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I’M GOING TO DIE – CAPITOLO 1

Mi sentivo come se fossi davvero sfortunato ultimamente. Ero svenuto senza motivo in una strada trafficata e poi ero stato inspiegabilmente portato in ospedale. Ora il medico aveva in mano il referto del mio test e inspiegabilmente mi aveva detto che avevo una malattia terminale. Se non fosse per il fatto che il dottore di fronte a me sembrava piuttosto carino, avrei voluto davvero ribaltare il tavolo e andarmene.

Guardai il badge con il nome sul suo petto e chiesi: «Dottor Chen, sei sicuro che non ci siano errori?»

Il dottor Chen aveva un’espressione severa e mi trattava come se gli dovessi dei soldi. Sebbene sembrasse ancora piuttosto bello, le sue parole non suonavano così piacevoli. Disse che non poteva esserci un errore nell’esame a cui ero stato sottoposto.

Ebbene, cercai di accettare questo fatto. «Dottor Chen, che tipo di malattia hai appena menzionato? Cos’è che ho?»

Il dottor Chen rispose brevemente: «Leucemia.»

Ah, non fraintendermi, il nome in realtà suona piuttosto intimidatorio a prima vista, come una malattia terminale. 

Il dottor Chen poi aggiunse: «O, come comunemente noto, cancro del sangue.»

Oh, ne ho già sentito parlare. Sembra abbastanza mortale se non sbaglio. Così chiesi al dottor Chen: «È questa la malattia per cui non puoi smettere di sanguinare una volta iniziata?»

Il dottor Chen sospirò: «No, quella è l’emofilia.»

«Oh, capisco. Allora, come posso curare questa mia leucemia?»

Il dottor Chen rispose: «Hai la leucemia acuta ed è meglio essere ricoverato in ospedale oggi e iniziare la chemioterapia.»

Appena seppi che dovevo essere ricoverato in ospedale, cominciai ad essere un po’ riluttante, così chiesi al dottor Chen se si potesse evitare.

Il dottor Chen, con un tono freddo, mi avvertì: «La leucemia è facilmente soggetta a infezioni. Una volta che si verifica un’infezione grave, può portare alla morte. Quindi, ti consiglio vivamente di essere ammesso il prima possibile.»

Guardando il viso freddo e bello del dottor Chen, alla fine decisi di non essere ammesso in ospedale. Il dottor Chen non cercò di persuadermi ulteriormente, aveva molti altri pazienti in fila dietro di me. Mi disse semplicemente di pensarci attentamente prima di andare via.

**********

Presi in mano le medicine prescritte dal dottor Chen e tornai nella mia stanza in affitto. Seguendo le istruzioni, presi la medicina e mi sdraiai sullo stretto letto singolo.

Mi toccai la testa, poi il petto e infine lo stomaco. Mi sentivo bene ovunque, senza alcun disagio da nessuna parte. Come potrei avere la leucemia? Potrebbe essere una diagnosi errata?

Mi sedetti, riflettendo sulla possibilità. Più ci pensavo, più aveva senso. Quindi decisi di visitare un altro ospedale per un secondo parere.

Poche ore dopo, eccomi lì, faccia a faccia con questo dottore esperto che aveva più di 50 anni seduto di fronte a me. Aveva ripetuto ciò che aveva detto il dottor Chen e mi aveva consigliato di ricoverarmi in ospedale per le cure.

Sospirai e presi la decisione di accettare il “dono” che il destino mi aveva fatto.

**********

Tornai dal dottor Chen e gli dissi che avevo deciso. Il dottore non sembrava affatto sorpreso, e chiamò un’infermiera per aiutarmi con il processo di ammissione.

Seguii obbedientemente l’infermiera per pagare le parcelle, mi misi il camice da ospedale e feci altri esami. Mi fu assegnata una stanza per quattro persone, anche se inizialmente ne volevo una privata. Era più costoso e non erano disponibili stanze private, quindi con riluttanza avevo optato per lo spazio condiviso. L’infermiera, una donna bella e di buon cuore, rimase un po’ per aiutarmi a sistemare le mie cose. Mi chiese della mia famiglia e se li avevo informati.

