TE NO NARU HOU E – PROLOGO 1

La notte dei pivieri cinguettanti senza volto

Kusamakura non sapeva se avesse qualcosa come un ‘genitore’. Anche il nome ‘Kusamakura’* era qualcosa che si era dato da solo. Molto tempo prima, quando aveva aperto un libro che aveva rubato, la prima parola che aveva attirato la sua attenzione era stata questa e l’aveva usata come nome.

*(N/T: Kusamakura significa cuscino d’erba; probabilmente l’ha preso dal romanzo omonimo di Natsume Souseki.)

Kusamakura non sapeva perché potesse leggere le parole, riconoscere e comprendere le vie del mondo nonostante non gli fosse mai stato insegnato da nessuno. Anche se non aveva né genitori né fratelli, non aveva mai chiesto a nessuno il concetto di ‘famiglia’ e accettava che probabilmente dovesse essere così anche per il resto.

Proprio come esistevano il cielo, l’acqua e il vento, anche lui esisteva naturalmente in questo mondo. Questo era quello che pensava. Tuttavia, non ne era sicuro. Non aveva modo di farlo.

Le altre creature del vicinato stavano lontane da Kusamakura.

I gatti e le volpi con la coda spezzata, il gigantesco pezzo di carne che emanava un odore sgradevole, le cose con occhi su tutto il corpo, occhi e orecchie che esistevano come se galleggiassero sulle rocce e sul terreno: creature di ogni tipo erano qui e là, ma nessuno di loro si era mai avvicinato a Kusamakura.

Molto tempo prima si era sentito solo per questo motivo, ma ora ci era ormai abituato.

All’inizio era andato a chiedergli di diventare loro amico, ma era stato messo da parte. 

«Non riusciamo a capire a cosa stai pensando. È inquietante, non ti avvicinare.» gli avevano detto.

Cosa sto pensando? Sono semplicemente solo. Non ho mai nemmeno pensato di causare qualche danno.

Ma erano tutti diffidenti nei confronti di Kusamakura.

Trascorse molte notti da solo, e poi finalmente ottenne una risposta attraverso un libro che aveva ottenuto da un essere umano. Forse, per creature dall’aspetto grottesco come loro, la figura di Kusamakura, che somigliava a quella di una persona, era strana.

Il motivo per cui non riusciva ad andare d’accordo con quelle creature dalla forma ancora più spaventosa di lui era a causa del suo aspetto, che somigliava molto a quello di un essere umano. Allo stesso modo in cui gli umani avevano paura di quelle creature, gli yōkai evitavano Kusamakura che somigliava a un essere umano.

La teoria di Kusamakura fu confermata dall’esistenza di Shunshou, un rokurokubi*, che era l’unico con cui scambiava qualche parola. Era l’unico che non aveva paura di parlare con Kusamakura.

*(N/T: il rokurokubi è un tipo di yōkai con fattezze umane che può allungare il collo.)

Normalmente, anche Shunshou non era poi così diverso dagli umani. A parte il collo che si allungava all’infinito, di cui Kusamakura aveva sentito parlare solo dai libri, non sembrava diverso dagli altri umani. In altre parole, poiché Kusamakura non era diverso da lui, Shunshou non lo aveva evitato.

Il senso di solitudine di Kusamakura era svanito molto tempo prima, ma anche così, il solo fatto di avere qualcuno con cui parlare gli faceva venire voglia di parlare di più, e c’erano momenti in cui pensava che sarebbe stato bello vivere insieme a qualcuno. Come al solito, era tutto solo, ma la sensazione di voler stare con qualcuno segretamente, lentamente ma inesorabilmente, si accumulò nel cuore di Kusamakura.

**********

Un giorno, mentre Kusamakura stava dando la caccia a una bestia che sarebbe diventata il suo pasto, gli capitò di vedere un bagliore di luce fluttuante, come una lucciola.

…Che cos’è?

