ONE WEEK IN PHUKET – PROLOGO

DAY 1

Aprii gli occhi e guardai fuori dal finestrino dell’auto. Nonostante fossi stanco della mia vita frenetica e avessi deciso di fare una vacanza lontano da tutto e tutti, non potevo di certo abbandonare la comodità della mia auto e di Sol, il mio segretario e autista privato.

Rimasi incantato dallo spettacolo che si estendeva davanti a me: il sole stava tramontando, splendendo di rosso sulle onde del mare, che lentamente si infrangevano sulla spiaggia liscia e deserta di Phuket.

«Khun Beer, siamo arrivati.»

La voce di Sol richiamò la mia attenzione verso lo specchio retrovisore, da cui potevo vedere gli occhi acuti del mio autista. Guardai poi il grande hotel bianco in cui avrei soggiornato. L’edificio, circondato da grandi finestre e con un tappeto verde all’entrata, era degno di un hotel a 5 stelle.

Dopo che il mio segretario mi aiutò con le valigie e si occupò della prenotazione della mia suite, sospirai al pensiero che da quel momento in poi avrei dovuto sbrigare anche le più piccole cose da solo, per un’intera settimana. 

Guardai negli occhi Sol e dissi: «Bene, adesso puoi andare. Puoi considerare questa settimana una vacanza anche per te. Sei ufficialmente congedato.»

Sol annuì e assunse una posizione più rilassata rispetto a quella che era solito assumere durante l’orario lavorativo. Mentre si dirigeva verso l’auto per riportarla a Bangkok, lanciò in aria le chiavi dell’auto un paio di volte, riuscendo sempre a riprenderle al volo, sorridendo tra sé e sé.

Vedendo il mio segretario, nonché migliore amico, così di buon umore, non potei fare a meno di ridere. Probabilmente mi aveva sentito vedendo che si era girato verso di me mostrando un sorriso beffardo: «Oi, fossi in te non riderei così tanto! Come farai senza il tuo sguattero? Sarà una settimana molto impegnativa per te!»

«Hey, questa è insubordinazione!» controbattei, ma non fu sufficiente per zittirlo.

«Beh, ormai sono congedato. Non sono il tuo segretario in questo momento, no?» 

Bastardo! Ha sempre la risposta pronta.

Non ero davvero infastidito, bensì divertito. Ci conoscevamo fin da piccoli ed eravamo cresciuti insieme, quasi come fratelli. Era il figlio del migliore amico di mio padre e, dopo esser rimasto orfano, i miei genitori si erano presi cura di lui come se fosse figlio loro. 

Lui, però, aveva sempre avuto un senso di dovere nei miei confronti che avevo sempre cercato di abbattere. Sentiva di dover ripagare i miei genitori in qualche modo e questo lo aveva portato a lavorare sodo nei suoi studi e negli allenamenti. Se non fossi stato così fermo nella mia decisione di farlo diventare il mio segretario, sarebbe sicuramente diventato il mio bodyguard, sempre pronto a prendersi una pallottola per me. Tuttavia, nei momenti critici, ma non fatali come a scuola, non ci pensava due volte a spingermi sotto la pioggia di rimproveri degli insegnanti.

Anche quando combinava qualcosa a mia insaputa, non sapevo come, riusciva a trascinarmi con lui e a pagarne le conseguenze. Come quando era finito in una rissa e senza sapere perché era stata colpa mia. La fidanzata di un ragazzo più grande della mia università lo aveva lasciato perché si era presa una cotta per me. Sol aveva scoperto che quel tipo voleva vendicarsi, quindi lo aveva bloccato prima ancora che potesse fare qualcosa… mandandolo in ospedale.

Sol era un adolescente con la testa calda che era poi cresciuto, diventando il perfetto segretario per qualsiasi CEO come me; sapeva bene quando separare il lavoro dalla vita privata e come gestire il tutto con nervi saldi.

Ripensandoci, era la prima volta che passavo del tempo senza lui al mio fianco, ma ero certo che me la sarei cavata da solo.

Guardai l’auto che correva velocemente sulla strada per tornare a Bangkok, strinsi la carta magnetica della suite che avevo in mano e lasciai che il fattorino mi facesse strada all’interno dell’hotel. 

