YOUR EYES TELL – CAPITOLO 2

Due mesi dopo

Da quella notte non avevo più visto Seng, due mesi erano volati tra qualche momento di sconforto ed altri di assoluta spensieratezza.

Durante quei due mesi avevo viaggiato per la Thailandia, da Pukhet a Chiang Mai, insieme ad un gruppo di stranieri come me che si erano ritrovati a scegliere di studiare nella mia stessa università. Ero comunque riuscito a diventare amico del ragazzo della stanza accanto alla mia, si chiamava Bank e come me avrebbe iniziato il primo anno di Ingegneria gestionale. Eravamo usciti spesso insieme, mi aveva aiutato molto a migliorare con la lingua e mi aveva presentato al suo giro di amici. 

Ero riuscito anche ad avere una breve storia con una delle ragazze della sua compagnia ma ero stato clamorosamente scaricato per il suo storico ex ragazzo. Certe cose erano sempre uguali, non importava in che parte del mondo vivevi. 

Con Bank mi trovavo bene, spesso uscivamo a bere. Mi aveva portato in alcuni dei locali più rinomati della zona ed essendo il classico bel ragazzo, spesso ci circondavamo di bella gente. Non dovevamo raccontare niente di noi, dovevamo solo essere belli ed attirare l’attenzione. Era qualcosa che avevo sempre voluto fare, tenere lontana quella parte di me che non mi piaceva per mostrare solo la parte facile, mi faceva stare bene, ostentare chi non ero. Pensavo mi rendesse felice piacere a chi non conoscevo. In un certo senso, avevo conosciuto tanta gente, potevo dire di essermi inserito nel contesto senza però sapere davvero chi fossero le persone che avevo intorno. 

Ero riuscito, più o meno, a farmi vedere solo da Bank, che ad una prima impressione non sembrava il tipo migliore con cui confidarsi, aveva l’aria da spaccone. Era alto ma e ben piazzato, dalla carnagione abbronzata e fissato con il fitness. Ci piaceva giocare a calcio insieme, era lo sport con cui ero cresciuto e sicuramente avrei partecipato alle attività universitarie, soprattutto quello che riguardavano il calcio. Avendo delle passioni in comune, dopo qualche tempo non era stato difficile per lui raccogliermi da terra durante una sbronza più che cattiva, rimettermi a letto ed aspettare che mi passasse. Non sapevo se fosse o meno un vero amico, sapevo però che in quel momento era quello che ci si avvicinava di più. 

Di una cosa ero estremamente sicuro, le lezioni in Thailandia iniziavano alle 7.30 anche all’università e non sarei mai riuscito a garantire una presenza continua, per uno come me abituato a dormire, era assolutamente impossibile. 

Inutile dire che la notte prima dell’inizio delle lezioni avevo dormito forse due ore, il resto del tempo lo avevo impiegato a rigirarmi nel letto e a guardare l’orologio in continuazione. Mi ero ovviamente addormentato poco prima che suonasse la sveglia, per poi resuscitare dall’oltretomba quando quest’ultima aveva iniziato a suonare. In ogni caso, preciso come un orologio svizzero alle 7.00 ero in mensa pronto per la colazione.

Una delle differenze con le università italiane era che quelle Thailandesi avevano una mensa in cui potevi fare sia la colazione che il pranzo, per quanto io non fossi esattamente abituato a mangiare il porridge per colazione. Mi mancava il cornetto al bar tutte le mattine. Con fatica, mentre Bank e gli altri ragazzi facevano la colazione del posto, io avevo incredibilmente trovato una ciambella ed un caffè lungo in stile americano, praticamente acqua sporca, per mantenere una sorta di tradizione familiare. 

«P’Mark, sei sicuro di voler mangiare solo quello?»

Una delle cose che spesso dimenticavo era che avevo iniziato l’università un anno in ritardo rispetto a loro e che più chiedevo di evitare che mi chiamassero P’, che era il loro modo di portare rispetto ai ‘fratelli’ maggiori, più non riuscivano a farlo. In soldoni, ci avevo rinunciato. 

«L’idea di mangiare quella roba la mattina mi fa venire i brividi.» Lo dissi a Pan, una delle ragazze del gruppo, con un sorriso sulle labbra. Non ero stato offensivo, nel mio tono c’era una certa ironia mentre buttavo giù un caffè che sapeva probabilmente di niente. 

Nel momento in cui stavo per finire di bere, una figura familiare e per certi versi indimenticabile entrò nel mio campo visivo. 