Confessai che non avevo ancora informato la mia famiglia.

L’infermiera annuì comprensiva ma mi consigliò di avvisarli il prima possibile, suggerimento che compresi pienamente. Una volta finito di sistemare le mie cose se ne andò. Mi sedetti da solo sul letto d’ospedale, sentendomi un po’ giù.

**********

La sera, il dottor Chen entrò nella stanza, scambiò qualche parola con gli altri pazienti del reparto e poi si avvicinò al mio letto. Mi sedetti, guardandolo.

«Come ti senti?» chiese.

Risposi sinceramente: «Non molto diverso.»

Continuò a chiedermi degli esami a cui mi ero sottoposto e glieli elencai. Annuì e spiegò che l’indomani sarebbero stati condotti ulteriori test per sviluppare un trattamento.

Avevo sentito dire che la chemioterapia poteva essere dolorosa, quindi mi sentivo un po’ in ansia, dunque chiesi al dottor Chen se sapeva quanto potesse essere doloroso.

Il medico ammise che poteva essere piuttosto doloroso ma mi rassicurò di sopportarlo; sarebbe passato.

È così che i medici consolano i loro pazienti? pensai tra me e me. Le sue parole mi avevano lasciato ancora più in ansia.

Il dottor Chen sfogliò la cartella clinica posta ai piedi del mio letto, poi si avvicinò e mi mise una mano sulla fronte. Mi fece notare che la mia temperatura pomeridiana era leggermente alta e mi consigliò di evitare di prendere freddo durante la notte, poiché avrebbe complicato le cose se mi fosse venuta la febbre a causa di questa malattia.

La sua mano era fresca e la trovai piuttosto confortante sulla mia fronte. Lo guardai e gli chiesi se sarebbe venuto a trovarmi anche il giorno dopo.

Ritirò la mano dalla mia fronte, ripose la cartella clinica al suo posto e rispose: «Faccio il giro quotidiano in reparto. Riposati un po’, resta al caldo la notte.»

Annuii obbedientemente, guardandolo uscire dalla stanza e chiudere la porta dietro di sé.

**********

Il giorno dopo, non sapevo se fosse psicologico o meno, ma mi sentivo davvero un paziente. Dopo aver fatto pochi passi, mi sentii stanco ed ebbi il fiato corto, il mio viso divenne pallido e sulla mia fronte si formò un sottile strato di sudore. Quando tutti i test furono completati, ero già esausto, steso nel letto d’ospedale, senza volermi muovere o parlare.

L’infermiera gentile del giorno prima, si fermò accanto al mio letto e mi chiese come mi sentivo.

Medici e infermieri iniziano sempre con questa domanda quando vedono un paziente?

«Mi sento come se stessi per morire.»

L’infermiera emise un suono di disapprovazione, fece schioccare la lingua tre volte di seguito e mi esortò persino a fare lo stesso, dicendo che dire quelle parole non avrebbe aiutato. Fui costretto a obbedire, quindi feci schioccare la lingua qualche volta anche io, sentendomi poi ancora più esausto.

Mi aiutò a rimboccare le coperte, mi consigliò di riposarmi bene, di non pensare troppo e ancora una volta mi ricordò di contattare la mia famiglia il prima possibile.

Ero quasi stanco morto e mi addormentai senza aspettare che se ne andasse.

**********

Quando mi svegliai, era notte. Aprii gli occhi e la figura ai piedi del mio letto mi sorprese. Non potei fare a meno di rivolgermi al dottor Chen, che era impegnato nell’esame delle cartelle cliniche. «Di solito gli altri medici non vengono a fare il giro la mattina? Perché vieni sempre nel cuore della notte?»

Il dottor Chen mi guardò e rispose: «Anch’io ero qui stamattina. Non mi hai visto?»

Mi presi un momento per ricordare, ma non potevo essere sicuro di averlo notato la mattina. Le mattine erano tipicamente caotiche, con così tanti medici indaffarati che spesso interrompevano bruscamente il mio sonno. Era difficile individuare un medico in particolare in una tale confusione.