Dopo avermi accompagnato alla camera e aver lasciato la mia valigia di fronte alla stanza, il fattorino andò via. Aprendo la porta della suite, mi sentii a casa: era il lusso di cui ero abituato fin dalla nascita. 

Il letto dalle candide lenzuola era stato decorato con cioccolatini e petali di rosa, su cui trovai un biglietto col mio nome e l’augurio di una buona permanenza da parte dello staff. Di fronte c’era una vetrata che si affacciava al meraviglioso mare notturno e al cielo stellato, mentre a destra del letto c’era un divanetto e una TV. La suite aveva anche un terrazzino, in cui c’era un’idromassaggio grande abbastanza per due persone.

Stanco dal viaggio decisi di farmi una doccia. Mi diressi in bagno, che invece aveva delle tonalità sul grigio, presi un asciugamano e, dopo essermi tolto il completo blu che indossavo, mi infilai nel box doccia.

Dopo essermi lavato, mi soffermai per guardarmi allo specchio. In cuor mio ringraziavo sempre i miei genitori per avermi dato i loro geni: occhi scuri e sottili, capelli neri come la notte e zigomi taglienti. La mia pelle chiara, però, era il frutto del mio rimanere chiuso in ufficio per lavorare, mentre i miei muscoli e le spalle abbastanza larghe erano dovuti alla palestra a cui Sol mi costringeva ad andare per fargli compagnia durante il mio poco tempo libero. 

Sentendomi rigenerato grazie alla doccia, decisi di non sprecare il mio tempo rimanendo chiuso in camera; mi infilai quindi una polo blu aderente che metteva in risalto i miei muscoli e dei pantaloni beige lunghi fino alla caviglia. Aprendo lo scomparto scarpe della valigia non ebbi alcuna esitazione nel mettere le mie classiche scarpe eleganti rispetto a quello strano paio di sandali che Sol mi aveva messo nella borsa a mia insaputa, sicuramente lo aveva fatto per prendermi in giro. Mi resi conto, poi, che oltre alla polo e a quei pantaloni, c’era solo un’altra camicia di mio gusto, il resto si trattava di bermuda di colori terribili e camicie a fiori di discutibile gusto.

Bene, domani dovrò sicuramente fare shopping…

Scesi nella hall e mi avvicinai al bancone della reception. Una giovane receptionist con un delicato trucco e delle labbra carnose mi vide arrivare. Notai che la ragazza si stava leggermente sbottonando la camicia di nascosto per poi sorridermi civettuolamente. 

Mi dispiace ragazzina, non gioco con i più piccoli.

Ignorai le sue avances e le chiesi qualche consiglio su cosa fare quella sera: avrei potuto cenare nel ristorante dell’hotel per poi godermi i servizi di cui offrivano oppure andare in un locale sulla spiaggia non lontano da lì per ascoltare della musica live. Dato che quando viaggiavo passavo comunque già molto tempo in hotel, scelsi la seconda opzione.

Ero in vacanza, no? Non sarebbe stato male bere un po’ senza preoccuparmi del lavoro del giorno dopo.

Chiamai dunque un taxi, il mezzo che avrei utilizzato per lo più durante il mio soggiorno, e raggiunsi velocemente il locale consigliato dalla receptionist. 

Più che un locale, era un bar all’aperto. Tutto era fatto in legno: il bancone era decorato con palme, paglia e fiori, degli sgabelli in cui potevano sedere i clienti solitari e una vasta scelta di alcolici. Vi era anche uno spazio vicino in cui stavano suonando della musica live, mentre i gruppi di clienti potevano godersi il tutto ai tavolini posti nell’ampia zona centrale. 

Le file di luci poste sopra i tavolini donavano a tutto questo un’atmosfera suggestiva. Mi piaceva.

Decisi di accomodarmi al bancone e di ordinare qualsiasi cosa offrissero a base di cocco, ma dopo essermi seduto, rimasi stupito dal barista di fronte a me.

Era un ragazzino che non poteva avere più di vent’anni, aveva la pelle abbronzata, il viso piccolo e un nasino all’insù. I suoi capelli, con un ciuffo leggermente tirato indietro, erano castani, mentre i suoi occhi sembravano di una tonalità verde, ma non potevo esserne certo perché erano illuminati solo dalla luce fioca del bar. La cosa di cui ero più certo era che la camicia hawaiana che indossava, abbastanza aperta da mostrare le clavicole, era molto simile a quelle che avevo trovato in valigia. 