Camicia bianca, cravatta nera come i pantaloni, scarpe e cintura. Indossava i miei stessi  vestiti, aveva i capelli neri pettinati da un lato, una tracolla a fianco destro ed era insieme ad altri tre ragazzi. Era molto alto, avevo la netta sensazione che superasse il metro e novanta al contrario degli altri suoi amici che in quanto ad altezza non spiccavano di certo. Rimasi bloccato per qualche istante nel vederlo passare, era sicuramente il tizio che mi aveva aiutato la prima notte qui a Bangkok. Quello della digitopressione o una roba simile. Avrei voluto far finta di non ricordarmi come si chiamava ma sapevo benissimo che si era presentato con il nome di Seng. 

Pan si avvicinò a me, aveva notato in che direzione stavo guardando e quindi si affrettò nel narrarmi tutto quello che sapeva. 

«Sono tre senior del terzo anno. Ognuno di loro è di una facoltà diversa, è come se avessero creato una sorta di circolo di eletti perché lavorano tutti come attori. Da sinistra abbiamo Kao di ingegneria, Nine di Architettura e l’ultimo è Seng, studia Psicologia nella facoltà di medicina.» 

Ecco perchè il maledetto mi ha scoperto subito!

«Attori?» Non potevo fare a meno di chiederlo con evidente sorpresa nella voce. 

«Non hai mai visto nessuno di loro in televisione?»

«Sono straniero?» Avevano la tendenza a dimenticarsi, nonostante il mio aspetto, che io ero veramente uno straniero. La televisione per me era ancora un mistero e non avevo guardato molto. Quando ero a casa preferivo sintonizzarmi sulla tv italiana o guardare telefilm su Netflix ed affini, niente di più. 

I tre ci passarono di fianco dopo poco ed io per non farmi notare mi ero prontamente voltato dandogli le spalle. Non sapevo neanche perché lo avevo fatto, con ogni probabilità ero l’unico a ricordarmi di quel momento perché emotivamente più devastato. Dopo qualche istante, una voce mi riportò tristemente alla realtà. 

«Nong Mark? Ti chiami Mark, vero?» 

Una corrente di aria gelida mi avvolse nella sua morsa, mi voltai in direzione della voce per scoprire che quei tre ragazzi si erano fermati vicino al nostro tavolo. Se avessi reagito subito si sarebbe accorto che l’avevo riconosciuto, quindi prima di rispondere finii il mio caffè e poi mi alzai in piedi. 

«Oh ciao, Seng vero? L’altra volta non sono riuscito a ringraziarti.»

Non avevo ancora imparato alcune delle usanze del posto, spesso mi dimenticavo l’inchino e partivo in quarta nello stringere la mano a chiunque. In un momento di nervosismo, o forse per la forza dell’abitudine invece che porgere rispetto ad una persona più grande, unire le mani e fare un mezzo inchino, gli strinsi semplicemente la mano. Una stretta vigorosa, un sorriso sicuro ed un grazie sincero. La trovavo la massima espressione per esprimere gratitudine. 

Tutti intorno a me restarono pietrificati per un secondo, Seng però mi strinse la mano senza problemi e dopo qualche istante la lasciò andare. Ci misi un attimo a guardarmi intorno senza rendermi conto che ogni paese aveva le sue usanze ed io le avevo infrante tutte in trenta secondi. 

«Ho fatto qualcosa di male?»

«Scusateci P’, Mark è cresciuto all’estero e si sta abituando!» Bank era probabilmente venuto in mio soccorso, avevo capito in ritardo che almeno con gli sconosciuti dovevo risultare più formale e meno occidentale.

Avevo finito per scusarmi e quello che mi avevano detto si chiamasse Kao, in risposta mi aveva dato un bigliettino. 

«Tra due settimane la nostra agenzia farà un casting per una nuova serie, dovresti provarci.» Kao era ua ragazzo più basso degli altri e meno atletico. Aveva delle cosce più grosse e non per questo meno belle, ma quello che spiccava di più rispetto a tutti il resto era il suo sorriso. Nonostante non fosse un palestrato, non aveva comunque niente da invidiare agli altri, e quando sorrideva tutto intorno a lui scompariva. Avevo notato anche io che Pan, una delle mie compagne di classe, stava cercando di non svenire data la vicinanza con lui. 

«Come, attore? Io non so recitare, non ho mai fatto niente del genere.»

Il bigliettino era quello di una nota compagnia televisiva di cui anche io conoscevo il nome. Stavo rigirando il biglietto tra le mani, quando ebbi un’illuminazione. «Cercate delle comparse, quindi? Pagano le comparse?»