Oscillava rasente al suolo. Quando guardò più attentamente, vide che non era una creatura vivente. Era una lanterna di carta di cui aveva già letto in un libro. Ciò significava che doveva esserci un essere umano a reggere la lanterna.

In passato, nella zona in cui viveva Kusamakura, non c’erano praticamente tracce di esseri umani, ma recentemente avevano iniziato ad apparire anche di notte. Sembrava che nelle vicinanze fosse stata costruita una stazione di posta. Kusamakura dormiva durante il giorno quindi non ne era sicuro, ma era possibile che ce ne fossero ancora di più. Molti animali dormivano di notte, quindi era probabile che anche molti esseri umani dormissero in quel lasso di tempo.

Tenendo la bestia che aveva catturato nella mano destra, Kusamakura iniziò a camminare verso la lanterna, spinto dalla curiosità. Si sentiva lo scricchiolio dei suoi passi sulla ghiaia. L’umano era di buon umore e canticchiava una canzone. Dove era diretto?

Hmm. Non sembra poi così diverso da me.

L’aveva visto prima solo nei libri, ma quell’umano era un uomo. Aveva un ciuffo e indossava abiti da mercante. Aveva due braccia e due gambe, nessuna delle quali ricoperta di pelliccia, e camminava eretto. Se si fosse ricercata una differenza tra lui e quell’uomo, probabilmente sarebbe stata la loro acconciatura e il fatto che Kusamakura vivesse all’aperto.

Osservando quella figura, Kusamakura si convinse. Era molto più simile a questo essere umano che a qualsiasi altra creatura intorno a lui.

Ah, come previsto. Ecco perché tutti mi evitano.

Giunto a questa conclusione, Kusamakura annuì tra sé. Questo era il motivo per cui tutti scappavano quando lo vedevano. Forse, dal momento che non era poi così diverso da un essere umano, avrebbe potuto mentire sulla sua identità e cercare di fare amicizia con lui. Pensando così, Kusamakura fece un passo avanti, deglutì e finse di essere calmo, chiamando l’uomo che camminava davanti a lui.

«Ciao.»

Sentendo la voce di Kusamakura, l’uomo smise di camminare. Si guardò intorno nervosamente, chiedendosi da dove venisse quella voce.

«Ciao.» ripeté, il cuore di Kusamakura batteva furiosamente. L’uomo si voltò a guardare Kusamakura che era sbucato da dietro l’erba.

Il bagliore della lanterna rifletteva il volto di un giovane. Aveva sopracciglia distinte e un paio di occhi stretti che sembravano cicatrici. Quegli occhi che fino a quel momento sembravano chiusi si aprirono.

«Tu-gyaaaa!!» L’uomo lasciò cadere la lanterna e scappò a tutta velocità.

Senza avere il tempo di inseguirlo, Kusamakura, a cui improvvisamente avevano urlato in faccia, rimase lì sbalordito.

«Che diavolo…?»

Cosa diavolo era appena successo? Si voltò a guardare dietro di sé, chiedendosi se fosse apparsa una creatura che aveva spaventato l’uomo, ma a parte lui, non c’era traccia di nessun altro.

Pur pensando che fosse strano, Kusamakura raccolse la lanterna che l’uomo aveva lasciato cadere. «…Sembra un fuoco fatuo.»

La candela all’interno della lanterna era ancora accesa. Come avevano fatto gli umani ad accenderla? Anche Kusamakura era in grado di accendere un fuoco, ma sembrava che gli umani fossero in grado di farlo in un modo diverso da lui. Nei libri, si diceva che usassero la ‘pietra focaia’ e ‘un acciarino’ e poi lo trasferivano sui ‘legni da accensione’. Kusamakura non aveva idea di che aspetto avessero nello specifico. Anche se avesse voluto chiederlo, l’uomo era già scomparso nel buio.