Ciò che mi colpì, oltre alla sua giovane età, era il sorriso luminoso che mostrava a tutti i clienti e una singola fossetta all’angolo destro della sua bocca.

Era la prima volta che trovavo carino un ragazzo. Ero abituato alla sensualità delle donne più grandi che frequentavo da quando ero giovane, quindi in quel momento mi sentii stranito dalla sensazione che stavo provando per qualcuno di circa dieci anni più giovane.

Merda… Non ero stupido, sapevo che si trattava di attrazione.

«Salve, cosa le servo?»

La voce cristallina del ragazzo spazzò via i miei pensieri, scossi la testa e sorrisi.

«Beh, tu cosa consigli?»

«Allora… Che ne dice di un Mojito al cocco? È il nostro cocktail numero uno.» 

«Bene, allora mi affido a te!» Fui entusiasta nel sapere che il loro miglior cocktail era a base di cocco.

Iniziai a osservarlo con attenzione mentre preparava con cura il drink, per poi servirmelo. 

Diedi un sorso e un’esplosione di gusto invase il mio palato. Il cocco che inizialmente non dava spazio ad altri sapori, fu lentamente sostituito dal bruciore dell’alcol che scendeva in gola. Era il genere di cocktail che preferivo, quindi non potei che sentirmi rilassato e accennare a un sorriso. 

Il ragazzo, vedendo la mia reazione, sorrise soddisfatto per poi allontanarsi per servire altri clienti. 

Continuai a guardarlo mentre parlava con un gruppo di ragazze che ridevano e scherzavano con lui, probabilmente ci stavano provando. Mi stupii che non avesse approfittato della situazione per provarci con la più bella delle tre.

Sentivo di voler parlare con lui anche io ma che probabilmente la mia faccia, che tutti dicevano essere sempre molto seria quando incontravo qualcuno che non mi era vicino, non sarebbe stata di aiuto.

L’unica occasione che avevo per attirare la sua attenzione era chiedere nuovi drink uno dopo l’altro, approfittando di quei momenti per scambiare qualche parola.

«Sembri giovane, come mai lavori qui?» gli avevo chiesto in una di quelle occasioni.

«Beh, sembro giovane perché lo sono ahah. Questo locale è della mia famiglia, per questo posso lavorarci senza problemi. Lei, invece, come mai si trova a Phuket? Non sembra di qui.»

Era un ragazzo molto gentile ed educato. E infondo doveva esserlo dato che il locale era della sua famiglia, o gli affari non sarebbero andati così bene.

Continuammo a chiacchierare tra la preparazione di un drink e l’altro. Gli avevo detto il mio nome e raccontato di come fossi stanco di Bangkok e di aver scelto Phuket per la mia vacanza.

Anche lui mi raccontò qualcosa sulla sua vita. Il suo nome era Mini e aveva vent’anni, come sospettavo. I suoi genitori gli avevano dato quel nome perché quando era nato era più piccolo degli altri bebè. Inoltre, aveva scelto di non andare all’università per dare una mano all’attività di famiglia.

Passò molto tempo e mi resi conto che avevo esagerato con i drink; la musica suonava sempre più forte nelle mie orecchie, mentre le voci degli altri clienti erano diventate un brusio confuso che mi irritava. Sentivo la testa sempre più pesante ed era più difficile tenere gli occhi aperti, fino a quando tutto divenne buio pesto.

Sentii una voce confusa in lontananza e una mano che mi scuoteva la spalla, ma mi sentivo troppo stanco, quindi, dopo aver mormorato qualcosa, mi addormentai di nuovo.

Durante i brevi momenti di dormiveglia, riuscii a capire che qualcuno mi aveva trascinato in un’auto, che mi aveva accompagnato all’hotel e che, con l’aiuto di qualcuno dello staff, mi aveva condotto nella mia stanza.

Dopo avermi fatto coricare sul letto, sbottonato la polo e tolto le scarpe, l’ultima cosa che sentii fu una dolce voce che mi sussurrava all’orecchio… 

«Benvenuto a Phuket, Khun Beer.»

Continua
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Luketta

L inizio promette bene 😍

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