Ci fu una risata corale, ero sempre stato un tipo divertente ma sapevo quando volevo esserlo e queste cose improvvise mi succedevano di rado. Dopo qualche istante di imbarazzo generale, Kao si affrettò a spiegare. 

«Nessuna comparsa. Parlo di un casting vero. Serve un ragazzo meno canonico, tu hai qualcosa di diverso. Ma sei sicuro di essere un Thailandese al 100%?»

La domanda sbagliata, nel momento sbagliato, nel posto sbagliato. Ero partito dall’Italia per ritrovare le mie origini e vedere come si stava in mezzo a gente uguale a te, per ritrovare le stesse identiche domande di prima. Ero sempre stato una persona veramente gentile, ma non potevo non riservargli il mio sguardo scocciato. Nè tanto meno potevo rispondergli in modo veramente sicuro, perchè non conoscevo le mie origini, ero stato adottato. Forse nelle campagne torinesi avevo preso meno sole e mi ero occidentalizzato? Per questo rimasi spiazzato, non sapevo cosa dire. 

Con il bigliettino tra le mani, lo sguardo fisso su di lui e l’espressione di uno preso in contropiede ed a disagio, Bank arrivò di nuovo in mio soccorso, mi mise una mano intorno al collo e mi trascinò verso di sé. 

«P’, scusateci ma inizia la cerimonia per le matricole. Siamo veramente in ritardo!»

Dopo ventisette inchini di fila, sorrisi di circostanza e sguardi non proprio chiari, ero stato trascinato via dai miei compagni verso la cerimonia di apertura delle matricole. Non avevo capito cos’era successo ma il bigliettino era finito nella tasca dei pantaloni e Seng mi aveva chiaramente guardato mentre venivo trascinato via da Bank. Avevo ricambiato lo sguardo confuso mentre mi sorrideva senza dire una parola e senza salutare di rimando. Non avevo veramente capito cos’era successo in quel momento. Un casting? Un attore? Impossibile. 

****************

Seduti a terra all’ingresso della facoltà, Pan e Boom, le due ragazze del nostro piccolo gruppetto, si sedettero accanto a me ed iniziarono la conversazione più surreale della giornata. 

«Ti possiamo accompagnare al casting?» Boom era la ragazza che più mi interessava del gruppo, aveva dei lunghi capelli neri, le labbra carnose ed un sorriso intrigante, non aveva quell’aria da bambolina impostata, piuttosto le piaceva spesso estremizzare dei lati di sé che a me interessavano parecchio. L’unico difetto era che aveva una sorta di passione malcelata per drama a tematica omosessuale. Non che Pan fosse da meno, passavano le ore a condividere foto di uomini in atteggiamenti intimi sul loro profilo. Per evitare di ritrovarmeli ogni volta avevo bloccato loro l’aggiornamento su ogni social. 

«Non penso proprio di andarci.» 

«Come no? P’Kao ti ha dato un biglietto per un casting e non ci vai? Ma tu lo sai chi è?»

«No? Chi è?»

«Ma lui e P’Seng hanno recitato in ‘Baciami ancora’, uscirà a breve la seconda stagione!»

Iniziavo a maturare una convinzione dentro di me, il drama di cui stavano parlando queste due doveva avere una certa tematica, una specifica tra l’altro, che a me non era mai interessata. 

«Non bacerò mai un ragazzo, neanche sul set. Ma per chi mi avete preso? Non ci vado, col cazzo.» 

«Sei un idiota, P’Mark!»

La conversazione era finita subito, le due piuttosto infastidite si erano spostate lasciandomi solo. Avevo tirato il bigliettino fuori dalla tasca ed avevo osservato di nuovo i recapiti. Non esisteva, non avrei mai fatto un casting per una serie Boys Love o come cavolo si chiamava!

I miei pensieri erano stati interrotti da uno dei miei compagni di corso, una delle matricole della mia facoltà, che si era seduto di fianco a me sussurrandomi un: ‘le hai fatte incazzare per bene’, sia dall’arrivo dei Senior che avevano iniziato a spiegarci quello che avremmo dovuto fare. 

Tutto era diverso rispetto all’Italia, dopo una cerimonia di benvenuto ci avevano fatto partecipare ad una serie di giochi per poi spiegarci l’importanza dell’unità e dell’aiuto tra compagni. Ci avevano detto che nei prossimi giorni avrebbero allestito dei banchetti con tutte le attività extra scolastiche a cui partecipare e ci raccomandarono di sceglierne almeno una perché avrebbe fatto punteggio. 

