YOU EYES TELL – CAPITOLO 4

Una serata memorabile

Il viaggio in auto era stato relativamente breve, arrivammo in un locale chiamato Octave Rooftop Lounge & Bar, era il cima ad un grattacielo e faceva parte di un famoso albergo a cinque stelle della città. Il loro manager ci aveva tenuto a spiegarci che non potevano mangiare da una bancarella qualsiasi e che certi tipi di uscite andavano gestite in luoghi sicuri, in un certo senso appartati. 

Mangiare in cima ad un grattacielo ti dava la sicurezza che nessun fan ti avrebbe fotografato di nascosto. Io che non ero mai salito su una berlina, non ero neanche mai stato in cima ad un grattacielo. 

“Va bene come siamo vestiti?”

“Normale, no?” Kao mi guardò confuso, sembrava non capire la domanda.

Loro uscivano da una giornata dedicata alla fotografia e non si erano neanche struccati. Seng indossava una maglietta bianca come i pantaloni ed una giacca rossa sopra di essa, era un abbigliamento semplice che gli stava così bene da renderlo ancora più bello, sempre se una cosa del genere fosse possibile. Kao era vestito uguale a lui, la differenza era nei venti centimetri di divario che li separava ed il fatto che la sua giacca fosse nera. Poi c’eravamo Bank ed io, entrambi con i pantaloni di jeans stracciati, le all star e due magliette con dei disegni sopra. La sensazione era che quei due stessero portando dei ragazzini a pranzare fuori. Quella sera indossavo la maglietta dei Pokémon, ebbene si, ero stato colto in flagrante. 

Ci sedemmo in uno dei tavoli che davano la vista direttamente sulla città, alla nostra sinistra era visibile uno spazio aperto con una piscina a strapiombo sul nulla ed una serie di sdraio. L’idea di avvicinarmi al parapetto mi faceva sentire a disagio, per questo ero grato di non dover uscire all’aperto. Prendi uno come me e mettilo a guardare di sotto, la prima cosa che penserà sarà: e se adesso mi butto?

Non sapevo come mai ma avevo la sensazione che Seng avesse intuito qualcosa da come guardavo fuori dalla finestra perchè senza neanche accorgermene me lo ritrovai seduto di fianco. Aveva già i menù in mano, non mi ero neanche reso conto di quando il cameriere li avesse portati. Me ne porse uno e dopo poco si sporse per vedere cosa stavo leggendo. 

“Cosa hai scelto da bere?”

Ero un italiano semplice, quando leggevo che qualcosa proveniva dalla mia terra, l’impulso di ordinarla si impossessava di me. 

“Vino rosso? Guarda, questo viene dall’Italia.” 

Ero anche orgoglioso di farglielo notare, mi ero acceso all’improvviso, forse spinto da non si sa quale orgoglio nazionale. Lui mi guardava, avevo capito che non era un ragazzo che si perdeva in grandi chiacchere ma restava ad osservarti a lungo. Dovevano essere silenzi carichi di significato che non riuscivo a cogliere, mi facevano imbambolare senza che ne avessi una vera e propria consapevolezza. 

Di fronte a noi, Kao non aveva aperto bocca. Continuava a guardare il piatto, aveva le orecchie rosse così come tutto il viso e non avevo capito perchè. Bank continuava a dargli amichevoli gomitate mentre gli chiedeva se voleva mangiare questo o quell’altro e cosa voleva bere. Non avevo mai visto quel nano iperattivo fare scena muta, annuiva semplicemente con la testa e non faceva mosse azzardate. 

Mi scappò da ridere e per scuoterlo dal torpore gli tirai un piccolo calcio sotto il tavolo. Alzò di scatto la testa cercando di farmi capire che dovevo stare al mio posto, era ovvio che non lo avrei fatto. 

“Quindi che mangiamo? Non dite un panino perché con il vino sta male.” 

Non importa in che parte del mondo sei approdato e con chi ti trovi, se sei italiano quando arriva il momento di mangiare devi comandare. Ed infatti era finita che avevo ordinato mezza fattoria, il locale dava la possibilità di cimentarsi nel classico barbeque da tavolo che io pensavo fosse coreano. Povero ignorante. 