Deciso di spostare l’argomento di conversazione e chiesi: «Allora, perché le doppie visite in un giorno?»

Il dottor Chen rispose con un pizzico di divertimento: «Sono più che disposto a farlo.» mise da parte la cartella clinica, si avvicinò a me e cambiò argomento: «Ho sentito dall’infermiera che non hai ancora contattato la tua famiglia.»

Annuii in accordo.

Poi continuò: «Con questa malattia, è meglio avvisare la tua famiglia in anticipo poiché può essere abbastanza imprevedibile.»

Lo guardai e chiesi: «È perché questa malattia può improvvisamente diventare fatale?»

Rimase in silenzio. Incapace di trattenere un sorriso, scherzai: «Dottor Chen, qualche paziente si è mai lamentato di te?»

«Perché dovrebbero lamentarsi di me?»

«Perché sei troppo bello; distrae i pazienti, rendendo loro difficile riposare in pace.»

Sembrava un po’ esasperato e rispose: «Non che mi ricordi.»

«Beh, potresti ricevere presto il tuo primo reclamo.»

**********

Prima dellasessione di chemioterapia, finalmente chiamai la signora Han*. Onestamente, se avessi potuto scegliere, avrei preferito non parlarle della mia malattia. Ma non c’era modo di aggirarlo. La mia condizione non era qualcosa che potesse essere risolta rapidamente e c’era la possibilità che non migliorasse mai. Non potevo nasconderglielo.

*(N/T: si tratta di sua madre; la chiama così in segno di rispetto.)

Come mi aspettavo, mia madre singhiozzava al telefono. Continuava a ripetere: «È un errore? Come può essere vero? Sei sicuro che non sia un errore?»

La rassicurai con pazienza, ripetendole che non era un errore ed esortandola a venire a trovarmi.

Il giorno successivo, arrivò in ospedale. I suoi occhi erano rossi e gonfi, una chiara testimonianza delle sue lacrime. Allungai la mano e dolcemente le dissi: «È da molto che non ci vediamo, signora Han. Non mi abbracci?»

Mi abbracciò dolcemente, come se fossi fragile. La ascoltai singhiozzare piano e dissi: «Andiamo, signora Han, non hai ancora pianto abbastanza?»

La signora Han era una donna sia debole che forte. Cercò di apparire composta, tenendomi la mano. Mi disse che aveva fatto alcune ricerche mentre veniva da me e che il tasso di guarigione dalla leucemia era piuttosto alto adesso, con una probabilità di guarigione dell’80%. Mi esortò a non aver paura e ad accettare il trattamento.

Questa era la straordinaria signora Han. Nonostante piangesse solo un attimo prima, con gli occhi gonfi e la voce tremante, ora mi consolava, incoraggiandomi a non avere paura.

Sospirai e la tenni stretta, lasciando che le lacrime scivolasserp sulla mia spalla.

**********

Il processo della chemioterapia era straziante. Ogni minuto e ogni secondo erano pieni di dolore.

Quando tutto finì, mi aggrappai alla signora Han e dissi: «Mamma, sto soffrendo così tanto.»

Le lacrime della signora Han caddero sul mio viso una dopo l’altra mentre mi abbracciava. Mi confortò con il tono di chi tranquillizza un bambino, dicendo: «Ecco, ecco, dormi. Ti sentirai meglio dopo un buon riposo.»

Avrei voluto poterle asciugare le lacrime, ma non riuscivo nemmeno ad alzare il braccio. Mi raggomitolai nell’abbraccio della signora Han, ascoltandola sussurrare ripetutamente: «Mi dispiace, non ho potuto darti un corpo sano. La mamma è così dispiaciuta.»

Nel mio cuore, pensai di essere davvero un figlio non rispettoso e che causava così tanto dolore alla propria madre.

**********

C’era qualcosa per cui essere felice dopo la chemioterapia: il dottor Chen mi aveva regalato un piccolo adesivo con un fiore rosso. Aveva detto che gli era stato regalato da una bambina che aveva curato. Me lo aveva dato come premio perché oggi avevo dimostrato un grande coraggio. Invidiavo il modo in cui Angen regalava a Li Moxi dei fiorellini rossi*. Ora avevo anche io il mio piccolo fiore rosso. Ero così felice!