Kusamakura rimase molto incuriosito da quella lanterna che vedeva per la prima volta e dalla candela accesa al suo interno. Pensò che fosse uno spreco e volle portarla con sé, ma dopo che furono trascorse alcune ore, il fuoco della candela si spense naturalmente.

Poiché la candela si era spenta, il giorno seguente Kusamakura usò il fuoco fatuo per accendere la lanterna e la portò in giro con sé. Se possibile, voleva restituirla al suo proprietario. Così, giorno dopo giorno, si aggirava nella stessa zona, ma da quel giorno non si era più fatto vedere nessun essere umano.

E così, ancora una volta tutto solo, Kusamakura trascorse tutto il suo tempo a pensare. Ben presto gli sorse un sospetto.

Quando quell’umano aveva visto Kusamakura, era rimasto stupito. Non voleva ammetterlo a se stesso, ma non c’erano errori al riguardo. Era perché era sbucato all’improvviso dai cespugli dove nessuno avrebbe dovuto essere: se ci pensava in quel modo, non stava guardando solo il lato positivo, ma stava guardando la vicenda in maniera realistica.

In altre parole, significa che non importa da quale punto di vista osservi la faccenda, io non sono uno di loro. Ma non so cosa ci sia di diverso. Comunque, non importa se è così, pensò Kusamakura tra sé, assumendo un atteggiamento coraggioso. 

Mentre si abbracciava le ginocchia, passò un gatto yōkai* travestito da giovane donna.

*(N/T: il bakeneko, ‘gatto mutato’. è un tipo di yōkai che può trasformarsi in sembianze umane.)

Dal punto di vista di Kusamakura, il gatto, vestito in modo eccessivo con un kimono e accessori apparentemente pesanti che somigliavano a catene, suonava lo shamisen* e cantava una canzone mentre l’orlo del kimono si trascinava dietro di lui. L’odore dell’alcol e di una polvere sconosciuta fluttuava nella brezza serale e permeava la cavità nasale di Kusamakura.

*(N/T: lo shamisen è uno strumento musicale tradizionale a tre corde.)

Era andato in città e aveva stregato un essere umano? Sembrava che fosse davvero di buon umore.

Qualcosa cadde dalla manica del kimono. Fece un leggero tintinnio simile a quello di un oggetto metallico, ma il gatto non se ne accorse. Infatti, continuò a tornare verso casa, suonando lo shamisen e camminando con passi gioiosi.

Kusamakura stava per lasciarlo andare, ma vide che gli era caduto qualcosa, quindi, con riluttanza, lo raccolse e lo chiamò.

«Oi, ti è caduto questo.»

«Eh?… Oh, sei solo tu.» La donna leggermente ubriaca che sorrideva dolcemente vide Kusamakura e il suo viso si distorse. Stringendo lo shamisen, il gatto scosse la testa per dire no. «Cosa vuoi? Cavolo, finalmente ero di ottimo umore ma ora hai rovinato tutto.» sogghignò il gatto rivolto a Kusamakura, con il suo alito che puzzava di alcol.

Kusamakura non ricordava di aver fatto nulla per essere odiato a tal punto. Inoltre, in quel momento, il gatto aveva un aspetto umano non molto diverso dal suo. Lo aveva davvero fatto incavolare.

Pur pentendosi di aver mostrato gentilezza, Kusamakura presentò l’oggetto che il gatto aveva lasciato cadere. «Non so se è una spatola o un plettro, ma ecco qui.»

Proprio in quel momento il gatto stava suonando lo shamisen con le dita, ma normalmente era necessario un plettro. L’oggetto di metallo, che Kusamakura aveva raccolto, somigliava a un plettro che aveva visto in un libro.

Gli occhi del gatto si spalancarono alle parole di Kusamakura. I suoi occhi brillarono dorati e le pupille ovali si dilatarono. Quegli occhi che sembravano stessero cacciando o tormentando la loro preda fecero inconsciamente retrocedere Kusamakura.

