo alla classe. Non aveva più di quindici anni. 

Tian si strofinò il collo, la gola sembrava di piombo ed era incapace di pronunciare una parola. Non si vedeva come un «insegnante«, né mentalmente né fisicamente, eppure doveva presentarsi come tale? 

«Io… ehm… mi chiamo Tian. Sono di Bangkok. Piacere di conoscervi.»

«Buongiorno, buongiorno!» provenirono dai bambini e improvvisamente il suo cuore si gonfiò.  

«Ora, ognuno di voi dovrebbe presentarsi a Kru Tian.» Bieng Lae parlò in thailandese e i bambini Akha iniziarono a dire i loro nomi, alcuni nella loro lingua madre e alcuni in thailandese. 

Il capo villaggio gli aveva detto in precedenza che alcuni genitori avevano lavorato in città e aveva dato ai loro figli un nome thailandese nel certificato di nascita.

«Kru Tian ho bisogno di scusarmi. La scuola finisce alle 15:00, ma se vuoi che facciano delle attività extra, digli solo quando.» Il capo del villaggio rivolse al nuovo insegnante un sorriso incoraggiante. Era ovvio che questo era il suo primo lavoro.  

L’anziano si scusò per andarsene, salutando con la mano e Tian rimase goffamente con una dozzina di paia di occhi curiosi che lo fissavano.  

«Ehm …» 

Non sapeva da dove cominciare. Forse l’alfabeto Gaw. Gai a Hor. Nokhook? Non aveva scritto dal primo all’ultimo alfabeto da secoli! Come poteva ricordarli tutti adesso?!  

Ma prima che la gara di sguardi proseguisse, una ragazza parlò con una voce sottile e chiara: «Kru Tian, Tian è la stessa parola di Crayon*?»

*(N/T: CRAYON significa PASTELLO in italiano. Il nome di Tian e pastello hanno una pronuncia molto simile in thailandese )

L’uomo che era fermo di fronte alla classe elaborò la domanda e rispose: «No.» 

Non sapeva come spiegare, così si voltò e scrisse sulla lavagna con il gesso qualcosa che raramente era usato nelle scuole di Bangkok al giorno d’oggi. Le dita sottili muovevano lentamente il gesso bianco, non abituate, e sulla lavagna apparvero diversi alfabeti tailandesi contorti.  

«Tian… ecco come è scritto… con un’ortografia diversa. Significa ‘profeta’.»

 «Di che colore è un profeta?»

 «Un profeta significa ‘saggio’.» Fece del suo meglio per mantenere la spiegazione concisa, ma i bambini continuavano a non capirla. 

«Perché non può essere un Crayon?»

Tian alzò mentalmente una bandiera bianca. « Va bene. È un Crayon.»

«Kru Crayon!» Gli altri ragazzi che porgevano le orecchie alla conversazione sbottarono il suo nome all’unisono con risatine. 

«Allora cosa impareremo oggi?»  

I bambini sembravano essersi abituati al nuovo insegnante, da qui la seconda domanda.

Cosa impareranno? 

Il ragazzo di città rimase sbalordito mentre le parole di Kru Vinai, il direttore della Fondazione Saeng Thong, riecheggiavano nella sua mente.  L’età dei bambini lì variava molto, quindi era problematico costruire un piano di studio adatto a tutti loro.  

«Cosa vi ha insegnato l’insegnante precedente?» Era una facile via d’uscita, ma gli studenti delle tribù delle colline parlarono subito, facendo del loro meglio per dargli le risposte e la sua testa iniziò a girare.  Tian alzò le mani per fermarli.  

«Domani, ragazzi, prendete i vostri quaderni con i compiti che vi ha assegnato l’insegnante precedente.» Una volta che i bambini annuirono, si lasciò sfuggire un lungo sospiro di sollievo. Sembrava che ce l’avrebbe fatta dopotutto. Tian si guardò intorno ed individuò una vetrinetta con dei libri da disegno e scatole di pastelli. Una lampadina si accese nella sua testa. 

«Va bene. Questo è il primo giorno in cui ci incontriamo, quindi voglio conoscervi meglio.»  Chiamò gli studenti dalle varie età e li invitò a sedersi in cerchio mentre nel mezzo poneva  pezzi di carta con i pastelli da poter condividere: «Voglio che disegnate una foto di famiglia per me. Quando lo finite potrete tornare a casa. Ci rivedremo domani.» 

«Tutto qui?» Gli occhi dei bambini Akha mentre ponevano la domanda guardavano Kru Crayon perplessi. Eppure cominciarono a disegnare come detto loro. 