*(N/T: Angen e Li Moxi sono i protagonisti di un altro racconto, “Come Again”, scritto dall’autore.)

**********

«Ma il piccolo fiore rosso non mi ha impedito di resistere alla chemioterapia. Alla fine, che faccia male o no, è pur sempre la morte. Perché non posso andare comodamente?» chiesi al medico.

Quando lo dissi, il dottor Chen sembrava molto arrabbiato, mi fissò per un po’ e poi se ne andò senza dire una parola.

**********

La sera, dopo che mia madre se ne fu andata, mi intrufolai nella tromba delle scale. Mi ricordai di averla sentita piangere lì una volta, quindi mi sedetti sullo stesso gradino che aveva occupato in quel momento, riflettendo se avrei dovuto farmi anch’io un bel pianto.

Prima che potessi decidere se piangere o meno, il dottor Chen aprì la porta delle scale ed entrò, con in mano un accendino e una sigaretta.

Vedendolo, gli chiesi: «Sei qui per fumare?»

Lui annuì, mettendosi in tasca l’accendino e la sigaretta.

Appoggiai il mento sulla mano e lo guardai, dicendo: «Va tutto bene, puoi fumare.»

Scosse la testa e rifiutò: «Non fumerò davanti a un paziente.» Poi, avvicinandosi a me, mi chiese: «Cosa ci fai qui?»

Pensai per un momento e risposi: «Sto ammirando il panorama?»

Il dottor Chen si guardò intorno e, in tono molto beffardo, disse: «Dov’è la vista?»

«Proprio qui. Non c’era solo un momento fa, ma ora si.»

Ridacchiò, ed era la prima volta che lo vedevo sorridere. Dovevo ammetterlo: era molto più bello quando non aveva quell’espressione seria.

**********

Il dottor Chen si era improvvisamente tolto il camice bianco, lasciandomi un po’ emozionato e spaventato. Balbettai: «Q-q-q-qui?»

Mi guardò senza dire una parola e mi chiese: «A cosa stai pensando?»

Lo guardai innocentemente e risposi: «Non sto pensando a niente.»

Il dottor Chen mi lanciò il camice bianco, dicendo: «Non puoi prendere un raffreddore adesso. E in futuro, non correre più fuori con così pochi vestiti.»

«Oh.» dissi, un po’ deluso, mentre mi avvolgevo nel camice del dottore.

Il dottor Chen si sedette accanto a me e mi chiese: «Perché non vuoi sottoporti alla chemioterapia?»

«Perché è doloroso.»

Lui continuò a chiedere ancora: «C’è qualcos’altro?»

Girai la testa per guardarlo, sentendomi improvvisamente un po’ irritato con lui. «No, non c’è nient’altro.»

Mi guardò in silenzio per un po’, poi si alzò e disse: «C’è abbastanza vento qui. Sediamoci un po’ e poi torniamo indietro. Mi potrai ridare il camice più tardi.»

**********

Non ero sicuro a che ora fosse venuto il dottor Chen quella sera, ma non era venuto a trovarmi mentre dormivo. Quando mi svegliai, il camice che era ai piedi del letto non c’era più.

Durante i suoi giri, il dottor Chen entrò nella stanza indossando un camice bianco, ma non avrei saputo dire se fosse lo stesso della sera prima.

Dopo aver completato il suo giro, il dottor Chen rientrò nella mia stanza. Tirò fuori dalla tasca un foglietto adesivo e mi chiese se lo avevo messo lì.

Lo guardai e vidi sopra un piccolo fiore rosso disegnato male. Se non l’avessi disegnato io stesso, forse non l’avrei riconosciuto come un piccolo fiore rosso. Guardai il dottor Chen e risposi: «Non è mio.»

Il dottor Chen mi chiese con sospetto: «Sei sicuro?»

«Sì.»

L’uomo mi rivolse uno sguardo strano, rimise il foglietto adesivo in tasca e disse: «Se non è tuo, dimenticalo.»

Annuii senza traccia di senso di colpa e lo guardai lasciare la stanza.

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