«Oh… Hohohoho.» Il gatto si portò la manica alla bocca, girò il corpo e cominciò a rotolarsi dalle risate.

Anche se non aveva detto niente di strano, essere ridicolizzato in quel modo infastidiva Kusamakura.

«Che cosa??»

«Allora è così che stanno le cose… tu… Hohohoho.»

Sembrava che il gatto avesse finalmente capito qualcosa, ma Kusamakura non aveva assolutamente idea di cosa.

Ridacchiando, la bocca del gatto si piegò in un arco: «Quello, te lo regalo.»

«Ah…?»

Cosa avrebbe potuto fare con una cosa del genere? Non era che avesse alcun interesse a suonare lo shamisen, e poi non ne aveva neanche uno.

Prima che Kusamakura potesse pronunciare le parole ‘Non lo voglio’, il gatto continuò: «Quello non è un plettro. È uno specchio.»

«…Uno specchio?»

Guardò ancora una volta il piccolo e senza pretese ‘specchio’ che poteva facilmente entrare in una manica senza dare fastidio. C’era un motivo floreale in rilievo su un lato mentre l’altro lato era liscio. Secondo il gatto la superficie era ricoperta da una pellicola di mercurio e stagno. Mentre stava per toccare la superficie, risuonò una voce a dissuaderlo.

«Aah, non dovresti toccare la parte dello specchio! Diventerà torbido. C’è qualcuno in città che può lucidarlo di nuovo, ma non puoi assolutamente chiederglielo. Se diventa torbido, non serve a nulla, quindi non avrai altra scelta che buttarlo via.»

«…Ehm, però ricevere questo genere di cose…»

«Accettalo e basta. Il piacere è tutto mio.» Emettendo una risatina, il gatto si voltò. Poi, ancora una volta, iniziò a suonare lo shamisen e a canticchiare una canzone mentre si allontanava.

Non comprendendo il comportamento del gatto, Kusamakura rimase stupito, fermo nello stesso punto. Sapeva che i gatti erano creature stravaganti, ma nonostante ciò non ne capiva ancora il comportamento.

«Uno specchio, eh.» 

In ogni caso, abbassò lo sguardo verso lo specchietto che gli era stato imposto. Anche quello era uno strumento utilizzato dagli esseri umani e appariva spesso nei libri.

Non gli piaceva l’atteggiamento inquietante del gatto, ma era entusiasta di quello ‘specchio’ che prima aveva visto solo nei libri. Aveva letto una descrizione della piastra metallica utilizzata, ma, incuriosito da cosa fosse quell’oggetto, provò ad avvicinarlo a sé… Forse era perché era notte, ma nello specchio non si rifletteva nulla.

A pensarci bene, Kusamakura non sapeva che aspetto avesse la sua faccia. Inoltre, a parte gli yōkai che potevano estendere gli occhi fuori dal proprio corpo, di solito non era possibile vedere il proprio volto.

Si chiese che tipo di faccia potesse avere. Anche se non era come i volti dei protagonisti dei libri, un volto di qualche tipo sembrava carino. Il cuore di Kusamakura batteva violentemente.

Tuttavia, il giorno successivo, sotto il sole del mattino, quando Kusamakura si guardò nervosamente allo specchio, inclinò la testa confuso davanti al riflesso. Nello specchietto non si rifletteva nulla.

Strano, inclinò la testa nella direzione opposta.

Gli era stato dato uno specchio falso, o forse era già torbido? Quando lo sollevò verso i cespugli, la superficie lucida dello specchio rifletté l’erba. Se fosse veramente così, se lo specchio rifletteva gli altri animali e i passeri nascosti tra i rami e le foglie, allora ciò che appariva era la forma immutata della cosa reale.

Allora perché Kusamakura era l’unico che non si rifletteva? Perché?

Perché?

Nei libri sui mostri e simili, spesso mostravano che i fantasmi non avevano un corpo. Non era che fosse morto, quindi il motivo per cui non aveva un riflesso era perché non era umano? Mentre inclinava la testa in contemplazione, qualcuno improvvisamente lo chiamò da dietro.