Mangiammo e bevemmo come solo a vent’anni riuscivi a fare. Il tavolo era pieno di risate e di allegria, avevo lasciato a casa tutti gli spettri e mi ero concentrato sul godermi una serata abbandonando ogni freno inibitore. Non ero però un ragazzo che riusciva a bere fino a ridursi uno straccio, mi piaceva l’ebbrezza e sentirmi intorpidito ma dovevo sempre avere il controllo su di me e su quello che volevo fare. Non era lo stesso per Kao che aveva preso una sbronza clamorosa. 

Avevamo bevuto tutti ed eravamo più liberi e meno ingessati. Per uscire da dove ero seduto avevo strisciato sopra Seng neanche fossi diventato un invertebrato. Lui aveva riso, alzando le mani in aria per cercare di farmi capire che non voleva calcare la mano. Queste cose non le capivo ancora, mi aspettavo qualche ceffone su una natica, quelli che te la fanno bruciare senza ritegno, ma invece lo avevo trovato impacciato. Per uscire dall’angolo, ero finito a posare le mani a terra mentre questo aspirante psicologo molto avvenente era stato così gentile da aiutarmi a mettermi in piedi. 

“Andiamo a ballare!”

Una serata non finisce mai sul più bello e Bank, preso dai fumi dell’alcool si alzò in piedi pieno di gioia, si voltò ed afferrò Kao per un braccio, costringendolo a seguirci. Il poveretto era ubriaco e la vergogna di prima era completamente passata, quindi mentre ci dirigevamo verso l’uscita, dopo che Seng aveva insistito per pagare tutto lui, continuava a strusciarsi addosso a Bank mentre con la mano destra gli massaggiava un pettorale. 

Mentre Kao aveva deciso di provarci spudoratamente con Bank, che non lo respingeva sul serio ma al contrario lo sorreggeva abbracciandolo tutto contento, non facemmo altro che dirigerci dall’altro lato del ristorante. La discoteca era stata allestita all’esterno, proprio di fronte a quella piscina in picchiata libera sul vuoto che non volevo vedere. Ci misi qualche istante per realizzare, mentre Kao trascinava Bank tra la folla per ballare con lui, io non mi ero mosso dall’ingresso dello spazio esterno. Non importava quanto fossi ubriaco, non volevo avvicinarmi troppo al parapetto per paura di chissà cosa. Il fato però aveva voluto che ci fosse Seng al mio fianco e la sua mano che con delicatezza si era posata sulla mia schiena. Mi aveva spinto delicatamente, accompagnando i miei passi verso l’esterno, lì dove la musica si intensificava ed avevo la sensazione che tutte quelle persone fossero una cosa sola. 

Mi girai in tempo per guardarlo negli occhi, sarà stato l’alcool, la stanchezza, lui vestito e truccato di tutto punto a farmi restare a fissarlo imbambolato. Seng ricambiava lo sguardo, aveva una certa fierezza negli occhi ma di preciso non sapevo cosa dicessero e che storia volessero raccontare. Non ero mai stato bravo con queste cose. 

“Vuoi bere ancora qualcosa?”

Aveva interrotto il nostro gioco di sguardi piegandosi verso il mio orecchio in modo da potermi parlare e farsi sentire. Avevo sentito il suo respiro caldo sulla pelle, puzzava di alcool come me ma non mi importava più di tanto. Scosso da qualche brivido non feci altro che annuire vigorosamente prima di trotterellare mezzo esaltato verso il bancone. Il cocktail del frequentatore assiduo della discoteca era indubbiamente il rhum e cola, per questo lo avevo ordinato senza pensarci due volte. Seng mi aveva seguito e prima di tornare a ballare ci eravamo diretti verso una zona un po’ più tranquilla dove poter parlare con meno difficoltà e finire di bere. 

“Come mai sei venuto a studiare qui?”

Una conversazione con lui non l’avevo mai avuta, si può dire che oltre a calmare alcuni dei miei momenti difficili e parare qualche gol nelle ultime due settimane, non aveva mai davvero interagito con me. Mentre parlava e posava le braccia sul parapetto per guardare il panorama, io me ne restavo al sicuro ad almeno un metro di distanza. Non sapevo se volevo restare al sicuro da lui o dal vuoto sotto i nostri piedi. Stavo sorseggiando quel cocktail con vigore, se non avessi rallentato avrei rischiato di finire come Kao. 

“Volevo sentirmi meno immigrato.”

“Cosa?”

“Meno straniero rispetto al solito … non lo so, volevo vedere com’era vivere nel posto in cui sono nato. Volevo conoscervi.” 