La cosa più inusuale era questo contest che decretava la Stella e la Luna del campus, un po’ come in America con il ballo di fine anno. In questo caso però ogni facoltà sceglieva due esponenti, quelli che riteneva i migliori, e li mandava al macello in un contest fatto di allenamenti, attività di gruppo ed una serie di cose che, solo a pensarle, mi facevano venire l’ansia. 

«Io sceglierei Ai’Mark per il contest.»

Eh?

Se era uno scherzo, non era divertente. Alzai immediatamente lo sguardo per notare che era stata Boom a parlare ad alta voce. 

«Ma non ci pensare proprio!» 

Il concetto di ‘sei più piccolo e nuovo quindi devi essere remissivo’ non mi si addiceva e mai lo avrebbe fatto. Le avevo risposto con una certa violenza, ero ben consapevole che non avrei mai fatto una cosa del genere. Quella parte di me che voleva disperatamente emergere e farsi vedere, in quel momento era stata completamente schiacciata dalla paura e dai pregiudizi verso i quali non si sa cosa. Mi sembravano tutte pagliacciate perché dove ero cresciuto io queste cose non esistevano. 

«Nong Mark, perchè almeno non ci pensi? Secondo me potresti fare al caso nostro. Hai quel tocco esotico, sei atletico ed io mi sono già innamorata di te.»

Non avevo neanche mai parlato con un transessuale in vita mia, venivo da una campagna Torinese non dalla grande mela ed era in assoluto la prima volta che un uomo truccato e con una fascetta rosa in testa mi parlava. L’unica cosa che riuscivo a pensare era di non dire niente, non fare niente e non muovere un muscolo. Dopo eterni secondi di silenzio mi arresi e dissi una sola cosa: «Ci penserò.» 

Non volevo che mi guardassero male, ma non mi era mai successo nella vita di trovare a scuola un uomo truccato o visibilmente effeminato. Se fosse successo nella mia classe o nel mio istituto alle superiori, sarebbe finito al telegiornale o con ogni probabilità da Barbara D’Urso. 

Se mi ero sentito un troglodita ignorante per quei pensieri? No, in quel momento mi erano sembrati normali, tutte quelle cose le avrei comprese nel tempo, con le esperienze che non avevo ancora fatto. In quel momento avrei potuto tranquillamente passare per un bigotto cresciuto male e non avrei neanche potuto obiettare in merito, nonostante i miei genitori avessero fatto un ottimo lavoro con me.

*******************

Il ‘ci penserò’ del contest della Luna e della Stella del campus lo avevo già archiviato, dopo una settimana avevano allestito gli stand ed io mi ero proposto per il club di calcio come avevo deciso. Dopo due settimane dall’inizio dell’università avevo capito che la vita di uno studente in Thailandia era veramente piena e ricca di cose da fare, ed io a metà di quelle attività non volevo partecipare. L’unico modo per sfuggire al supplizio e prendere le novità un poco per volta, senza ritornare a stare male, era cercarmi un lavoretto part time da utilizzare come scusa. 

Il bigliettino della compagnia televisiva che mi aveva dato Kao mi aveva fatto scoprire che cercavano tirocinanti in diversi campi, dal marketing, all’area di produzione e dopo essermi candidato come stagista nel ramo della produzione, il giorno esatto in cui si sarebbero svolti i casting, ero stato chiamato per un colloquio. 

Non avevo nessuna intenzione di partecipare a quel benedetto casting, entrando avevo specificato alla reception che ero li per un colloquio da stagista nel ramo produzione. Mi avevano fatto accomodare insieme ad una serie di ragazzi, erano tutti di bell’aspetto e continuavano a ripetere le loro battute, a scambiarsi opinioni su quello che sarebbe potuto o meno succedere.

Io ero quello seduto su una sediolina in mezzo a loro che giocava a Candy Crush. Ignaro di quello che sarebbe successo, sentii un crescendo di voci e quando alzai la testa proprio Kao, colui che mi aveva dato il biglietto, entrò dentro l’agenzia scortato dal suo manager. Inutile dire che quando mi vide, lì seduto tra gli altri, si avvicinò con un sorriso. 

«Alla fine hai deciso di venire! Dai seguimi, ti faccio passare prima.»

Tempo per pensarci: zero. Venni semplicemente tirato da quell’attore alto un metro ed una casetta di un puffo. Cercai veramente di tirarmi indietro ma, nel caos generale, il suo manager mi spinse accanto a lui e venni letteralmente trascinato dalla corrente. 

Maledetto!

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