«Cosa stai facendo, Kusamakura?»

Quello che era sbucato fuori con un fruscio dai cespugli era il rokurokubi, Shunshou. La testa, all’estremità del collo viscido e allungato, girava in tondo come una ruota.

Sebbene stupito dal fatto che i suoi occhi non sembrassero girare, Kusamakura non sapeva come rispondergli.

Shunshou inclinò la testa verso il silenzioso Kusamakura e rivelò tutto il suo corpo. «Guarda te se non è uno specchio… Cosa sta succedendo, perché hai qualcosa del genere?»

«La notte scorsa me l’ha dato il gatto.»

«…È stato il gatto? Perché?»

Questo era qualcosa che nemmeno Kusamakura sapeva. In ogni caso, Kusamakura era qualcuno che tutti, intorno a lui, ignoravano. L’unico che gli parlava era Shunshou, ed era proprio per questo che pensava fosse strano che il gatto gli avesse regalato qualcosa.

«Non lo so davvero… ma penso di capirlo in qualche modo.»

«Oh?»

«Non riesco a vedere niente. Immagino che mi stesse prendendo in giro. Quel gatto malvagio.»

Per essere precisi, nello specchio poteva vedere tutto tranne sé stesso. Ma non riteneva necessario dirlo, Kusamakura ponderava mentre porgeva lo specchio a Shunshou. Il rokurokubi sembrò perplesso mentre riceveva lo specchietto da Kusamakura. Poi si mise a  giocherellare con la sua frangia.

«Io mi posso vedere perfettamente, però. Sembra che sia stato appena lucidato.»

«È impossibile.» Era rimasto a studiarlo tutto il tempo fin dal mattino; non doveva esserci nulla riflesso lì.

In fretta sbirciò e, come previsto, il volto di Shunshou si rifletteva nello specchio. Riprese velocemente l’oggetto riflettente e lo pose di fronte a sé, ma continuava a non vedere nulla.

«…Non vedo niente..»

«È perché lo tieni troppo vicino, Kusamakura. Guarda da più lontano.»

Era vero, dato che non riusciva a vedere nulla, lo teneva a pochi centimetri dal viso pensando che se fosse stato più vicino, avrebbe potuto vedere meglio. 

Capisco. Soddisfatto, ritrasse la mano e allontanò il viso.

Mentre si allontanava, qualcosa di strano si rifletté nello specchio.

«Lo vedi, vero?»

Kusamakura sussultò alla voce di Shunshou e scosse la testa. «Io non… no, c’è qualcosa riflesso lì dentro, ma…» La cosa riflessa nello specchio si mosse insieme al movimento della testa di Kusamakura.

«Dove?» Mentre lo diceva, Shunshou avvicinò la sua faccia a quella di Kusamakura.

Di fronte alle due teste allineate fianco a fianco, il corpo di Kusamakura si bloccò all’improvviso.

«Aah, funziona perfettamente. Vedi, guarda qui, è perché eri troppo vicino, lo sai.»

La voce di Shunshou che diceva: «Sei più stupido di quanto pensassi.» risuonò nella testa di Kusamakura che quasi cadde. Era stato uno shock troppo grande. Quasi non riusciva a respirare. Tuttavia, il Kusamakura allo specchio non mostrava alcun segno di ciò.

Mise lo specchio nella manica e voltò le spalle a Shunshou.

«Kusamakura?»

«Ah… Mi sono appena ricordato che ho qualcosa di cui occuparmi.» 

Detto questo, Kusamakura lasciò in fretta il posto. Il suo petto era dolorante. Il suo cuore, che si muoveva all’impazzata, sembrava sul punto di scoppiare e volare fuori.

Niente.

Con una velocità che era quasi quella di una corsa, Kusamakura camminava senza meta. Lo specchio, appesantendogli la manica e rendendolo consapevole della sua esistenza, rifletteva senza dubbio l’innegabile verità.