“E cosa te ne sembra?” Quello che mi piaceva di più in quel momento era che sembrava veramente interessato a quello che avevo da dire. Non avevo la sensazione di essere qualcuno sullo sfondo, meno importante degli altri. 

“Un sacco strano, in realtà.” Tagliai corto, non sapevo neanche cosa dire di preciso, per questo avevo optato per domandare di rimando: “E tu? Studi psicologia, sei il capitano della squadra di calcio universitaria e fai l’attore, che altro?”

“So anche cucinare bene, oltre al fatto che a Pes sono insuperabile.”

“Calmati amico, l’insuperabile a Pes sono soltanto io. Sono Re, inchinati ai miei piedi.” lo dissi con una voce divertita ed allo stesso tempo altezzosa.

Seng mi guardò per alcuni secondi e poi si avvicinò all’improvviso, pensavo che mi avrebbe baciato a sfregio ed ero pronto a lanciarmi di sotto, ma invece afferrò la cannuccia del mio rhum e cola e fece un lungo sorso. Il tutto accompagnato dal suo sguardo fisso, non stava neanche sbattendo le palpebre mentre mi guardava in modo fin troppo penetrante. 

“Scommettiamo allora. Chi vince può chiedere qualsiasi cosa all’altro.”

“Accetto, preparati ad essere il mio schiavo.” allargai un sorriso di sfida in sua direzione e lui mi rispose con uno malizioso prima di parlare.

“Non è detto che mi dispiaccia.”

“Eh?”

Da quel momento la serata iniziò a precipitare. Per evitare il suo sguardo e la situazione avevo distolto l’attenzione ed i miei occhi erano casualmente finiti sulla pista da ballo. Tra la gente, Kao si era avvinghiato a Bank come una sanguisuga. In punta di piedi si era sporto verso di lui affferrandolo con entrambe le mani dalle guance e senza troppe cerimonie gli aveva messo la lingua in bocca. La scena mi aveva talmente scosso che se Seng non mi avesse sfilato il bicchiere dalla mano sarebbe caduto a terra. 

“Ma cazzo! Ma stai vedendo? No, dico, ma li vedi?”

Potevo essere sconvolto? Non avevo mai visto due uomini baciarsi dal vivo però ammetto che forse, ma proprio forse, la serie di Seng e Kao l’avevo un po’ sbirciata. Ciò non toglie che dal vivo fosse assolutamente diversa la sensazione che mi aveva lasciato, soprattutto perchè Kao era sbronzo e continuava ad accarezzare Bank ovunque. Non mi sarei avvicinato se non avessi visto Kao cercare di infilare una mano dentro i suoi pantaloni. Tra la gente, in una pista da ballo, un attore famoso che secondo la stampa prima o poi avrebbe dovuto sposarsi con Seng. 

Effettivamente entrambi decidemmo di dividerli, io presi Bank, Seng afferrò Kao e senza dire una parola li trascinammo in ascensore. Per qualche istante nessuno disse niente, Bank era impegnato a sistemarsi la maglia nei pantaloni e tirare su la cerniera mentre Kao si era momentaneamente spento con la faccia sul petto di Seng. Io non sapevo dove guardare, per questo dopo pochi istanti mi restava solo una cosa da fare, scoppiare a ridere. 

Era una delle risate più gustose della mia vita, mi erano salite le lacrime agli occhi e senza dire niente avevo continuato così per tutta la discesa. Anche Seng si era messo a ridere, non lo avevo mai visto così coinvolto in qualcosa fino a quella notte. Magari era quello il momento in cui mi ero innamorato, se mi fosse piaciuto subito, avrei perso meno tempo. 

Il manager dei ragazzi era andato via per seguire un altro attore della loro agenzia e per riprenderci ci eravamo seduti su un marciapiede, la differenza era che Kao aveva piantato un casino perchè voleva a tutti ci costi dormire sulla spalla di Bank, non di certo sulla nostra. 

Era un fine serata fatto di silenzi e di sigarette, se i due attori non fumavano, Bank ed io avevamo ormai il vizio da qualche anno e mentre il fumo saliva verso l’alto, mi ritrovai a guardare e luci della strada davanti a noi e di quel poco di città che riuscivo a scorgere. Seng, seduto al mio fianco non aveva detto una parola ma la sua mano, silenziosa e quasi invisibile mi aveva afferrato giusto il mignolo. Poteva essere una gran sera, almeno fino a che Kao non iniziò a vomitare per strada, seduto scomposto su un marciapiede, con i suoi vestiti costosi ormai sporchi di vomito.

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