Tian guardò i bambini che cominciarono a disegnare immagini sui fogli con i pastelli e si allontanò dal cerchio per sedersi sul telaio della finestra che era alto quanto la sua vita, sentendosi stanco. La fresca brezza dalla lontana scogliera asciugò il sudore dalla sua fronte liscia ed il nervosismo che aveva sentito prima. Fuori, i due ranger stavano pattugliando come se un attacco terroristico potesse scoppiare su quella ripida collina in un dato momento. Tian si alzò per camminare e si sedette molte volt  per circa un’ora fino a quando un ragazzo gli diede una gomitata. Si ricordò il nome del ragazzo, Ayi, 14 anni, era il ragazzo più grande della classe.  

«Ecco i miei compiti.» Il suo accento thailandese era impeccabile, forse aveva studiato con molti insegnanti volontari sin dalla nascita della scuola.  

«G-grazie.» Tian prese il foglio e vide il disegno di una catena montuosa con il sole al centro.  Nell’angolo sinistro c’era una casa con figure umane che si tenevano per mano a destra: un ritratto di famiglia.  

Tuttavia, a parte le figure che indossavano costumi Akha con i motivi rettangolari unici, c’erano anche un uomo in uniforme mimetica e una giovane donna con una lunga veste con un fiore dietro l’orecchio. 

 «Chi è?» Tian indicò la figura del soldato, curioso.  

«È il capitano Phupha.» 

«Perché è nella foto?»

«Papà mi ha detto che il capitano ci aiuta sempre, quindi anche lui è di famiglia.» Il ragazzo rispose onestamente.

«E chi è questa ragazza?» Indicò l’altra figura che si era distinta dal resto. 

«Kru Fun.» 

Il nome che uscì dalla bocca di Ayi gli ricordò vagamente che Thorfun aveva scritto di una famiglia Akha di uno studente che l’aveva presa sotto le loro ali durante il suo periodo a Pha Pan Dao. Le avevano detto di chiamarli ada (papà) e ama (mamma).  

«Ti manca Kru Fun?» Tian non sapeva cosa lo avesse spinto a chiederlo. Gli occhi innocenti del ragazzo lo rendevano infelice. Sapevano che la loro amata insegnante non poteva tornare… non in questa vita?  

Ayi annuì: «Sì. Ma ha promesso che tornerà appena possibile.» 

La risposta del ragazzo gli fece venire un brivido lungo la schiena. 

Sta aspettando invano… senza alcun miracolo.

Tian alzò distrattamente la mano per toccarsi il lato sinistro del petto. 

In effetti, era tornata da loro, ma solo sotto forma di quel ‘cuore’

«Kru. Kru Crayon!» Quella che lo chiamava era la ragazza che gli aveva dato il nuovo soprannome. 

Il più esile e piccolino corse verso di lui: «Ho finito!» Due mani sporche sostenevano il suo lavoro orgogliosamente. Tian si accigliò quando vide gli stessi identici personaggi come quelli che Ayi aveva disegnato.  

«Chi sono queste figure?»  

«Mee Ju.» La piccola indicò se stessa, poi il ragazzo più grande accanto a lei.  

«P’Ayi.» Iniziò a indicare ogni figura disegnata con linee irregolari.  

«Questo è papà, mamma, il capitano Phupha e Kru Fun.»

Quindi quei due erano fratelli. Il ragazzo di città capì che non poteva davvero dire chi fosse imparentato con chi, dato che a lui sembravano tutti uguali. Avrebbe creduto se gli avessero detto che l’intero villaggio era composto da cugini.

 «Ayi, Mee Ju ora che avete consegnato i compiti, potete tornare a casa.  Ci vediamo domani, d’accordo?»

Mee Ju sorrise ampiamente, felice e si voltò per parlare a suo fratello nel loro dialetto nativo. Ayi alzò le mani per il wai verso il nuovo insegnante e prese la mano di sua sorella mentre se ne andavano. 

Era già pomeriggio quando l’altra dozzina di bambini completò finalmente il proprio compito. 

«Hai finito presto.» Disse uno dei ranger mentre scrutava nell’aula vuota.  

Tian sorrise imbarazzato. Come poteva dirgli che non aveva preparato alcun materiale?  

«La prima lezione sarà domani. Ma… sono davvero necessarie le guardie militari?» Chiese e si interrogò cosa stesse chiedendo.  

Il giovane ranger taceva come per pensare: «Siamo ai confini. Non è un posto che possiamo chiamare sicuro.»

Quella risposta vaga non lo infastidì. Tian raccolse tutti i fogli e prese alcuni libri di testo dall’armadietto da portare a casa con sé. Lasciò la scuola con i due ranger che lo scortarono a casa prima di tornare alla base operativa a chilometri di distanza.  

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