Non ho una faccia…!

Il suo respiro divenne gravemente disordinato. Cercò di regolarlo, ma era impossibile. Kusamakura si coprì la bocca e iniziò a correre freneticamente.

Il riflesso di Shunshou nello specchio era esattamente identico a quello reale. Ciò significava che anche la sua figura, in piedi al fianco di Shunshou, non era cambiata rispetto a quella autentica.

Inciampando su un sasso, Kusamakura finalmente si fermò. Sbuffando e ansimando, deglutì il respiro e con dita tremanti, afferrò lo specchio nella manica e lo tirò fuori ancora una volta.

Ciò che si rifletteva era ‘un uomo senza volto’.

I capelli neri e lisci erano legati e scendevano lungo il fianco. Ogni mattina si spazzolava i capelli con un pettine buttato che aveva raccolto, quindi non erano disordinati. Mentre scostava alcune ciocche cadute dietro l’orecchio, emise un sospiro.

Come se risalissero in superficie, le sue labbra si materializzarono sulla pelle liscia. Quando provò a chiudere la bocca, riuscì a farla scomparire del tutto. Fino ad ora non ne era stato consapevole, ed era rimasto scioccato nello scoprirlo.

Non aveva gli occhi, le sopracciglia e il naso che originariamente avevano tutti gli esseri umani. Non era come la sua bocca, che poteva nascondere, sembrava che non esistessero affatto.

Allora perché possedeva la cosiddetta ‘vista’? Perché poteva ‘annusare’? Non lo sapeva. Qual era il motivo per cui questi organi, che non aveva, funzionavano normalmente?

Mise lo specchio nella manica e, tremando di paura, Kusamakura provò a toccarsi il viso. La superficie liscia era priva di qualsiasi rugosità. Le sue guance erano appena arrotondate. Mentre si accarezzava e toccava il viso qua e là, l’unica sensazione che la sua mano trasmetteva era che non c’era niente lì.

Non è che non si fosse toccato il viso prima di questo momento. Era solo che non aveva mai dubitato di non avere un volto.

Aah, aah, ora capisco

Incapace di restare in piedi, Kusamakura cadde in ginocchio.

Finalmente capì il comportamento di chi lo circondava. Kusamakura poteva immaginarselo.

Non c’era dubbio che un essere vivente senza volto fosse inquietante. Non importava quanto fosse brutta una creatura vivente, aveva una faccia. Indipendentemente dal fatto che fosse umano o meno, qualcosa che era sicuramente lì… Kusamakura non ce l’aveva.

E pensare che era stato così spensierato solo perché aveva una forma simile a quella di un essere umano. Non aveva nemmeno messo in dubbio il fatto che Shunshou, che aveva anche lui una figura simile a quella di un essere umano, avesse molti amici. Era assurdo, deprimente e insopportabile.

Aah, aah….

Esisteva veramente quel tipo di dolore? Esisteva quel tipo di miseria? Kusamakura si prese il viso tra le mani, provando disperazione per la prima volta da quando era nato.

Senza nessuno che lo vedesse, lo sciocco Kusamakura pianse. Piangeva per l’imbarazzo, per la propria stupidità e ignoranza. 

Pianse, ma non uscirono le lacrime. Ovviamente. Non aveva occhi.

Colpito da un secondo tipo di disperazione, Kusamakura fu ancora più sgomento.

«Aaah….!»

Le lacrime avrebbero sicuramente sciolto la sua tristezza. Sciogliendola e lavandola via, probabilmente il cuore di coloro che piangevano sarebbe guarito. Ma questo era impossibile per Kusamakura. Il massimo che Kusamakura poteva fare era lanciare un grido straziante, incapace di lavare via il dolore e lasciare che si accumulasse nel suo cuore.

Raggomitolò il corpo e si sdraiò a terra. Non cadde una sola lacrima.

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